Tempo di rinascita: “Papa Francesco invita a costruire un nuovo mondo inclusivo”

“Da una crisi come questa non si esce come prima. Si esce migliori o peggiori”, ha dichiarato Papa Francesco lo scorso 31 maggio, a conclusione del primo Regina Coeli in Piazza San Pietro dall’inizio dell’emergenza Coronavirus. Il Santo Padre ha esortato una ricostruzione nel segno di un modello socio-economico inclusivo, che superi le disuguaglianze e promuova la tutela dell’ambiente, poiché il degrado naturale produce sempre degrado sociale. 

La meta è creare “nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà”. Ed è questo il punto centrale del saggio “Francesco. La peste, la rinascita” (Laterza 2020, Collana “I Robinson”, pp. 128, 12,00 euro) di Marco Politi, dove uno dei più noti vaticanisti italiani propone una riflessione su un tema che tocca il momento che stiamo vivendo tutti, al di là della propria fede o modo di pensare. 

Torniamo a un anno fa, quando l’Italia era in piena tempesta causata dall’emergenza Coronavirus, una peste inaspettata, che ha colpito e ucciso soprattutto la generazione più anziana, quella più preziosa, perché più ricca di memoria storica. L’Italia è in lockdown, il Paese è fermo, e le autorità religiose hanno ubbidito alla serrata disposta dal governo il 9 marzo. Di fronte alle proteste di parroci e fedeli, Bergoglio ha disposto che le chiese parrocchiali rimangano aperte almeno per la “preghiera individuale”. Ma il silenzio della Chiesa nell’ora della catastrofe stava diventando insostenibile e incomprensibile per milioni di cattolici. Anche un gran numero di agnostici e non credenti, abituati a guardare con interesse al pontificato di Bergoglio, avvertirono l’improvvisa scomparsa della Chiesa dalla scena pubblica. Eppure in passato, in ogni epidemia la Chiesa è sempre stata simbolo di un potere trascendente incrollabile, unica mediatrice, unico rifugio. Invece, “nell’anno del Signore 2020 questa presenza totalizzante è di colpo cancellata”, perché “l’unica liturgia è la conferenza stampa serale con l’elenco dei morti, contagiati e guariti e le raccomandazioni da seguire”. 

Tutto cambia nel tardo pomeriggio di venerdì 27 marzo, quando sotto la pioggia, in Piazza San Pietro, il Santo Padre, solo, prega per la fine della pandemia: “Dio, non lasciarci in balia della tempesta”. Di quello storico momento di preghiera di un anno fa, di come la Chiesa ha vissuto e sta vivendo questa emergenza mondiale e della proposta di rinascita post Covid-19 di Bergoglio, dialoghiamo insieme con Marco Politi, commentatore de “Il Fatto Quotidiano”, per diciassette anni corrispondente vaticano di “Repubblica”- e, prima ancora, del “Messaggero”, che insegna “Media e comunicazione di Papa Francesco” all’Università Telematica Internazionale – Uninettuno.

Il Pontefice alcuni giorni dopo l’inizio del lockdown aveva compiuto una visita lampo a Santa Maria Maggiore per pregare davanti all’icona di Maria “Salus populi Romani” e poi si era mostrato a piedi camminando per qualche decina di metri per via del Corso. Papa Francesco aveva subito compreso che la Chiesa non poteva rimanere inerte e quindi nell’ora della prova pensava già al domani? 

«Sì, Francesco ha capito subito che si stava creando una situazione paradossale, per cui di fronte a una grande tragedia, sulla scena erano rimasti soltanto i camici bianchi dei medici e degli infermieri, e i politici, come governanti o presidenti delle Regioni. Per la prima volta dopo secoli, la Chiesa sembrava spazzata via dallo spazio pubblico. Ecco perché Papa Francesco, dopo questa prima apparizione pubblica, ha voluto farsi interprete delle angosce, delle speranze, delle paure e dei bisogni dei contemporanei con i grandi riti in Piazza San Pietro».

