Storia delle visite pastorali nella diocesi di Bergamo: l’epoca di Gregorio Barbarigo

Prosegue il nostro cammino storico sulle visite pastorali dei vescovi di Bergamo alla diocesi nel corso dei secoli. In questo contributo affrontiamo l’episcopato del vescovo cardinale Gregorio Barbarigo (1657-64) e dei successori fino alla caduta di Venezia (1797). Questa lunga epoca vide il definitivo consolidarsi delle caratteristiche religiose dalla diocesi bergamasca che hanno caratterizzato in maniera inconfondibile, fino a decenni recenti, il volto della Chiesa di Bergamo.

GREGORIO BARBARIGO (1657-64)

Gregorio Barbarigo (nominato cardinale nel 1660) è considerato il più grande vescovo di Bergamo del Seicento e probabilmente il miglior vescovo italiano dell’epoca. Il suo pur breve episcopato bergamasco è una tappa fondamentale nell’opera di rinnovamento secondo le direttive del Concilio di Trento. Dotato di un altissimo ideale del sacerdozio, di un carattere molto determinato e del suo continuo riferirsi all’opera riformatrice del cardinale Carlo Borromeo, si dimostrò un vescovo capace di individuare i problemi e di prontezza nel risolverli. Fu il primo vescovo diocesano a introdurre l’uso del questionario destinato ai parroci alla vigilia della visita pastorale, con una serie di domande su clero e popolo. La visita pastorale gli mostrò che varie mete delle riforme tridentine erano generalmente state raggiunte: cura pastorale regolare, residenza continua dei parroci, soddisfazione della popolazione verso il clero, dottrina cristiana attiva in ogni parrocchia. Nonostante ciò, il Barbarigo non fu completamente soddisfatto ed espresse giudizi negativi, per esempio di aver trovato non pochi sacerdoti non all’altezza della loro missione, carenti culturalmente, incapaci di spiegare il catechismo e poco entusiasti nella loro missione. Questi giudizi contrastano con quelli elogiativi espressi pochi anni prima dal predecessore Luigi Grimani (1633-56). Secondo lo storico monsignor Goffredo Zanchi, questi giudizi negativi sono spiegabili alla luce dell’altissimo ideale sacerdotale del Barbarigo, per cui non gli sembravano sufficienti i pur evidenti miglioramenti avvenuti.

Avvertendo questa realtà nella visita pastorale, il Barbarigo decise i rimedi che risultarono efficaci. Per il clero: continua formazione del clero cominciando dal Seminario (più disciplina, docenti anche extradiocesani, severità nell’ammissione alle ordinazioni), elevazione del livello spirituale e culturale (esercizi spirituali, maggiore conoscenza delle opere spirituali e teologiche, adunanze periodiche zonali, controlli dei preti non in diretta cura d’anime). Per il popolo cristiano: missioni straordinarie parrocchiali, dottrina cristiana dai giovani agli adulti, separazione dei due sessi (in chiese, stalle e filande), vita sacramentale più intensa, nascita di nuove confraternite. Nel 1664 venne nominato vescovo di Padova, portando con sé alcuni sacerdoti bergamaschi da lui preparati, che lo avevano aiutato nel governo della diocesi.

I VESCOVI SUCCESSIVI

Daniele Giustiniani (1664-97) proseguì nel solco del predecessori. Molto attenta la sua prima visita pastorale, a cui ne seguì un’altra, terminata nel 1693 quando era quasi ottantenne.

Il successore Luigi Ruzini (1697-1708) è considerato l’imitatore più fedele del Barbarigo, di cui proseguì e radicò le iniziative nel tessuto diocesano. La sua visita pastorale, durata sei anni, è considerata la più minuziosa e completa dell’età moderna e venne caratterizzata anche da una novità: l’incontro nella parrocchia, alla vigilia del suo arrivo, con il clero locale per instaurare una maggiore conoscenza reciproca. Ovunque venne accolto con grandi feste, nonostante avesse espressamente chiesto l’assenza di manifestazioni esteriori. Visitò anche le frazioni, entrava nelle classi della dottrina cristiana per interrogare e stroncò tutto ciò che poteva rasentare la superstizione. La sua azione venne purtroppo interrotta dalla morte, non ancora cinquantenne, dopo essersi contagiato nell’ospedale di San marco dove spesso si recava per assistere gli ammalati e svolgere umili lavori.

Scrupolosa anche la visita pastorale del cardinale Pietro Priuli (1708-28). Gli succedette il cardinale Leandro Porzia (1728-30) che non venne mai a risiedere a Bergamo.

Complesso il lunghissimo episcopato di Antonio Redetti(1731-73). Pur proseguendo nel solco dei predecessori, introdusse una pastorale morale molto rigorista, accusata di filogiansenismo, segnatamente nei compiti dei confessori, ricevendo forti critiche da parte del clero, ma cui dovette difendersi pubblicamente. Queste polemiche, unite all’incerta salute, ne rallentarono l’azione e spiegano il ritardo nell’indire la sua unica visita pastorale nonostante i quarantadue anni di guida della diocesi, durante la quale controllò soprattutto i doveri del clero e i rischi di superstizione. Al riguardo, è da ricordare il parroco di Sorisole don Giovanni Antonio Rubbi (1693-1785), di cui è in corso il processo di beatificazione, la cui opera taumaturgica e le famose benedizioni di uomini e animali richiamavano migliaia di fedeli da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. Questi fatti furono contestati da parte del clero, per cui il Redetti si vide costretto a proibirgli le benedizioni, divieto poi tolto, pur permanendo alcune restrizioni, dietro le pressioni del popolo e delle autorità.