Turchia: “Esistono anche le “democrature”. Non basta votare per essere liberi”

Hanno fatto discutere le parole del Presidente del Consiglio Mario Draghi che, qualche settimana fa, commentando il cosiddetto “sofagate”, ha dato del dittatore a Erdoǧan. Un’affermazione che ha suscitato la rabbia del presidente turco, provocando da parte sua una risposta piccata. Ha definito l’affermazione di Draghi “totale maleducazione” rinfacciandogli di essere stato “nominato, non eletto”. Uno scontro, quello tra Draghi e Erdoǧan, che, secondo il parere di alcuni opinionisti, porterà a un’inevitabile crisi diplomatica fra Roma e Ankara, comportando anche ripercussioni economiche. Non è però di questo avviso Marta Ottaviani, giornalista, fra i massimi esperti di Turchia (autrice, per Textus Edizioni, del libro «Il Reis. Come Erdoǧan ha cambiato la Turchia»), che, al contrario, giudica coraggioso quanto espresso da Draghi, intravedendovi un possibile primo passo verso un mutamento dei rapporti fra Italia e Turchia, vantaggioso per il nostro Paese. 

Marta Ottaviani, perché il Presidente del Consiglio Mario Draghi ha proferito quelle parole?

Innanzitutto, il presidente Draghi stava rispondendo a una domanda, nel mezzo di una conferenza stampa. La domanda, postagli da un giornalista, riguardava, come già si sa, il caso diplomatico, piuttosto antipatico, del “sofagate”, ovvero quel pasticcio di cerimoniale che ha lasciato la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen tutta sola su un divanetto, mentre Charles Michel, Presidente del Consiglio europeo, si è seduto a fianco di Erdoǧan. Sarebbe interessante scoprire se Draghi abbia usato quel termine di proposito o se gli sia sfuggito di bocca. Ad ogni modo, secondo me, ci si dovrebbe maggiormente soffermare su quel che il premier ha detto successivamente. Ovvero, come bisogna trattare con questo genere di governi e di governanti. È innegabile che non si possano evitare rapporti con Paesi importanti come la Turchia, ma bisogna anche essere capaci di non farsi mettere i piedi in testa, cercare di trovare il giusto equilibrio fra quello che desideriamo ottenere e ciò che dobbiamo loro concedere. Questo è il messaggio e si nutre di una amara fattualità: con la Turchia, ultimamente, eravamo diventati troppo accondiscendenti. 

Draghi ha definito Erdoǧan un dittatore, aggiungendo, però, che di questi dittatori «si ha bisogno per collaborare». Che ne pensa?

Sono state parole molto forti, ma andavano assolutamente dette, per far capire alla Turchia che non si può più prendere certe libertà. È ipocrita chi preferisce lunghi giri di parole e ridicole perifrasi per evitare di definire la Turchia una dittatura. Del resto, se le dichiarazioni del premier hanno suscitato protesta e malcontento, significa che l’obiettivo è stato centrato. L’ipocrisia, però, è anche quella di von der Leyen e Michel, che hanno tenuto maniere sempre molto ossequiose nei confronti di Erdoǧan. Penso, fra l’altro, anche alla macro-immagine del corteo iniziale, quella in cui Ursula von der Leyen è stata, tutto il tempo, due passi indietro rispetto ai due uomini. Quest’immagine è simbolica. Non solo la dice lunga sulla questione sessismo, ma svela anche quale sia, per il presidente turco, l’interlocutore privilegiato: non la Commissione europea, bensì il Consiglio europeo. Il fatto che Erdoǧan abbia dato la precedenza a Michel, indica come non riconosca l’autorità della Commissione. Ben vengano, quindi, le parole di Draghi. O cerchiamo di dare un senso ai valori di libertà, diritto e democrazia o è inutile parlare di Europa e Unione Europea.  

In Turchia operano imprese di ogni tipo, da Unicredit a Piaggio, da Finmeccanica a Barilla. L’Italia ha da temere per il proprio business? Ci saranno delle rappresaglie?

Se i rapporti fra Italia e Turchia peggioreranno, non è detto, comunque, che ci saranno anche delle ripercussioni economiche. Del resto, lejkh crisi diplomatiche che la Turchia ha avuto in passato con altri Paesi non sono mai andate a inficiare gli scambi commerciali. Ora come ora, inoltre, ad Ankara non conviene avere problemi con l’Italia: la situazione economica della Turchia non è floridissima e Erdoǧan, nonostante sia un personaggio vendicativo e umorale, dovrà far prevalere il buon senso. Ciò, forse, potrà tramutarsi in un vantaggio per il nostro Paese. Prima di Mario Draghi, nessuno aveva lanciato un messaggio così assertivo a Erdoǧan. Ma è anche vero che, se Erdoǧan pensa che il dialogo con l’Italia sia utile e necessario, non saranno certo le parole inaspettate del nostro premier a fargli cambiare idea al riguardo.

