“Il Papa doveva morire”. Antonio Preziosi racconta l’attentato a Wojtyla

Foto Siciliani/Sir

Roma, pomeriggio del 13 maggio 1981 di una giornata estiva in cui fa molto caldo. Papa Giovanni Paolo II, mentre si trova a bordo della sua Papamobile scoperta, qualche minuto dopo essere entrato in Piazza San Pietro per una udienza generale del mercoledì pomeriggio, subito dopo aver abbracciato una bambina, alle 17,17 viene ferito gravemente da due proiettili sparati da Mehmet Ali Ağca, che tenta di fuggire nella piazza gremita ma la sua fuga dura poco, viene catturato sotto il colonnato della piazza, dopo aver perso la pistola in un fortuito scontro con una suora. 

Wojtyla, viene soccorso immediatamente e trasportato al vicino Policlinico Agostino Gemelli. Ha perso coscienza durante il tragitto. Sottoposto a un intervento chirurgico d’urgenza durato 5 ore e 30 minuti per trattare le ferite all’addome e la massiccia perdita di sangue, il Pontefice polacco riesce a sopravvivere. Il mondo è attonito, i fedeli dell’intero Pianeta in lacrime, si è appena consumato uno degli attentati più gravi della nostra storia recente. 

Nel libro-inchiesta “Il Papa doveva morire.” (Gruppo Editoriale San Paolo 2021, Prefazione di Mons. Rino Fisichella, pp. 240, 22,00 euro), a quarant’anni da quel tragico avvenimento, Antonio Preziosi ricostruisce “La storia dell’attentato a Giovanni Paolo II”, come recita il sottotitolo del testo. 

L’autore tornando a quel giorno rivela dettagli poco conosciuti o addirittura inediti, analizza le ragioni e le conseguenze del gesto. Evidenzia tutte le implicazioni di cronaca, storiche e spirituali dell’attentato, compiuto da un sicario, forse incaricato da mandanti ancora oggi non identificati, che spara a distanza ravvicinata a Papa Giovanni Paolo II con l’intenzione di ucciderlo. Il libro-inchiesta raccoglie alcune testimonianze dirette e tantissimi dettagli ricordati dal Cardinale Stanislao Dziwisz, allora segretario personale di Wojtyla e da tanti altri testimoni.

Abbiamo intervistato Antonio Preziosi, giornalista, saggista e scrittore, direttore di Rai Parlamento dal 2018, studioso di questioni religiose e vaticane, che è stato anche Consultore del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali, e ha il merito non solo di mantenere viva la memoria storica di uno dei ca­si di cronaca più conosciuti e più drammatici del XX Se­colo, ma anche di far conoscere alle giovani generazioni che cosa accadde in Piazza San Pietro 4 decenni fa, il  giorno della ricorrenza di Nostra Signora di Fatima. 

“… nell’istante stesso in cui cadevo in piazza San Pie­tro, ho avuto il vivo presentimento che mi sarei salva­to. Questa certezza non mi ha mai lasciato, nemme­no nei momenti peggiori, sia dopo la prima operazio­ne sia durante la malattia virale. Una mano ha spa­rato, un’altra ha guidato la pallottola…”. (Giovanni Paolo II ad André Frossard, “Non abbiate paura”, 1983). 

  • “È arduo dimenticare la data del 13 maggio 1981”, scrive Mons. Fisichella nella Prefazione del testo. Dottor Preziosi, ricorda dove si trovava quel pomeriggio e che idea si fece istintivamente dell’attentato a un pontefice amato, ammirato, temuto qual è stato Papa Wojtyla?

Quando si verifica un fatto di cronaca di importanza epocale, ci accade sempre di ricordare dove ci trovavamo quando siamo stati raggiunti dalla notizia. A me è accaduto, ad esempio, l’11 settembre del 2001, il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. Il 13 maggio del 1981 io ero molto giovane, avevo appena 14 anni. Eppure anche di questo fatto ho ricordi molto nitidi. Stavo ripetendo italiano con alcuni compagni di scuola del liceo e ricordo distintamente la sigla dell’edizione straordinaria che annunciava l’attentato al Papa e lo sgomento, l’incredulità e anche la consapevolezza nostra e dei nostri genitori nell’essere di fronte ad un fatto enorme e gravissimo. Sono certo che chiunque abbia vissuto quel giorno ricordi nitidamente dove fosse. Succede sempre così per i grandi eventi. Mio padre, ad esempio, mi diceva che ricordava perfettamente dove si trovava quando hanno ucciso Kennedy. Ecco, si tratta di due dei casi di cronaca più drammatici e indimenticabili del XX secolo…

