Nuove povertà post-covid: «La vera sfida per il futuro è il lavoro»

Foto di Giovanni Diffidenti

Tutti siamo uguali davanti alla pandemia. O forse no. A più di un anno dallo scoppio dell’emergenza Covid in tutto il mondo, i dati dimostrano sempre di più che la pandemia non colpisce tutti allo stesso modo e che quella che è iniziata come una crisi sanitaria sta assumendo sempre di più i contorni di una crisi anche economica e sociale: aumenta il peso della quotidianità su un numero crescente di persone e di famiglie, aumenta il numero di “nuovi poveri” e di categorie fragili. E sono soprattutto i soggetti più deboli, marginali e socialmente defilati a subire i contraccolpi della situazione attuale, una situazione che rischia di protrarsi – e peggiorare – anche nel futuro.

I dati delle nuove povertà post-Covid

A fotografare le tinte fosche del panorama odierno ci aveva già pensato lo scorso ottobre il rapporto di Caritas Italiana dal titolo “Gli anticorpi della solidarietà”, che sulla base dei dati dei centri di ascolto aveva cercato di tracciare la stima degli effetti economici e sociali dell’attuale crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19. I dati parlavano chiaro: mettendo a confronto i dati relativi al periodo maggio-settembre 2019 e 2020, è emerso infatti che da un anno all’altro l’incidenza dei “nuovi poveri” (cioè chi si è trovato per la prima volta in condizioni di difficoltà tale da richiedere un aiuto) è cresciuta dal 31% al 45%, con un peso crescente su famiglie con minori, donne e persone in età lavorativa. Uno scenario apparentemente simile a quello prodotto dallo shock economico del 2008, se non fosse per la base di partenza: oggi, nell’Italia pre-pandemia, il numero di poveri assoluti era più che doppio rispetto al 2007. E gli effetti si vedono.

A confermare la fotografia di Caritas Italiana è anche l’Istat, secondo le cui stime preliminari sul 2020 l’incidenza di povertà assoluta nel nostro Paese è cresciuta sia in termini familiari (da 6,4% del 2019 al 7,7% del 2020, +335mila, pari a oltre 2 milioni di famiglie), sia in termini di individui (5,6 milioni di individui, +1,3% rispetto al 2019, cioè un incremento di 1 milione di persone).

La situazione nella bergamasca

Un dato che non lascia immune nemmeno Bergamo e il suo territorio, tra i più colpiti a livello nazionale dalla crisi sanitaria. Secondo le proiezioni della Cisl di Bergamo, realizzato dall’analisi delle dichiarazioni ISEE della provincia raccolte dal suo CAF, si è registrato un aumento del +30% delle domande, collegato alla necessità da parte di molte famiglie di poter accedere ai numerosi bonus per i quali era richiesta la certificazione della situazione economica nel nucleo: oltre la metà delle pratiche svolte riguardava infatti cittadini con fascia di reddito inferiore ai 9360 euro. «Una nuova povertà è quella delle famiglie che, negli ultimi sei mesi, sono precipitate in una condizione di difficoltà quotidiana a far quadrare conti e bollette – ha dichiarato Mario Gatti, segretario Cisl di Bergamo -. Il mercato del lavoro per queste persone è diventato quasi inesistente. Con l’aggravante che, magari, il loro ultimo ISEE non è così basso, perché l’anno scorso hanno lavorato in modo precario ma continuativo. Altri hanno diritto alla cassa integrazione ma in attesa di riceverla si sono ritrovati senza un euro. E poi ci sono le partite Iva, i giovani, i precari…».

Nuove e vecchie povertà si intrecciano quindi anche nell’operato di chi cerca di dare un supporto concreto e fattivo sul territorio. «Il problema delle povertà durante il Covid ha cambiato faccia. Alle vecchie povertà, che già conoscevamo e non abbiamo lasciato indietro, si sono sommate povertà nuove», spiega don Roberto Trussardi, direttore di Caritas Diocesana Bergamo. «Calcola che nel 2020 abbiamo aiutato 3590 nuovi nuclei familiari con il fondo “Ricominciamo insieme”, famiglie che fino a giugno 2020 mai avrebbero pensato di doversi rivolgere a Caritas per tirare avanti in quanto avevano un proprio reddito che permetteva di mantenersi. Ma la vera sfida di oggi e domani è agire sul tema del lavoro. I bonus vanno bene fino a un certo punto, ma la dignità passa dal lavoro».