Sinistra in crisi e alleanze improbabili sulla scacchiera: una telenovela già vista

Le prossime cronache politiche quotidiane ci offriranno forse una nuova puntata della triste e ostinata telenovela del corteggiamento compulsivo e fallimentare che il PD ha dedicato al M5S. 

L’idea di un’alleanza con i grillini era stata infelicemente sdoganata da Bersani nel 2013, ripresa da parecchi nel PD dopo le elezioni del 2018, riproposta come strategica da Zingaretti, con al seguito l’intero PD, misticamente rilanciata dal sedicente cristiano-socialista ottocentesco Bettini –  non si sa che Gesù Cristo è stato il primo leader socialista della storia?! – e fatta frettolosamente propria da Enrico Letta, che ha addirittura fatto un incontro ufficiale con il non-leader Giuseppe Conte. 

Non interessa qui registrare le convulsioni peristaltiche della politica quotidiana, quanto piuttosto rispondere a una domanda elementare: perché tanta settennale ostinazione? 

La prima giustificazione è stata che il M5S si è portato via abusivamente una quota di elettorato, che era di proprietà del PD stesso. E ha potuto farlo, perché il PD per primo lo ha abbandonato, inseguendo le ubbie socialisto-liberali o, peggio, liberal-democratiche di Renzi. Secondo la leggenda, gran parte dell’elettorato grillino appartiene comunque alla sinistra. Se lo ha preso il M5S, vuol dire che il M5S è di sinistra. Non ci si scappa. Certo, si tratta di una sinistra adolescente, brufolosa, con oscillazioni populiste. Che, d’altronde, anche a sinistra non sono mancate fin dal lancio delle monetine a Craxi, il 30 aprile del 1993, perpetrato dai reduci di un comizio di Occhetto, per proseguire con giustizialismo, Mani pulite, Girotondi e “Dì qualcosa di sinistra!” di Nanni Moretti. Tuttavia, diventerà adulta e, praticando una sapiente togliattiana maieutica, rimarrà comunque nel “campo largo”. Basta, appunto, statuire un’alleanza, prima tattica, poi strategica. L’alleanza tra gli eletti – cioè tra le sigle – trascinerà gli elettori.

Alla base di questa giustificazione sta un presupposto infondato: che esista un elettorato stabile, dei cui pezzi ciascuna sigla politica è proprietaria a tempo indeterminato. Tuttavia, basta dare uno sguardo alle dinamiche elettorali dell’ultimo decennio per rendersi conto della fragilità di quel presupposto. Il clamoroso “due volte nella polvere, due volte sull’altar” è valso dal 2013 per tutte le forze politiche. 

 Da quel presupposto derivano, a cascata, teorie delle alleanze e ipotesi di sistemi elettorali.

Poiché nessuna forza può conquistare da sola il 50%+1, bisogna fare alleanze. E poiché ciascuna sigla dispone – secondo il teorema di immobilità dell’elettorato – di un proprio portafoglio di azioni, allora si deve andare a caccia di altre sigle politiche. Non si parla direttamente all’elettorato, ma sempre per interposta alleanza e sigla. Il primato delle alleanze politiche rispetto alla costruzione di un blocco sociale porta all’importanza strategica del Centro. Il quale diventa così un campo di battaglia, ma anche un soggetto attivo, perché capace di spostare il piatto della bilancia e determinare il vincitore.

Però, per costruire un’alleanza vincente occorre che tutte le forze, anche le più piccole, abbiano uno spazio di rappresentanza. Di qui la saga italica, unica al mondo, dei sistemi elettorali perennemente cangianti, da un’elezione all’altra. Per costruire alleanze di sigle, occorre una legge elettorale proporzionale, in tutto o almeno in parte. Il Mattarellum del 1993 fu maggioritario solo al 75%. Cosi fece comodo a tutti il Porcellum del 2005, che invertì di fatto le quantità tra la quota proporzionale e quella maggioritaria, ridotta al minimo, salvo il premio finale per il vincitore. L’Italicum provò ad aumentarlo. Ma fu bocciato insieme al referendum costituzionale. Entrò allora in vigore il Rosatellum, che prevedeva, per la Camera, il 36% dei seggi assegnati con un sistema maggioritario, il 64% con un sistema proporzionale. Il “Do ut des” firmato tra PD e M5S – riduzione del numero dei parlamentari e nuova legge elettorale – ha visto onorato solo il “do” suicidario del PD, ma non il “des” del M5S. Donde la grave impasse attuale.

