Convivere all’oratorio: la vita di comunità è una bella sfida, a qualsiasi età

Cara suor Chiara, sono rimasta colpita dalla testimonianza di alcuni ragazzi di un oratorio di Varese che raccontavano l’esperienza vissuta insieme: una convivenza sicura in oratorio – fatta secondo regole di sicurezza – per ritrovare i legami sociali in un momento in cui gli adolescenti sono penalizzati, non possono stare insieme liberamente, e molti di loro si rinchiudono in casa. Mi è sembrata una bella idea: la vita di comunità – in questo caso vissuta con la guida dei curati e degli educatori della parrocchia – potrebbe avere un valore aggiunto per i nostri giovani anche dal punto di vista della fede e magari distoglierli da altre idee di “trasgressione” che in questa età sono frequenti. Che cosa ne pensa lei da monaca che sperimenta tutti i giorni la vita di comunità, anche in questo tempo difficile? Potrebbe essere un’idea da “copiare”? Un caro saluto.

Maria Grazia

La vita di comunità è sempre arricchente, cara Maria Grazia, benché molto impegnativa! Per i ragazzi e gli adolescenti, come per ogni persona, le relazioni amicali sono indispensabili al fine di crescere verso in umanità e adultità! Abbiamo tutti sete e fame di vita, di socialità, di amicizia. Gravemente penalizzati dalla pandemia nel vitale desiderio di stare insieme, i nostri giovani – come tutti del resto – “gridano”, con molteplici linguaggi, il loro bisogno di rapporti fraterni. 

Ben vengano, allora, iniziative che li aiutino, in totale sicurezza da ulteriori contagi Covid, a ritrovare legami sociali sani, godendo dello stare insieme nel gioco, nella condivisione, nella fatica del quotidiano, sotto l’azione educativa di sacerdoti e di animatori! 

Nessuno, tanto meno i giovani, può prescindere dalla dimensione relazionale dell’esistenza! Essa, infatti, caratterizza la persona umana creata ad immagine e somiglianza di Dio che, per eccellenza, è relazione. Non si dà essere umano che non abbia un tale “Dna!”. 

A questo proposito è interessante e particolarmente illuminante la sintesi coniata dallo psicologo Ezio Aceti, il quale afferma che “la nostra identità più vera, i nostri cromosomi sono quelli della relazione”. Egli spiega: “Quando un bambino nasce ha due tipi di cromosomi. I cromosomi della creatura terrestre, che sono quelli biologici, portati dai genitori, il colore degli occhi, dei capelli e così via. Poi vi sono i cromosomi della creatura celeste, quella creatura che riguarda l’immagine di Dio”. Aceti li descrive così: “Vi sono almeno cinque cromosomi dell’immagine di Dio: l’uomo è relazione, come Dio è relazione; l’uomo è programmato per l’amore, come Dio è amore; la verità genera gioia e la falsità tristezza, come Dio è pura verità; è sempre possibile ricominciare. E questo – continua lo psicologo – è un dono di Dio affinché la terra creaturale diventi creatura celeste. Nell’uomo è depositato un terzo orecchio, ove vive lo spirito, luogo dell’incontro fra lo spirito umano e lo Spirito Santo. È straordinario quello che Dio ha fatto nel creare l’uomo, il vertice della creazione, la cosa più bella che esista”. 

Ogni giorno, vivendo in fraternità, sperimentiamo molto bene, “sulla nostra pelle”, la verità di quanto sopradetto: non cresciamo in umanità e in comunione con Dio, se non nella relazione. 

Essa, tuttavia, è come un cantiere sempre aperto e, come tale, in continua costruzione ed evoluzione. Innanzitutto nessuno può dirsi arrivato o sentirsi esonerato da questa vocazione che ha le sue origini nella genesi dell’umanità, nemmeno l’eremita che vive in totale solitudine e in preghiera (non dimentichiamo che la preghiera è la forma più alta di relazione); in secondo luogo necessita dell’apporto di tutti e di ognuno, nella disponibilità a condividere gioie e fatiche, ansie e speranze per un bene più grande della nostra stessa vita; infine è un ottimo antidoto contro l’individualismo, il narcisismo e tanti altri “…ismi” che conosciamo molto bene. 

L’impegno, il coinvolgimento, la dedizione incondizionata, l’umiltà e la disponibilità a mettersi in gioco “sporcandosi le mani”, ricominciando ogni giorno nonostante le cadute, le fragilità e gli egoismi sono, infatti, le condizioni “sine qua non”, affinché il dono della relazione fraterna porti frutti traboccante. 

Ma, …e “qui casca l’asino!”…Siamo disponibili a fare “il primo passo” nelle relazioni e passare da semplici fruitori di fraternità a costruttori responsabili di relazioni buone, maggiormente libere da interessi personali o di gruppo?

La sfida è aperta. Non c’è che auguraci reciprocamente buon lavoro e… buon divertimento!