Un anno fa, dopo un primo momento di smarrimento generale, il Papa ha reagito riconquistando la scena mondiale con la liturgia del 27 marzo e la Via Crucis del Venerdì Santo del 2020. Due cerimonie straordinarie per impatto visivo e psicologico, che non dimenticheremo, soprattutto adesso che stiamo per tornare a vivere i riti pasquali ancora in emergenza? 

«Quelle scene non si dimenticheranno più, sono profondamente impresse nelle menti e nei cuori delle donne e degli uomini del XXI Secolo. È interessante notare che negli ultimi cinquant’anni abbiamo avuto delle fotografie emblematiche. Per esempio l’assassinio del Presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, il 22 novembre del 1963 a Dallas, Kennedy riverso nella macchina scoperta, accanto a lui la First Lady, Jacqueline. Oppure, il primo sbarco dell’uomo sulla luna, il 20 luglio 1969, oppure la  bambina vietnamita nuda che corre, l’8 giugno 1972 a Trang Bang, a pochi chilometri da Saigon, dopo un bombardamento aereo americano con bombe al napalm. 

Quella in Piazza San Pietro è la prima fotografia di un evento mondiale in cui appare il Papa. Ed è un Papa che non parla soltanto ai cattolici, ai cristiani, ai credenti. Parla agli uomini e alle donne del nostro tempo, a prescindere dai confini confessionali e dalla idee filosofiche che ciascuno abbia. La cosa notevole è che Papa Francesco ha rovesciato il paradigma antico, proprio di diverse religioni, non solo di quella cristiana, anche la religione greca vedeva nella peste, per esempio, una punizione del Dio Apollo. Il Papa ha rovesciato questo paradigma della peste come punizione, per dire invece che questo non è il momento del giudizio di Dio, ma è il momento in cui ognuno di noi deve giudicare come affrontare questa situazione. Affrontare questa situazione non significa soltanto cercare la salvezza, ma anche costruire un nuovo mondo, che sia un mondo inclusivo e non esclusivo». 

Il 27 marzo 2020, davanti a una Piazza San Pietro vuota, sotto la pioggia,  l’immagine di Papa Francesco solo in Piazza San Pietro è diventata immediatamente il simbolo, per credenti e non credenti, della drammaticità del momento che stiamo vivendo. Bergoglio chiese solidarietà: “Pensavamo di restare sani in un mondo malato”, perché “siamo tutti sulla stessa barca”. È la lettura sociale dell’epidemia di Papa Francesco in linea con il magistero del Santo Padre? 

«Sì, è un messaggio anzitutto in linea con quella che è la dottrina sociale della Chiesa da molti decenni. In una società globalizzata, che pendeva sempre più all’egoismo di gruppo, oltre che all’egoismo individuale, pontefici come Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e infine Francesco hanno sempre sottolineato il fatto che bisogna guardare al mondo come a un’unica famiglia umana. Quindi in questa pandemia è folle pensare di salvarsi da soli. In Italia, in Europa e nel resto del mondo è importante che tutti siano guariti, se tutti non guariscono o diventano immuni il contagio continuerà a perpetuarsi. Pensiamo alla questione dei vaccini, se i vaccini arrivano soltanto nei Paesi ricchi, è chiaro che nel Terzo Mondo ci saranno delle sacche di contagio, che con le moderne linee di comunicazioni rapidamente faranno tornare una diversa variante di virus in altri Paesi. Proprio in questi giorni, in Italia, assistiamo all’arrivo di nuove varianti del virus provenienti dal Sud Africa e dal Brasile. Ecco perché il Papa insiste giustamente, e in questo con il Pontefice ci sono moltissimi scienziati anche non credenti, sulla necessità che i mezzi sanitari del vaccino arrivino a tutti, non soltanto ad alcuni gruppi». 