  • Suor Letizia Giudici è una suora francescana originaria della ber­gamasca, che il 13 maggio 1981 si trovava a pochi metri da Ağca e vide il killer prendere la mira e fare fuoco contro il Pontefice. Quanti colpi di pistola sentì la suora che “arrestò” il terrorista Ali Ağca? 

Lei ha raccontato di aver sentito due colpi di pistola. E di averli anche “visti”, nel senso che – essendo vicinissima all’attentatore – ha proprio focalizzato le due fiammate uscite dalla pistola di Ağca. Ma c’è anche chi dice di aver sentito tre colpi. Arturo Mari, fotografo ufficiale del Papa, è convinto di averne sentiti quattro. Il tema del killer solitario o della presenza di altri complici in piazza è uno dei misteri aperti e ancora irrisolti di quanto accadde quel giorno in piazza San Pietro.

  • La figura di Mehmet Ali Ağca, quel giovane turco di 23 anni, che colpisce con due colpi di pistola il Papa a distanza ravvicinata, dopo tanti anni resta ancora avvolta nel mistero. Se restano ancora oscuri i mandanti dell’attentato al pontefice polacco, chi è veramente Ali Ağca?

È difficile rispondere a questa domanda, perché Agca ha una personalità veramente molto complessa. Il magistrato Ilario Martella, che fu giudice istruttore nel processo per la cosiddetta “pista bulgara” che vide implicate altre quattro persone come complici dell’attentato, lo definisce un “killer professionista, dotato di un forte ego. Una persona molto intelligente, un vero genio del male”. C’è chi ha contato, ad esempio, le versioni cambiate da Ağca nel ricostruire l’attentato: sarebbero 52. Insomma una persona misteriosa che ha complicato non poco la ricostruzione dell’attentato e delle logiche che lo hanno ispirato.  

  • È vero che Papa Wojtyla fin da subito attribuì all’attentato un significato che andava oltre il puro episodio di crona­ca, perché a Giovanni Paolo II interes­sava poco la “genesi umana” dell’attentato e ne dava una spiegazione esclusivamente mistica e spirituale?

Direi proprio di sì. Ed è l’idea che emerge da ogni suo gesto e da ogni sua dichiarazione successiva all’attentato. Intanto è noto che Giovanni Paolo II pronunciò parole di perdono verso Ağca senza nemmeno sapere chi fosse, già pochi secondi dopo l’attentato. E mostrò di non essere molto interessato a quello che definì, in una conversazione con Indro Montanelli, il “garbuglio” che si muoveva dietro l’attentato. Era convinto che il 13 maggio 1981 si fosse verificato in piazza San Pietro un miracolo legato all’intervento della Madonna e al compimento del terzo segreto di Fatima: “una mano ha sparato – amava ripetere – e un’altra mano ha deviato il proiettile”. 

  • Il filo della misericordia, che aveva salvato Giovanni Paolo II dalla morte sicura dell’attentato in Piazza San Pie­tro, ritorna costante anche nel giorno che segue la sua mor­te naturale. È un filo che parte da Giovanni Paolo II e che attraverso il pontificato di Benedetto XVI, arriva fino a Papa Francesco. Ce ne vuole parlare?

È un fatto che Giovanni Paolo II morì alla vigilia della festa della Divina Misericordia che lui stesso aveva istituito qualche anno prima. Ed è un fatto che lui attribuisse all’intervento della Divina Misericordia la sua salvezza in un attentato nel quale “il Papa doveva morire”. Il tema della Misericordia è molto presente in tutto il pontificato di Giovanni Paolo II ma attraversa – come lei correttamente dice – il pontificato di Benedetto XVI e arriva a papa Francesco che nel 2016 ha indetto un anno giubilare straordinario dedicato proprio a questo tema. Si tratta di un “filo rosso” insomma, che percorre tutta la storia recente della Chiesa, e che sembra partire proprio da quello che avvenne il 13 maggio del 1981 in piazza San Pietro.