Perché allora Enrico Letta si è dichiarato favorevole al ritorno del Mattarellum maggioritario, nonostante la preferenza, ormai prevalente in tutte le correnti del PD, del sistema proporzionale? Perché è rimasto prigioniero della balorda idea per cui il M5S divide più o meno in competizione con il PD lo stesso elettorato di sinistra. Perciò ha pensato di ripetere lo schema politico-elettorale dell’Ulivo – con il M5S al posto della sinistra DC – durato giusto un triennio, dal 1995, quando fu concepito, al 1998, quando Prodi fu fatto cadere. 

Così il PD sta diventando, al momento, solo la sigla di imbarazzo, in pieno stallo intellettuale, culturale e strategico. Che l’intera sinistra europea si trovi in tale condizione è di scarsa consolazione.

Come uscire dallo stallo? Dare consigli, per di più non richiesti, non ci compete. Ma da osservatori non neutrali, preoccupati cioè della salute del sistema politico, possiamo azzardare qualche notazione di metodo, a margine. La prima non è per niente originale. Da Mark Lilla a Paul Collier a Tony Blair è stato argomentato che la politica dell’identità non è una soluzione. Non perché un’identità non sia necessaria. Di che cosa è costituita? Di tre livelli: una tavola di valori, una rete di categorie interpretative del mondo presente e futuro, una storia sociale. Se la tavola di valori è sempre quella del 1789, le categorie di lettura del mondo devono necessariamente cambiare. Continuare ad estrarle dalla storia socio-politica precedente può divenire un ostacolo. 

Facciamo un esempio. Marx si era messo in testa di affidare al proletariato emergente il futuro della società e della storia, perché aveva fatto un’analisi del modo di produzione a lui contemporaneo, a partire dalla quale e si era proposto non solo di redimere il proletariato dalla sua condizione di oppressione, ma di edificare un nuovo modo di produzione, più capace di sviluppare le forze produttive, perché non più impigliate, nel suo disegno, nei rapporti di produzione privatistici. La sinistra, sua erede, mentre è rimasta ambigua e rassegnata sul Leviatano-sistema capitalistico – lo tosiamo, lo incateniamo?– si è rifugiata sulla questione del lavoro come diritto sociale, come un pezzo del Welfare e basta. Continua a non farsi carico intellettualmente e perciò politicamente della produzione, che oggi vuol dire istruzione, scienza, ricerca, Intelligenza artificiale, biotecnologie, digitale… clima e sostenibilità, demografia e sostenibilità, mentre si limita a teorizzare sul diritto al lavoro e a difendere, mediante sindacati, il lavoro che c’è, non quello che dovrà necessariamente arrivare. La conseguenza è che alla sinistra si rivolgono solo i lavoratori a reddito garantito – in gara con la Lega – in primo luogo statali, pensionati, sempre meno metalmeccanici. Il PD: un partito prigioniero di una base sociale corporativa, statalista, invecchiata biograficamente e culturalmente.

La seconda notazione-consiglio: invece di perdere tempo a studiare le mosse delle sigle politiche e le eventuali alleanze, sarebbe più utile parlare direttamente ai cittadini, provare a costruire blocchi di interessi sociali prima che blocchi di convenienze politiche. Cioè: incominciare a registrare le domande, anche perché “le domande non le decidiamo noi” (copyright di T. Blair). Nel mondo, verso il quale stiamo addentrandoci, sconvolto dai mutamenti tecnologici e dalla pandemia, dal quale emergono speranze e minacce, promesse e paure, movimenti migratori, autunni/inverni demografici, diseguaglianze relative crescenti, miliardi di esseri umani, noi compresi, siamo impauriti, aggressivi, ostili. Non sta affatto venendo avanti un mondo migliore, un’Italia migliore. Rispondere vuol dire fare politiche dello sviluppo, sganciandosi dalle corporazioni di interessi che lo frenano.

