Come salvare il mondo cambiando il nostro modo di viverlo. Intervista a Valerio Rossi Albertini

Quello in cui viviamo è un Pianeta sempre più in affanno, che continuamente lancia allarmi inascoltati. Il più evidente e significativo è il cambiamento climatico, che ha reso ormai da anni le estati italiane con caldo intenso e violenti acquazzoni, caratteristiche tipiche dei climi tropicali. Siamo quindi sull’orlo di una catastrofe climatica come sostengono gli scienziati, Greta Thunberg e i giovani di Fridays for Future. Eppure non tutto è perduto e qualcosa si può ancora fare. Ne è convinto Valerio Rossi Albertini, che nel suo manuale “green”,“Un Pianeta abitabile. Come salvare il mondo cambiando il nostro modo di viverlo” (Longanesi 2020, Collana “Nuovo Cammeo”, Illustrazioni di Ilaria Bruciamonti, pp. 280, 16,00 euro), offre strategie semplici per salvare il mondo che abitiamo. 

L’autore, fisico molecolare e noto divulgatore televisivo, nel testo elenca le ferite che l’uomo ha inferto alla natura, chiarendo che cosa possiamo ancora fare per curarle, perché se la vita nel Pianeta Terra è sempre più inquinata, la nostra esistenza è sempre più in pericolo. 

Ne parliamo con Valerio Rossi Albertini, primo ricercatore al Consiglio Nazionale delle Ricerche, docente di Divulgazione della Scienza presso l’Università Roma 2, il quale svolge attività di divulgazione in numerosi programmi televisivi delle reti nazionali ed è consulente scientifico delle reti Rai.

Prof Rossi Albertini, nel libro dimostra l’assunto che i problemi ambientali fatalmente si ripercuotono sulla vita degli esseri umani. Una dimostrazione di ciò è la pandemia da Covid-19, che ha cambiato per sempre le nostre vite? 

«Non si può certamente dire che la pandemia sia un effetto diretto della contaminazione ambientale, ma nel momento in cui la pandemia ha cominciato a svilupparsi la situazione ambientale ha rivestito un ruolo importante. Infatti, le aree più colpite sono quelle a maggiore tasso di industrializzazione. I medici hanno ravvisato questa correlazione tra la diffusione epidemica e le condizioni ambientali avverse nel fatto che in una zona in cui c’è contaminazione aerea, i polmoni di chi respira quell’aria sono già sotto stress, e in molti casi infiammati in maniera cronica. Quindi un virus che aggredisce le vie respiratorie ha buon gioco. Già questo sarebbe il primo elemento, che può mettere in correlazione i due eventi. Seconda cosa l’origine della pandemia. Non possiamo escludere che si sarebbe verificata anche in altre circostanze, ma certamente il fatto che la contaminazione sia avvenuta attraverso il salto di specie tra pipistrelli che non erano mai venuti a contatto con gli esseri umani, perché abitavano nel folto della foresta, e per la prima volta sono venuti a contatto con gli umani, che si sono spinti all’interno del loro territorio. La deforestazione è una delle grandi piaghe dell’Oriente, dove si disbosca in maniera indiscriminata. Dunque il salto di specie è stato possibile perché il Coronavirus, presente nei pipistrelli in forma endemica ma tenuto sotto controllo dal loro sistema immunitario, è passato all’essere umano, il quale finora non era mai entrato in contatto con questo virus. E ne sta scontando le conseguenze». 

Per quale motivo, nonostante gli svariati allarmi che ci lancia il Pianeta, continuiamo a comportarci come “vandali indesiderati” e non come “graditi ospiti”?  

«Questa è un’espressione che ho utilizzato per far capire che ormai abbiamo la consapevolezza dei danni che abbiamo arrecato all’ambiente. Cinquant’anni fa poteva esserci l’attenuante di non avere la percezione esatta delle ripercussioni anche molto violente delle nostre azioni, si pensava che le risorse ambientali potessero essere illimitate, che potessero soddisfare le nostre esigenze. L’uomo che vive in determinate zone del Pianeta sta influenzando tutta l’atmosfera. Pensiamo alla contaminazione degli Oceani con la plastica, un prodotto di scarto che abbiamo iniziato a disperdere nell’ambiente soltanto negli anni Settanta, perché prima non esisteva, pensavamo di potercene disfare più facilmente. Adesso sappiamo che la plastica ha una durata molta lunga e sta contaminando in maniera determinante gli Oceani, tanto che l’Isola di Plastica nel Pacifico, che cito nel libro, ha dimensioni confrontabili con l’Australia. È come un continente ormai. Le proiezioni ci dicono che se continueremo così, nei prossimi trent’anni, nel 2050 ci sarà più plastica che pesci negli Oceani e nei mari. Ciò significa che l’homo sapiens per la prima volta nella storia naturale è una specie in grado di alterare in maniera irreversibile le condizioni planetarie nel suo complesso».

