Giovani in ostaggio: una volta erano gli “sdraiati” adesso sono i “rinchiusi”

Prima erano gli “sdraiati”, ora sono i “rinchiusi”. La pandemia fa vittime e prigionieri: uccide i nostri anziani, spesso tiene in ostaggio i nostri giovani.
Della privazione degli adolescenti si sta parlando molto in queste ultime settimane, dopo i segnali di allarme lanciati dal reparto di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Bambin Gesù di Roma e dalla Fondazione Mondino Irccs di Pavia. Ricoveri in aumento per ragazzi in “sovraccarico emotivo” e con attacchi di panico. I più fragili fra loro boccheggiano.
Indicati subito come untori e incapaci di stare “a un metro di distanza”, si sono ritirati nelle loro stanze e rifugiati nell’“attendismo”. Questo ha esasperato i fenomeni di “ritiro sociale” come quello degli hikikomori.
In questa mattanza da Covid 19 la priorità non sono stati gli adolescenti. Certo, non potevano esserlo, i ragazzi lo sanno, ma ora è tempo di fare riflessioni perché queste chiusure diventano ogni giorno più perniciose e il rischio è che l’isolamento diventi abitudine.
Hanno vissuto sospesi tra la nostalgia e la timida speranza. Sentono ancora la mancanza dei momenti di socialità con i coetanei, degli abbracci e della “spensieratezza”, che hanno perduto prematuramente e in maniera del tutto innaturale. A consolarli la famiglia, la scuola e la tecnologia, compagna insidiosa delle loro solitudini.
“I ragazzi trascorrono il tempo sulle console e le ragazze si dedicano ai film e alle serie tv – raccontano gli alunni di una scuola media romana -. Queste cose hanno il potere di escluderci dal mondo, ci propongono realtà diverse migliori o distopiche. Ma questo ‘distanziamento’, creato dalla tecnologia, che cosa ci porterà? Quando tutto è cominciato siamo caduti improvvisamente nel vuoto totale, come se da un momento all’altro fosse scomparso tutto”. Per qualcuno il lockdown ha riservato anche sorprese positive: “Ho iniziato a interessarmi a molte cose che prima neanche sapevo mi piacessero: ho scoperto la passione per la letteratura, per la storia e per la fotografia”.
Nei loro ricordi l’inizio della pandemia segna un confine drammatico: “Più ascoltavo le notizie e più mi sentivo male. I miei sogni e le mie speranze sembravano sgretolarsi”.
Anche il rapporto con i genitori è stato condizionato da questi mesi di timore e ritiro sociale. I ragazzi hanno provato preoccupazione per i familiari che continuavano a lavorare, a “frequentare” il mondo e hanno subito le conseguenze dello stress causato dallo smartworking. Molti fra loro hanno vissuto la malattia dei cari, la paura di non farcela e anche la fatica di chi negli ospedali e nei presidi sanitari ha prestato servizio in questi mesi così difficili. In alcuni nuclei familiari gli scontri genitori-figli si sono acuiti a causa della maggiore irritabilità degli adolescenti e delle conseguenze negative di uno stile di vita “viziato” dalle circostanze, come i disturbi del sonno.
Anche l’amore, le piccole cotte adolescenziali, quei momenti in cui gli adolescenti sperimentavano la propria emotività e sondavano la sfera dei sentimenti nei confronti dei coetanei, sono stati “alterati” dalla pandemia. “Adesso è tutto basato sui social, anche prima un po’, però ora non si riesce più a conoscere una persona per quello che è”, spiegano.
E mentre le certezze e gli affetti si dileguano, l’ansia cresce sempre di più. “I tamponi, i contagi, la mascherina, la Dad… Conosco a malapena i miei nuovi compagni di classe – racconta una studentessa del liceo -. Ogni mattina per quasi tutto l’anno ci siamo incontrati in uno spazio virtuale con una identità digitale. E poi manca lo sport, fare attività sportiva ci aiuterebbe tanto”.
Intanto il tempo passa ed ecco una nuova primavera. L’aria fresca e il cielo azzurro inviterebbero a uscire e a respirare a pieni polmoni. L’onda lunga del Covid 19 ipoteca ancora il nostro futuro di libertà, chissà i giovani come se la caveranno e se saranno pronti a ricominciare davvero.
“Alľinizio tutti dicevano ‘andrà tutto bene’ – conclude una tredicenne -. Sembrava quasi l’incipit di un racconto, ma non lo è: questa è una storia che stiamo vivendo sul serio. Forse un giorno potremo raccontarla ai nostri nipoti come una fiaba in cui il lupo è il Coronavirus”.