Il lavoro oggi in Italia. Intervista a Linda Laura Sabbadini, Direttore centrale Istat

1° Maggio, Festa dei lavoratori. Ma il lavoro, che nobilita l’uomo e la donna, latita sempre di più al tempo della pandemia. Le stime preliminari dell’Istat parlano di un milione di persone in più in povertà assoluta nel 2020, cioè 225 mila famiglie, e un calo record dei consumi, che tornano al livello di ventuno anni fa. Ma c’è anche una triste novità: nel Nord produttivo del Paese, là dove la ricchezza è più alta, a crescere di più è la povertà.

Ne parliamo con Linda Laura Sabbadini, Direttore centrale dell’Istat (Istituto Nazionale di Statistica).

Dottoressa Sabbadini, le stime preliminari dell’Istat, dicono che in Italia le persone in povertà assoluta sono 7,4 milioni, il 9,5% della popolazione (contro il 7,7% dell’anno precedente), quasi un italiano su 10. Colpite le famiglie con figli minori con un’incidenza di povertà assoluta che sale all’11,6%. È la ferita sociale della pandemia?

«La pandemia ha avuto un effetto dirompente. Anche perché la crescita della povertà assoluta è avvenuta nonostante la cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti. I settori più colpiti sono stati i servizi, in particolare turismo, ristorazione, servizi domestici, spesso è venuto a mancare il reddito delle donne e in presenza di figli ciò ha provocato una caduta in povertà specie delle famiglie operaie. Particolarmente colpite le famiglie straniere specie quelle dove le donne lavoravano nei servizi domestici».

La povertà tra gli under 18 che sale da 11,4% a 13,6% per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri è uno dei risultati più drammatici della crisi in atto?

«Sicuramente. Si combina l’alta povertà dei bambini del Sud con quella dei bimbi stranieri del Nord e figli delle famiglie operaie. Purtroppo ciò era avvenuto già nella precedente crisi. I minori erano già i più poveri tra tutti i segmenti di popolazione, seguiti dai giovani fino a 34 anni. Continua a essere così. Anche ora. E anche la popolazione giovanile vede crescere la povertà».

L’aumento della povertà non tocca la popolazione anziana, né i ritirati dal lavoro. Ce ne vuole parlare?

«Anche in questo caso si è ripetuto ciò che è avvenuto nella crisi precedente. Mentre negli anni ‘80 erano gli anziani a essere più poveri, ora non più, la pensione è elemento protettore dalla povertà. E non protegge solo gli anziani, ma anche figli adulti, che hanno perso il lavoro».

Il Nord è passato da un indice di povertà del 5,8% al 7,6% a livello familiare. A cosa è dovuto?

«Alla gravità della pandemia che è stata maggiore al Nord, al fatto che sono state colpite molte famiglie operaie nei servizi. E anche al maggior peso degli immigrati».

Una recessione al femminile, è stato coniato il termine “shecession” (she-recession). Posti di lavoro persi, divario salariale crescente, aumento dei lavori di cura non retribuiti e un welfare sempre più assente. La pandemia sta riportando l’orologio delle donne indietro di decenni?

«Non lo credo. Le donne sono state colpite fortemente. Ma hanno una grande forza. Gran parte degli avanzamenti che hanno fatto negli anni è frutto di questo. Investono in formazione, in cultura, vogliono realizzarsi su tutti i piani. Ce la faranno. Ma dovranno studiare di più, iscriversi di più all’università. Al sud solo le laureate hanno un tasso di occupazione superiore al 60%».

Le famiglie straniere, che hanno subito un forte calo di occupazione detenendo il record di incidenza di povertà, il 25,7%, quattro volte quella delle famiglie solo di italiani, sono le grandi dimenticate della crisi economica da Covid-19?

«Sì lo sono. Se ne parla molto poco. Soprattutto le donne sono state colpite, perché svolgono in gran parte lavori domestici»

La Banca mondiale ha stimato che la pandemia da Covid-19 ha dato vita a una delle peggiori recessioni economiche dal 1870, portando con sé un drammatico aumento dei livelli di povertà, come abbiamo visto. Il 1° Maggio è alle porte, e le famiglie italiane si chiedono quando e come si uscirà da questa emergenza non solo sanitaria ma anche economica e sociale. Che cosa possiamo rispondere loro?

«Che ce la faremo. L’arrivo dei vaccini ci ha portato in una nuova fase. L’Italia è un paese che ha sempre saputo reagire alle avversità. Ci riuscirà anche adesso. Prima risolveremo il problema vaccini, prima usciremo dalla crisi sociale ed economica. Il piano nazionale di ripresa e resilienza ci aiuterà molto in questo senso. Soprattutto se manterrà un equilibrio tra investimenti per lo sviluppo economico ambientale e sociale, e non si dimenticherà le donne».