L’arte, la vita, la morte: un viaggio tra gli “Inferni”

Il consiglio di lettura della Biblioteca diocesana del Seminario Giovanni XXIII di Bergamo questa settimana riguarda il saggio di Giovanna Brambilla,Inferni. Parole e immagini di un’umanità al confine“.

La copertina del volume

Gli Inferni, raccontati nel saggio della storica dell’arte Giovanna Brambilla, mostrano come le immagini e l’arte in generale siano state capaci di accompagnare l’umanità nello sforzo di dar voce al tema della morte, del dolore e del giudizio, ma anche del riscatto e del perdono. 

Un libro agevole e curioso che, tuttavia, non sacrifica la profondità dei contenuti, capaci anzi di far rivivere con intensità un immaginario collettivo riconducibile alla cultura biblica neotestamentaria, ma associato più facilmente all’allegorico viaggio dantesco negli inferi. 

Proprio nel Medioevo, l’esperienza tangibile della morte e della malattia veniva proiettava come monito sugli affreschi delle chiese, ricordando ai fedeli l’esistenza di un giudizio divino, come quello dipinto nel 1306 da Giotto nella Cappella degli Scrovegni. 

Un altro Giudizio finale è quello che Michelangelo dipinse nella Cappella Sistina, circa due secoli dopo, con scene in grado di riflettere la temperie spirituale dell’epoca, caratterizzata dalle lotte tra cattolici e protestanti e dalla devastazione del sacco di Roma del 1527: un inferno in terra.

Gli incubi infernali non si placarono nemmeno nel secolo dei Lumi, quando il pittore spagnolo Francisco Goya, nell’acquaforte Il sogno della ragione genera i mostri e nella tavola Grande impresa! Con i morti!, ricordava che non c’è ragione senza bestialità. 

Con l’Urlo e la Sera sul viale Karl Johan di Munch, l’angoscia e la solitudine esistenziale divennero l’orizzonte dell’uomo nel XX secolo e su questa scia, Anton Zoran Mušič, dopo la liberazione da Dachau, cercò di disegnare il tragico inferno senza giustificazioni della Shoah

Allo stesso modo, l’arte contemporanea continua oggi a raccontare gli incubi e gli inferni del mondo postmoderno: l’insicurezza esistenziale di un’umanità alla deriva, il vincolo sfiancante del lavoro precario e la fragilità sociale. 

Eppure, come rivela l’eloquente fotografia al volto, metà in ombra e metà in luce, di Rosaria Schifani, scattata dalla fotografa palermitana Rosaria Costa, l’inferno può anche trovare riscatto e generare perdono, poiché “non c’è speranza senza disperazione, coraggio senza rinuncia, memoria senza fatica”. 

Chiara Maino

Per informazioni biblioteca@seminario.bg.it