Cosa resta a me, e ai miei figli, di una didattica a distanza che molto ci ha cambiati.

Di questa Dad mi resterà tanto. Mi resteranno i “mi sentite?!”, i “maestra posso andare in bagno?”, i “maestro non si vede niente!”. Mi resterà l’essere entrata, virtualmente, nelle aule di scuola e nelle case dei compagni. Mai e poi mai avrei potuto scoprire così da vicino di quale immensa pazienza siano dotati gli insegnanti della scuola primaria, che, in pratica, non fanno in tempo a introdurre il titolo della lezione senza che nel mezzo ci siano state almeno cinque interruzioni della serie “ma scriviamo a pagina nuova?”, “in rosso?”, “non ho capito”.

Mai e poi mai avrei potuto farmi un’idea così chiara di quante differenze ci siano nei contesti di riferimento dei bambini. Chi sta coi nonni quasi tutto il giorno, chi è lasciato a se stesso, chi è super volenteroso, chi i compiti non li fa, chi ha un computer a disposizione e a sei anni lo usa già meglio di me, chi deve accontentarsi di guardare la lavagna attraverso il monitorino del cellulare, chi si arrangia, chi dai genitori è sin troppo aiutato. Nulla di nuovo, ma la Dad la realtà te la sbatte in faccia, senza sconti. E ti fa aprire gli occhi su ciò che dai per scontato: l’importanza della scuola in presenza. Di tutto ciò che non è didattica, ma forma l’essere umano profondamente.

La maestra che ti osserva, ti chiede come stai, ti aiuta a socializzare e a tirar fuori problemi e paure. I compagni coi quali ti confronti, litighi, giochi, impari a mediare. Gli amici che ti suggeriscono la risposta giusta, quelli coi quali scambi le figurine di nascosto, quelli che ti dicono che con quella maglietta addosso stai proprio male. I ragazzi più grandi che prepotentemente ti insegnano che certe questioni si affrontano di petto, altre scappando, altre ancora dialogando. Sono lezioni di vita che no, la Dad non può insegnare.

Eppure, la didattica a distanza insegna tanto. Insegna che la scuola può (e deve) aggiornarsi, cambiare, rivedere programmi e modalità d’insegnamento. I bambini, a sei anni, sanno gestire mail, compiti su Classroom, meet e presentazioni online. Usano tablet, cellulari, pc. Imparano l’inglese alla velocità della luce, cercano forme nuove d’apprendimento. Interattive, stimolanti, multidisciplinari. Agli insegnanti è richiesto tanto, c’è un grande salto da fare. Ma chi ci riesce, chi ha voglia di aprirsi al nuovo, di aggiornarsi, di accettare le sfide, può spalancare nuove porte e intraprendere strade inesplorate.

Voglio sperare che tutto quanto abbiamo vissuto possa servire a migliorarsi, a ripartire con una marcia in più. Per quanto mi riguarda la Dad mi ha insegnato a non dar nulla per scontato. Ho scoperto di aver risorse che nemmeno immaginavo, ho fatto tesoro del tanto tempo trascorso coi miei figli nel tentativo di fare non solo da mamma ma anche da educatrice, da amica di giochi, da allenatrice. Ho imparato ad accettare la fatica e lo sforzo di tutti, ho cambiato modo di guardare alla scuola. L’apostrofo e le tabelline s’imparano, lo “stare al mondo” si costruisce nel tempo, passo dopo passo, vivendo a contatto con gli altri.

“Non vedo l’ora di andare a scuola”. Fino a due anni era quanto di più assurdo potesse capitare di sentir dire. Oggi è un dato di fatto. I miei bimbi lo dicono spesso. Tommy sa che l’intervallo, i giochi coi compagni in giardino, le lezioni in aula, le chiacchierate con le maestre sono preziose. Di questo sì, sono grata alla Dad.