Secondo Lei la “Laudato sì’”, l’enciclica verde di Papa Francesco, ha smosso le coscienze di chi credeva che parlare di ecologia fosse per pochi? 

«Sì, perché è stato un richiamo a tutta la popolazione cattolica nel mondo, ma anche i laici hanno guardato a questa enciclica e guardano a Papa Francesco come un leader ambientalista. Se poi questo sia sufficiente è difficile saperlo, perché le buone intenzioni confliggono sempre con gli interessi economici».  

Il 28 ottobre 2018 un vento con raffiche che superavano i 220 chilometri orari ha abbattuto qualche milione di alberi sulle Alpi bellunesi e trentine. Questo disastro si deve attribuire alla tropicalizzazione del nostro clima? 

«Sì, perché non si era mai verificato a memoria d’uomo un evento di questo genere. È stata una tempesta tropicale anche se queste di norma si sviluppano ai Tropici, mentre le Alpi sono al di là del quarantacinquesimo parallelo. Quindi anche se di poco sono più vicine al Polo Nord che all’Equatore, a differenza dei Tropici che sono a cavallo dell’Equatore. È stata una tempesta tropicale, che ha avuto una direttrice folle: queste tempeste si sviluppano lungo le direzioni che sono definite dal circolo equatoriale, cioè in direzione est ovest, mentre invece questa è stata una che ha avuto una direttrice sud nord. Uno sconvolgimento meteorologico di cui non c’era stata testimonianza in passato, la cui conseguenza è stata un evento catastrofico». 

Nel testo scrive che la produzione di energia con metodi tradizionali è uno dei fattori principali d’inquinamento del nostro Pianeta, soprattutto dell’aria. Quali politiche energetiche dovrebbero adottare i singoli Stati? 

«Basterebbe che mettessero in pratica quello che tutti hanno promesso solennemente che avrebbero fatto. Le cosiddette COP, cioè le Conferenze delle parti, dove per parti si intendono gli Stati coinvolti in questi disastri, che hanno come documento conclusivo ratificato l’intenzione di tutti gli Stati, anche se ogni tanto qualcuno si sfila, di passare a delle forme di produzione di energia sostenibile. Quindi le fonti rinnovabili, quelle che sfruttano le forze della natura per produrre energia e non tutti i fossili, carbone, petrolio, gas naturali che sono molto inquinanti». 

Ci lascia un esempio di come ciascuno di noi, nel nostro quotidiano, può adottare concretamente, una serie di strategie o comportamenti virtuosi per tentare di arginare il disastro al quale più o meno inconsapevolmente stiamo contribuendo? 

«Che siamo inconsapevoli non ci credo più. Siamo nell’epoca della comunicazione globale, chi vuole sapere è perfettamente in grado di apprendere che quello che stiamo facendo è un danno che si ripercuoterà contro di noi, e nelle nostre vite le conseguenze si stanno sentendo. Possiamo fare tante cose, una per esempio: dobbiamo sostituire in maniera sistematica tutti quanti quegli apparecchi, macchine, apparati che ora sono alimentati da combustione di gas, carbone o petrolio, con altri apparati, che siano invece alimentati da corrente elettrica generata da fonti rinnovabili. Molte abitazioni hanno ancora le caldaie a gas (responsabili del 50% dell’inquinamento che respiriamo), che si possono sostituire con pompe di calore elettriche. Ed ecco che viene eliminata tutta la produzione di anidride carbonica e di particelle inquinanti da caldaie. Stessa cosa per le automobili. Le automobili a combustione interna alimentate da gasolio, benzina o GPL possono essere sostituite da auto elettriche. Nel momento in cui convertissimo tutti gli impianti di riscaldamento in pompe di calore, le auto in elettriche, arriveremmo alla condizione che l’aria delle nostre città sarebbe finalmente libera da agenti inquinanti. Ci sarebbe un vantaggio economico immenso, perché a causa della contaminazione dell’aria, come accennato all’inizio del nostro colloquio, noi abbiamo settantamila decessi ogni anno certificati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente e un numero considerevole di malati cronici che pesano sulla Sanità. Quindi dobbiamo spendere una quantità strepitosa di quattrini per curare le persone, quando potremmo invece prevenire le malattie investendo per eliminare le cause inquinanti».

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