Per Bergoglio c’è una sola via di uscita per la rinascita, riscoprire la “fraternità” e la “solidarietà” fra tutti gli uomini e le donne, caposaldo dell’Enciclica “Fratelli tutti”. Ma il mondo ha capito il progetto riformatore del Papa, cioè che si deve abbandonare sovranismo e populismo, per agire tutti insieme, anche per distribuire a tutti il vaccino anti Covid-19? 

«Papa Francesco in questo anno trascorso con grandi difficoltà si è rivelato non soltanto un grande leader religioso, ma anche come una grande voce autorevole a livello geopolitico. Non è un caso che durante l’anno della pandemia abbiamo pubblicato la sua Enciclica “Fratelli tutti”, sulla necessità che i cristiani si impegnino per una società che sia inclusiva e nella quale non ci siano emarginati e scartati. Al tempo stesso è stato un anno in cui il Papa più volte ha ricordato che il populismo sovranista e quindi essenzialmente egoista, è un movimento politico rovinoso per le Nazioni in cui si manifesta. Bergoglio ha ricordato che ci sono leader politici che parlano come i leader degli anni Venti, Trenta del Novecento e che questo porta sempre rovina e distruzione. Inoltre proprio in occasione della pandemia, parlando della necessità di ricostruire un sistema socio-economico ispirato a quella che il Pontefice chiama un’economia sociale di mercato, Papa Francesco con molta lucidità ha indicato quelle che sono le grandi diseguaglianze dell’epoca globale. In questo momento abbiamo duemila individui super miliardari, che possiedono quanto 4,6 miliardi di persone. È chiaro che una situazione del genere non è sostenibile. Ecco perché Francesco diventa portavoce di un’economia sociale, di fraternità e di un’economia che, al di là di qualsiasi visione ideologica o religiosa, garantisca tutti». 

Quali saranno le conseguenze della pandemia nella Chiesa e il progetto riformatore di Bergoglio, che il 13 marzo ha compiuto otto anni di pontificato, ne uscirà rafforzato o indebolito? 

«La pandemia è stata occasione, se ne sono accorte le persone più sensibili tra i vescovi, tra i preti e le suore, di riflessione e ripensamento per concentrarsi sull’essenziale che non è quello di fare tanti programmi o di correre da una riunione all’altra, ma di svolgere il lavoro del Buon Samaritano, cioè di stare vicino ai bisogni delle persone, che sono bisogni materiali e bisogni spirituali. Quest’anno è anche stato un anno importante per il pontificato di Bergoglio. Di fronte a un grande scandalo finanziario come quello del palazzo del Vaticano nel cuore di Londra comprato con i soldi delle offerte per i poveri, il Papa ha dato una risposta molto chiara, lasciando piena libertà agli organi investigativi vaticani di fare il loro lavoro di indagine. Francesco ha dimissionato il Cardinale Becciu, che non godeva più della sua fiducia a causa della cattiva amministrazione. Nello stesso tempo la pubblicazione del rapporto sul Cardinale statunitense Theodore McCarrick, ha dimostrato che la carriera del Cardinale era stata in qualche modo favorita nei pontificati precedenti mentre Bergoglio l’aveva allontanato per aver condotto una vita privata estremamente immorale, avendo anche abusato di minori, gli ha fatto fare il processo canonico, e in seguito allontanato dal Collegio cardinalizio per essere poi ridotto allo stato laicale. Francesco nel 2020 ha anche dimostrato che la Chiesa non solo ha bisogno di trasparenza e di rigore nella sua organizzazione, ma che il Papa è garante della trasparenza e del rigore, come chiedono i fedeli. A questo punto il progetto riformatore di Bergoglio esce rafforzato ed esce anche rafforzata la sfida che Papa Francesco pone alle realtà economiche, sociali, politiche per costruire una società che sia migliore di quella precedente la pandemia e non peggiore. Non a caso il Pontefice riassume tutto in questa frase: “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla” ».