Verso l’alt(r)o, la meditazione della settimana: elogio della tristezza

“Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente”.

(Gv 11,33)


Mi è stato raccontato, da qualcuno più esperto di me, che dentro di noi le emozioni sono regolate da un simbolico termostato: per immaginarcelo possiamo pensare a quello che regola i gradi del forno.

Per tutte le nostre emozioni primarie (gioia, tristezza, rabbia, paura e disgusto, come ci ricorda anche il bellissimo film d’animazione “Inside Out”) un unico grande termostato, che, quando siamo piccoli, è sempre posizionato su livelli molto alti, ma che poi, quando cresciamo, impariamo ad impostare anche da soli.

Con il passare degli anni facciamo esperienza di momenti di euforia che vorremmo non passassero mai e anche di esplosioni d’ira o di periodi di particolare malinconia che tendenzialmente ci piacciono meno. Sarebbe bello avere un termostato per ogni emozione e imparare a tenere alti i livelli di ciò che desideriamo sentire e portare a zero, al contrario, ciò di cui faremmo volentieri a meno.

Ma questo non è possibile: tutto si muove insieme. A volte le sfide della vita ci portano a dire: “Basta! Non voglio più sentirmi così. Non permetterò più a niente e nessuno di farmi stare male!”. Penso a questo anno così particolare, alla tanta sofferenza che ci ha attraversati, ai volti di tanti ragazzi che hanno visto portarsi via la gioia di anni belli e mi sembra che l’azione che inconsciamente facciamo è abbassare il termostato per non sentire più dolore.

Tornati da qualche giorno finalmente in “zona gialla” abbiamo davvero voglia di festa, ma il rischio è quello di non provare nemmeno più la felicità delle piccole cose che possiamo tornare a fare se avremo abbassato il nostro sentire. Sembra strano a dirsi, ma la tristezza serve. Proprio ciò che vorremmo eliminare è ciò che può rendere la gioia di domani più vera e profonda. Se scorriamo le pagine del Vangelo è Gesù stesso ad insegnarci tutto questo. La gioia del tempo pasquale che stiamo vivendo è vera e viva proprio perché il Signore ha accolto e attraversato ogni esperienza di vita senza abbassare il termostato delle emozioni per anestetizzare il dolore.

Mi ha sempre colpito l’episodio della morte di Lazzaro: se Gesù aveva estrema fiducia che il Padre avrebbe resuscitato l’amico, perché è così triste fuori dal sepolcro? In quel momento Gesù mi sembra che accetti la tristezza, che viva sulla sua pelle la fatica del vivere umano nella sua fragilità,
che avverta profondamente la ferita del separarsi dagli affetti che presto lo avrebbe lacerato. E mi piace pensare che proprio questa sentita commozione e malinconia sia la spinta decisiva ad assumere fino in fondo il massimo del dolore, in nome di una gioia in pienezza, che è donata a noi, ogni giorno, proprio perché contiene la tristezza del passato.

È proprio così. È difficile, ma possiamo cominciare a dirlo: la nostra tristezza di oggi fa parte della gioia di domani. Benedetta tristezza.