Sul “consigliare” nella chiesa: il consiglio pastorale parrocchiale

Nella comunità di Telgate, una delle due comunità dove vivo il mio ministero sacerdotale, è tempo di rinnovo, dopo la scadenza del mandato quinquennale, del Consiglio Pastorale Parrocchiale (CPP). Vorrei pertanto provare a mettere “nero su bianco” alcune riflessioni su questo consiglio, i suoi componenti e le sue funzioni: spero siano utili anche per le altre comunità che si apprestano a vivere lo stesso passaggio.

Alcune indicazioni utili alla comprensione di questo organismo, importante per il cammino di una comunità cristiana, sono contenute nel bel volume di Mons. Franco Giulio Brambilla, Vescovo di Novara e noto teologo, edito per la prima volta nel 2017 col titolo Liber Pastoralis (oggi, è in commercio una nuova edizione, ampliata rispetto alla prima): questo testo di pastorale guiderà la mia riflessione.  

Prima di suggerire alcuni spunti, decisamente interessanti, sul consiglio pastorale, nel volume si affronta l’imprescindibile questione della sinodalità. “Sinodalità”, che deriva da “sinodo”, ossia “cammino comune”, è un termine caro a papa Francesco, che frequentemente invita la Chiesa ad acquisire sempre più uno stile sinodale (a breve, dovrebbe essere celebrato anche il Sinodo dei Vescovi della Chiesa italiana). Il cammino sinodale della Chiesa è possibile quando i fedeli si lasciano guidare dallo Spirito, invocato innanzitutto nella celebrazione eucaristica, che ci riunisce come fratelli intorno alla mensa della Parola e del pane di vita. Senza questa fraternità, la sinodalità non si realizza e il consigliare nella Chiesa, come quello che qualifica il mandato di un Consiglio Pastorale parrocchiale, finisce per ridursi pressappoco a una riunione condominiale, nella quale si impone chi grida di più e presume di avere la verità in tasca che, alla fine, altro non è se non il suo parere personale. La sinodalità, al contrario, richiede l’umiltà del discernere insieme, dell’accompagnare persone e situazioni presenti nella comunità, nell’integrare chi rischia di rimanere ai margini della vita sociale e comunitaria. Perché questo avvenga, occorre molto ascolto e una volontà reale di vivere la comunione (del resto, “fa” veramente la comunione, sacramentalmente parlando, soltanto chi “è” in comunione con i fratelli e le sorelle della sua comunità). I luoghi di consiglio nella Chiesa sono momenti nei quali si prova a dare concretezza al volto di una Chiesa che sia sinodale.

Il Consiglio Pastorale Parrocchiale, che esiste per consigliare il parroco e gli eventuali altri sacerdoti della comunità, dovrebbe quindi agire fondandosi su questo intento fondamentale. Il Vescovo Brambilla, nel suo testo, afferma che ci sono alcune condizioni per una buona riuscita di un consiglio pastorale: la prima è che sia luogo di ascolto e scambio profondo e rispettoso, dove i temi vengono approfonditi, le scelte maturano e, una volta concretizzate, vengono sottoposte alla necessaria verifica. Se mi è concessa la battuta, il CPP non è per chi voglia concretizzare quella canzone di moda tra gli adolescenti qualche anno fa, “Andiamo a comandare”, ma il luogo nel quale si vive e si testimonia la dimensione del servizio: sa dare buone indicazioni alla sua comunità chi si mette a servizio con umiltà, secondo le sue possibilità e competenze. Occorre pertanto che chi è chiamato a questo servizio conosca la comunità, la frequenti da tempo e, aspetto essenziale, sia disposto a formarsi. Questo è decisivo. Il CPP non può essere il luogo del “secondo me”, ma, come afferma il teologo Brambilla, della “formazione spirituale profonda, di maturazione di un senso ecclesiale lungimirante, di uno sguardo competente e misericordioso sulla Chiesa e sul mondo”. Un Consiglio Pastorale Parrocchiale che si riducesse a interminabili sedute su calendari, avvisi e iniziative, mancherebbe di quel confronto fondamentale sulla vita della comunità cristiana che deve costituire il centro dell’ordine del giorno; lo spazio per questioni pratiche e organizzative può esserci, ma non deve costituire il centro della riunione. 

Risulta fondamentale, poi, nota saggiamente il Vescovo, che il funzionamento del consiglio venga costantemente monitorato, perché “non si trasformi in passerella di opinioni, non sia dominato da gruppi di potere, trovi un ritmo arioso tra profondità della riflessione e concretezza della decisione”. Pertanto, suggerisce un cambiamento equilibrato dei membri del consiglio, stabilendo la regola della durata in carica di non più di due mandati consecutivi, con un cambiamento a ogni rinnovo di circa metà dei membri per assicurare continuità e cambiamento.  

A Telgate, abbiamo aggiunto la richiesta che non si indichino tra le proposte di nomi che il parroco valuterà per formare il CPP coloro che sono già impegnati in politica, a qualsiasi livello. Infatti, se l’intrecciarsi di questioni legate alla vita civile e religiosa nelle riflessioni del Consiglio è non soltanto inevitabile, ma decisamente opportuna, è tuttavia consigliabile che chi già siede con un ruolo importante in consigli amministrativi, lasci spazio ad altre persone nei consigli ecclesiali, anche per non dare adito a discorsi sulla molteplicità di ruoli riuniti nelle stesse persone che non farebbero il bene della comunità. La speranza è che i nostri consigli divengano sempre più luoghi capaci di essere propulsori di una fraternità autentica, fondata sulla fede, che tutti riunisce e nessuno esclude. 

  1. A mio parere, e non nel significato sopradescritto” secondo me retorico”, i problemi sono sempre stati a monte, cioè, nella modalità che porta alla scelta e del criterio con cui vengono poi “eletti” i rappresentanti della comunità; non ci può essere cambiamento nella mentalità di approccio, se le scelte con relative nomine, vengono fatte, dagli stessi addetti “ai lavori”! mi spiego meglio: nelle grandi comunità, come nelle piccole, non possono esserci sempre le stesse figure che scelgono ed il risultato è, che dove non c’è un gran ricambio “cultural-generazionale”, si hanno gli stessi problemi di rappresentanza, che alla fine del discorso, dovrebbe coprire la comunità tutta, compresa quella laico-civile! per essere chiari, anche persone che non sono cattoliche, o di genere, o autoctoni, ecc. ecc. Al dunque penso, che una guida spirituale a cui è dato il compito di formazione e di scelta, debba interpellare l’intera comunità, facendola sentire partecipe in tali decisioni, ed in sede di assemblee, farne le relative elezioni! Ma questo sarebbe dovuto accadere tanto tempo fa… ora tanti fedeli, sono scappati dalla Chiesa ed il loro recupero rimane culturale e di mentalità! Chissà se la Pandemia, abbia portato ad una fraternità più sincera e meno ambiziosa, in ognuno di noi, cercando di vedere l’oltre delle nostre convinzioni radicate nel proprio “io” e allungando lo sguardo in un “poi” che verrà! chissà…

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