L’intreccio di quelle domande è destinato a cambiare a breve le scelte elettorali degli individui. È accaduto negli Usa, accade in Francia e Germania, accadrà da noi. Su tutte ne svetta una: quella di un governo capace di risolvere problemi. Questa è la missione del governo-Draghi. Un’altra missione – come pare invocare Enrico Letta – non si dà. In relazione alla missione-Draghi si decideranno le prossime elezioni. Pare che l’intero centro-destra, al netto della Meloni, riconosca questa missione come la propria. La sinistra che cosa va cercando? In nome di quale fumosa alternativa? 

  1. Il “politicamente corretto” della “globalizzazione non intelligente”, citando Daniel Rodrik, definisce le identità come identitarismi e le svilisce perchè teme che l’identità sia pertinente al sovranismo. Ma senza identità non c’è futuro né per le persone né per le società, come dimostra perfino il socialista francese Mélenchon che nel mentre critica le identità altrui rivendica l’identità della tradizione socialista (e d’altronde anche il rifiuto delle identità costituirebbe esso stesso una identità). Il PD soffre proprio il non aver saputo darsi una identità e per questo manca di una visione di società e di politica, e sta diventando un grande partito radicale, e anche un po’ grillinizzato. Infatti si è giocato perfino il primo maggio che un tempo era il palco dei lavoratori e lo ha ceduto in pieno ai diritti civili nella versione più ideologica della cultura gender ( che scivola nel parossismo, al punto che è arrivata a stilare la lista degli “omosessuali omofobi” come Platinette). E già nelle mie legislature a Montecitorio avevo sperimentato che i giornalisti in Transatlantico sonnecchiavano quando si discuteva di diritti sociali e di lavoratori mentre balzavano in piedi elettrizzati quando si trattava di diritti civili.

  2. Forse, sono noiosa, ma desidero ripetere, che siamo ad un vero e proprio “stato confusionale politico” dell’intero arco costituzionale che oggi implode, ma che era nell’aria già da tempo! Purtroppo, in particolar modo, noi italiani, non abbiamo saputo cogliere il tempo che ci è stato concesso, per cambiare rotta, lasciando che la situazione socio-economica si sgretolasse a tal punto da non essere più coscienti di ciò che anche nel resto del mondo è stato invece affrontato! l’ultima nostra carta è “Draghi”, che non dovendo dimostrare alcunché, può, con la sua credibilità, portare dei cambiamenti radicali a questa politica con concretezza dei fatti, ma che richiede in qualche misura, una “obbedienza” alle sue direttive, senza peraltro, mostrare quella parte assomigliante ad una dittatura, perché mostrata con garbo e fiducia nel popolo italiano!I partiti, come fino ad oggi, contemplati, non ci sono più, ma il peggio è che coloro che li “governano” non se ne rendono conto, fino ad arrivare a portare l’unica donna a presiedere un partito, ad essere l’unica credibile perché non ha mai “tradito” le proprie convinzioni, quasi come non ci fossero alternative ad una politica corrotta e superficiale, autoreferenziale e poco lungimirante! l’ora della “poltrona” a cui tutti si possono accomodare è finita e, a mio avviso, la crescita nei sondaggi della Meloni, non è solo dovuta alla sua credibilità, ma perché in caso di elezioni, può tranquillamente mettere sugli scranni parlamentari i tanti che in altri partiti, farebbero la fine del tacchino a Natale! E la propaganda elettorale… viaggia a super velocità, facendo stufare gli elettori non credendo più a niente se non alla loro sopravvivenza da questo periodo terribile di sofferenza sia economica che psicologica! Siamo in guerra… ma in una guerra, che non si combatte con armi che sputano fuoco, ma di “dossieraggi” atti a polverizzare la credibilità di persone oneste, lasciando invece, navigare sopra l’olio ciò che è il male di tutto in assoluto: la corruzione!!!

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