E la sospensione del contratto con Leonardo?

Rumors. Che un contratto venga sospeso per le parole di Draghi mi pare poco credibile. Credo che in gioco ci siano invece altre questioni, che hanno a che fare con la volontà di assegnare le commesse a chi promette di produrre il più gran numero di componenti possibili su territorio nazionale turco. La Turchia ambisce alla realizzazione di una grande industria di difesa propria. L’Italia è da sempre un Paese amico della Turchia e la Turchia di Paesi amici non ne ha molti. Non avrebbe molto senso inasprire i rapporti con Roma e, soprattutto, con un premier che ha una scadenza di mandato precisa.

Quindi questa crisi si risanerà presto?

Probabilmente ci vorrà qualche mese. Bisogna poi vedere che tipo di governo ci sarà dopo Draghi e che politica estera vorrà perseguire. Mi auguro si rimarrà nel solco tracciato da Draghi, quello che vede un’Italia orgogliosamente atlantista, non dimentica della sua storia e del contesto culturale in cui si è esplicata la sua politica. Presto, ci sarà altro di cui parlare. Penso alle tensioni fra Turchia e Grecia. A tal proposito, mi auguro che l’Italia prenderà le parti della Grecia, Paese facente parte dell’Unione Europea, che subisce l’aggressività della politica turca.

I cristiani, in Turchia, hanno da temere qualcosa?

Spero di no, sarebbe molto grave. Diciamo, però, che i cristiani che si trovano in Turchia non possono dormire sonni tranquilli, per la recrudescenza islamista, dal retrogusto ottomano, che, da anni, è presente in Turchia.       

L’influenza della Turchia cresce nei Balcani e in Libia (un tempo interlocutore privilegiato dell’Italia). Qual è il progetto di Erdoǧan? In uno scenario geopolitico, che vede Usa, Russia e Cina sempre più in fibrillazione, che ruolo occupa la Turchia?

La politica estera di Ankara è una politica neo-imperiale, se così si può dire. La Libia, per la Turchia, è un terreno decisamente appetitoso e strategico: dalla Libia, si può controllare il sud del Mediterraneo e poi, ovviamente, ci sono i pozzi di petrolio (i contratti dell’Eni, un giorno, scadranno). Anche attraverso i Fratelli Musulmani, Erdoǧan cerca di ritagliarsi un posto di prim’ordine in questa zona del Nordafrica. Per quanto riguarda il resto, la Turchia è un battitore piuttosto libero. Ha pochissimi amici e quei pochi che ha non le sono molto fedeli. Con gli Usa, per il momento, ha un brutto rapporto; con la Russia, invece, intrattiene una solida amicizia, anche se questa, spesso, è messa a repentaglio da certi teatri di guerra, penso alla Siria, all’Asia centrale, al Caucaso e alla stessa Libia. Necessariamente buono è il rapporto con la Cina (poche nazioni possono permettersi di fare la voce grossa con la Cina), anche perché la Turchia, punto di incontro fra Oriente e Occidente, gioca un ruolo fondamentale nel progetto Belt and Road Initiative, che andrà a plasmare il commercio del futuro. Fondamentalmente, la Turchia è una potenza di medio calibro, ma persegue una politica di calibro medio alto. Se lo può permettere? Per me, no. Non solo da un punto di vista militare, ma anche e soprattutto economico.

Erdoǧan è stato democraticamente eletto. È davvero un dittatore? 

È dal 2015 in poi che sulle elezioni turche pesa il dubbio di brogli alquanto consistenti. Ad ogni modo, non credo che la democrazia sia tale solo quando si va a votare. Le dittature cambiano manto. Non credo vedremo più una dittatura sui modelli degli anni Venti o Trenta del Novecento. Possiamo invece parlare di “democrature”, ovvero regimi in cui si esercita un potere assoluto, lasciando una parvenza di libertà e di vita parlamentare. La Turchia non è una democrazia e Erdoǧan può essere definito dittatore senza problemi. Relegare il concetto di democrazia al semplice esercizio del voto è una fallacia. Anche perché pure Hitler ascese al potere tramite il voto.