La Via Crucis di Papa Francesco ha riportato l’attenzione sui ragazzi

Foto Vatican Media - Sir

È stata particolarmente suggestiva la Via Crucis del Venerdì Santo di Papa Francesco in san Pietro e insieme provocante per quanti si occupano di educazione. Una Via Crucis scandita dai testi di ragazzi e ragazze, molto attuali e con linguaggio semplice, a sottolineare disagi e momenti di difficoltà che ciascuno di loro attraversa nella vita quotidiana, in famiglia, a scuola. Disagi e difficoltà che forse gli adulti nemmeno percepiscono perché concentrati su altri problemi, afflitti da altri disagi e altre difficoltà.

E’ un po’ quello che sta accadendo nella società e nel momento attuale, segnato dalla pandemia, dove l’attenzione cade principalmente sulle “chiusure”, le zone rosse e le limitazioni al movimento e alle attività economiche, sulle ripercussioni sul lavoro e i drammi sociali veri e propri che ci portiamo dietro. Drammi veri, situazioni che meritano effettivamente l’attenzione e la preoccupazione di tutti, ma che hanno per protagonisti prevalentemente gli adulti.

Dei più piccoli, in verità, non è che ci siamo dimenticati. Molte volte e in diversi modi è stata sottolineata, ad esempio, la drammaticità dell’assenza di relazioni, delle conseguenze della scuola negata. Tuttavia non si avverte come tali problematiche possano essere una vera priorità per il nostro Paese.

La Via Crucis del Papa, invece, ha esordito con un’invocazione singolare: “Caro Gesù, Tu sai che anche noi bambini abbiamo delle croci, che non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi, ma sono delle vere e proprie croci, che sentiamo pesanti anche di notte. E solo Tu lo sai e le prendi sul serio. Solo Tu”.

“Solo Tu”. Questo intercalare è ricorso a più riprese nell’introduzione della Via Crucis, quasi a sottolineare una situazione di abbandono dei più piccoli, poco ascoltati e poco compresi dagli adulti forse perché questi non hanno talvolta occhi e orecchie attenti a cogliere il lamento che viene dai bambini. E allora ecco la preghiera, rivolta a Gesù che “è stato bambino” e che “non abbandona” mai: “Solo Tu sai quanto è difficile per me imparare a non aver paura del buio e della solitudine. Solo Tu sai quanto è difficile non riuscire a trattenermi e risvegliarmi ogni mattina tutto bagnato. Solo Tu sai quanto è difficile non riuscire a parlare bene come gli altri, a pensare svelto e a fare i conti giusti. Solo Tu sai quanto è difficile vedere i miei genitori litigare e sbattere forte la porta e non parlarsi per giorni. Solo Tu sai quanto è difficile essere preso in giro dagli altri e accorgersi di venire escluso dalle feste. Solo Tu sai che significa essere povero e dover rinunciare a quello che hanno i miei amici. Solo Tu sai quanto è difficile liberarsi da un segreto che mi fa tanto male e non sapere a chi dirlo per paura di essere tradito, accusato o non creduto”.

Impossibile non farsi provocare. Quel “Solo Tu” chiama in causa tutti noi che ci occupiamo dei più piccoli. A casa e a scuola. Chiama in causa chi ha responsabilità educative per essere più avveduto a cogliere i segnali, le richieste di aiuto, le occasioni di costruire benessere. Chiama in causa, anche, chi ha responsabilità politiche, per costruire una società e attrezzare un sistema educativo che non lasci indietro nessuno in modo concreto, cioè venendo incontro ai bisogni che si riversano – volenti o nolenti – nelle nostre scuole. Cultura, competenze, certo. Ma insieme – e probabilmente prima – senso di sicurezza, accudimento, consapevolezza di sé,. Amore, in ultima analisi. Perché l’educazione – e la scuola fa parte di questo “sistema” – altro non è che un grande gesto di amore.