Il sonno profondo dei bambini migranti e la tentazione della rassegnazione

“Il sonno viene come l’avanzare della marea. Nessun dolore, nessuna tristezza laggiù: solo il mondo del sonno dove precipito con un tonfo”. La scrittrice giapponese Banana Yoshimoto in uno dei suoi primi libri, “Sonno profondo” (Feltrinelli), descrive personaggi per i quali dormire è una via di fuga e di consolazione. Un modo per entrare in un altro mondo, in cui a volte si può acquisire una visione più chiara della vita e delle relazioni. Un luogo di trasformazione, di purificazione. Accade in modo più doloroso e inquietante ai bambini che si ammalano di “Sindrome della rassegnazione”: sono in genere figli dei migranti – tra gli otto e i quindici anni – che hanno vissuto situazioni di violenza, di abbandono, di pericolo, e non riescono a trovare pace. Si addormentano così profondamente che è necessario alimentarli con il sondino. Non fingono: restano in una condizione di totale immobilità e apatia, a volte per anni interi. Sono centinaia i casi documentati negli ultimi vent’anni, soprattutto in Svezia. Il fotografo svedese Magnus Wennman ha vinto il World Press Photo nel 2018 proprio documentando questa condizione, con uno scatto potente che racconta la storia di due sorelline, Djeneta e Ibadeta, emigrate dal Kosovo con la loro famiglia, sprofondate in questo sonno innaturale. Le immagini sono state riprese e rilanciate, nei giorni scorsi, anche dal Corriere della Sera e dai profili social della Caritas Ambrosiana. Per i bambini questa è l’ultima, disperata forma di difesa: una resistenza passiva, una strategia per nascondersi da una realtà che li ferisce, li respinge, li fa sentire indesiderati, per ritrovare nel sogno una realtà più amichevole. Questo enorme dolore non è prodotto da guerre o alluvioni, ma da altri esseri umani che hanno il potere di cambiare o “tenere in stallo” le loro vite. In un tempo come il nostro “La malattia della Bella addormentata” diventa invece una tentazione collettiva, un disagio che si insinua nella società intera. Coviamo il desiderio – difficile da confessare – di chiudere gli occhi e cullarci nell’illusione dell’immobilità, come se tutto, al risveglio, potesse tornare così come l’abbiamo lasciato prima della pandemia. Come se davvero il tempo potesse essere cancellato, consumato in un lungo sonno. Tenere davanti agli occhi la lotta silenziosa dei piccoli migranti addormentati – un’immagine terribile che ci interpella tutti – ci mette davanti a una realtà scomoda: il risveglio comporta cambiamento, responsabilità, la ricerca attiva di una soluzione, per loro e per noi. Comporta una strenua resistenza all’inerzia, all’indifferenza con la quale spesso lasciamo che eventi tragici, inaccettabili, si consumino. Con il coraggio di costruire solidarietà, reti sociali, comunità animate dalla fraternità e della speranza, in cui nessuno debba mai ammalarsi di rassegnazione.