Bergamo, viaggio nella storia delle visite pastorali. I vescovi del 1500

Continua il nostro cammino storico sulle visite pastorali dei vescovi di Bergamo alla diocesi nel corso dei secoli. Questa volta ci fermiamo al periodo anteriore al Concilio di Trento (1545-63) che decretò l’obbligo della visita pastorale periodica, definendola uno dei doveri più gravi del vescovo. Nell’archivio della Curia diocesana sono conservati gli atti di tutte le visite pastorali iniziando dal 1520. Si ha notizia di una visita pastorale dal vescovo Lanfranco Saliverti (1349-81) nel 1363, ma effettuata soltanto ai canonici dei Capitoli delle allora due cattedrali cittadine in perenne dissidio e lassismo, ripetendola nel 1367 e nel 1371. La successiva vera visita pastorale venne effettuata soltanto nel 1520.

La politica religiosa di Venezia

Con la Pace di Ferrara (1428) che mise fine alla guerra fra Visconti e Repubblica Serenissima, il territorio di Bergamo e di quasi tutta la provincia passò sotto la dominazione di Venezia, durata ininterrottamente fino alla sua caduta (1796) a opera di Napoleone. La nuova realtà politica ebbe riflessi sulla Chiesa bergamasca e su tutte le altre diocesi della Terraferma. Infatti, seguendo i tracciati della propria politica religiosa, Venezia impose anche a Bergamo un vescovo veneto, per cui pure la nostra diocesi e le sue rendine divennero monopolio delle famiglie della nobiltà veneta. L’accaparramento delle sedi episcopali era favorito dal pessimo espediente della rinuncia con regresso da parte di un titolare anziano in favore di un parente più giovane, il quale otteneva senza troppe difficoltà la conferma pontificia. Scomparso l’istituto della rinuncia, Venezia aggirò l’ostacolo premendo su Roma, riuscendo quasi sempre a ottenere la nomina di propri candidati. Questa politica garantiva vescovi affidabili che appoggiassero le ragioni di Venezia nei ricorrenti dissidi con il papa. Il primo vescovo veneto a Bergamo fu Polidoro Foscari (1437-48) e l’ultimo Gianpaolo Dolfin (1778-1819). 

Questo andazzo non significa affatto che i vescovi veneti a Bergamo siano stati soggetti mondani o disinteressati della diocesi. Questo grazie anche ai loro contatti con gli ambienti culturali e riformatori di Venezia. Nella maggioranza dei casi furono vescovi degni e capaci di sviluppare un programma pastorale vasto e riformatore. Anzi, i vescovi Lippomani e Soranzo anticiparono alcune direttive del Tridentino. 

Pietro Lippomani

Pietro Lippomani

Nel 1520 il vescovo Pietro Lippomani (1517-44) aprì la visita pastorale all’intera diocesi per tastarne la realtà concreta e approntare i rimedi più urgenti in una situazione negativa ma non compromessa grazie alla presenza di tanti preti onesti su cui punterà per la sua azione riformatrice. La prima nota negativa era l’ignoranza del clero, generalmente negligente nella predicazione regolare e nell’istruzione religiosa dei fedeli, a cui si aggiungevano  scarsa cura delle chiese, mancata residenza, condotta mondana, concubinaggio, abito secolare, portamento di armi, partecipazione a risse anche sanguinose e a feste profane, esercizio di mestieri profani. Il popolo era molto legato alle tradizioni e osservava il precetto festivo e pasquale, ma purtroppo cadeva nelle superstizioni. In generale la morale era buona, ma persistevano violenze e vendette soprattutto fra la nobiltà. I patrimoni dei luoghi pii e delle confraternite erano spesso male amministrati e c’erano abusi. In ogni parrocchia, il Lippomani interrogava, sui loro doveri religioso-morali, clero, popolo e responsabili delle confraternite.

Vittore Soranzo

Vittore Soranzo

Ancora più incisivo il programma riformatore del vescovo Vittore Soranzo (1547-58), che definì «necessaria» al clero e al popolo la visita pastorale, che lo portò a raggiungere anche i luoghi più impervi. Riguardo al clero, indagò scrupolosamente su doveri, residenza, obbligo dell’abito clericale, divieto di portare armi e fare mestieri profani. Per il popolo controllò esistenza di eresie o superstizioni e irriverenze nelle chiese, vietando severamente attività profane negli edifici sacri e veglie notturne interne o esterne alle chiese perché spesso causavano disordini. Severo fu anche il suo impegno nel reprimere gli abusi nei monasteri femminili. L’azione riformatrice del Soranzo fu purtroppo interrotta una prima volta nel 1551 per accuse di luteranesimo, ma uscendone prosciolto. Nel 1557 venne nuovamente citato con le stesse accuse, per cui il Soranzo preferì ritirarsi a Venezia, dove morì l’anno successivo, ma trovando sempre appoggio e stima dalla città di Bergamo. Molti studi sono stati fatti riguardo a queste accuse mai provate, ma non si ancora giunti a un giudizio definitivo. Probabilmente, o forse sicuramente, il suo zelo riformatore, con tocchi forse poco prudenti, che poteva stroncare situazioni negative o abusi consolidati, dava fastidio, provocando così le accuse mai provate e la caduta in disgrazia.

Luci e Ombre

La cronaca di queste due visite pastorali segnalava la disponibilità di clero e fedeli a collaborare con i vescovi, segno inequivocabile di un sentire comune di rinnovamento pur generico in molti, ma presente e diffuso. Si può affermare che la realtà diocesana si presentava a due facce: a una realtà segnata da gravi abusi se ne contrapponeva un’altra su cui puntare, formata da tante forze sane, desiderose di collaborare a una riforma, che i vescovi potevano attuare già prima del Concilio di Trento.

1 – Dalle visite al pellegrinaggio pastorale: la storia del lungo cammino dei vescovi