Festa a Bergamo per l’ordinazione di tre preti novelli. Il Papa: “Le vocazioni come diamanti grezzi da far brillare”

Quando arriva il momento dell’ordinazione dei nuovi sacerdoti è sempre una festa, per le loro comunità d’origine e per tutta la diocesi. Quest’anno gli ordinandi sono tre: don Giovanni Milesi di Fuipiano al Brembo, don Omar Caldara di Villongo San Filastro, don Mattia Monguzzi di Scanzorosciate. Tutti e tre vicini ai trent’anni, con esperienze di vita diverse, vocazioni maturate con studio e impegno. A presiedere il rito sabato 29 in Duomo, più raccolto del solito a causa delle misure di sicurezza anti-covid, sarà il vescovo di Bergamo monsignor Francesco Beschi.

I preti novelli sono un dono: ancora più prezioso in tempi difficili in cui risulta evidente, in particolare negli ultimi anni, l’assottigliarsi del “paniere” delle vocazioni. Considerando il dato delle sole ordinazioni presbiterali, senza esagerare con le statistiche, nel 1995 erano state 20, 7 nel 2005, 5 nel 2015. Il 2016 è stato un anno senza ordinazioni, sabato ce ne saranno 3.

Ce n’è abbastanza per constatare – senza dire nulla di nuovo – che il numero dei preti è in calo anche a Bergamo, che pure ne è sempre stata ricca: nel 1959 il record con 1.194 sacerdoti, nel 2016 erano 789, oggi (cinque anni dopo) sono 694 su 389 parrocchie (il dato, attinto alla Guida diocesana del clero, è aggiornato al 30 novembre 2020). 

Sono solo numeri, ma spingono a riflettere, a partire da alcune domande di fondo: chi è il prete oggi, come vive, che cosa rappresenta questa figura per le comunità rispetto al passato, quali sono le motivazioni che possono spingere un ragazzo di oggi a scegliere questo cammino, forse ancora più coraggioso e solitario rispetto al passato, quali iniziative vengono intraprese per sostenere e alimentare le nuove vocazioni, quali strade diverse potrebbe prendere nel senso della corresponsabilità e della condivisione dei compiti la Chiesa del futuro. Sono domande impegnative, che sicuramente non hanno risposte univoche e che in questa sede lasciamo aperte, come spunto da approfondire.

Qualche elemento per iniziare si può ritrovare nella lettera scritta da Papa Francesco in occasione del 160° anniversario della morte di San Giovanni Maria Vianney, il Curato d’Ars “patrono di tutti i parroci del mondo”: parla per esempio di presbiteri che “senza far rumore” lasciano tutto “per impegnarsi nella vita quotidiana della comunità”, e come il Curato d’Ars “lavorano in trincea, portano sulle spalle il peso del giorno e del caldo e, esposti a innumerevoli situazioni ci mettono la faccia quotidianamente e senza darsi troppa importanza, affinché il Popolo di Dio sia curato e accompagnato”. In queste righe si ritrovano, per esempio, alcuni elementi del ruolo del prete che sono emersi con forza da quando è iniziata la pandemia, la cura spirituale, la vicinanza umana, al di là delle situazioni difficili, oltre i limiti delle risorse personali: “Mi rivolgo a ciascuno di voi – scrive ancora il Papa – che, in tante occasioni, in maniera inosservata e sacrificata, nella stanchezza o nella fatica, nella malattia o nella desolazione, assumete la missione come un servizio a Dio e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino, scrivete le pagine più belle della vita sacerdotale”. (Il testo completo della lettera si può trovare qui)

D’altra parte proprio l’altro giorno, all’apertura dell’Assemblea dei vescovi italiani, Papa Francesco ha toccato anche un altro capitolo importante: la formazione. “C’è un pericolo molto grande – ha osservato a proposito di quest’ultima questione -. Sbagliare nella formazione e anche sbagliare nella potenza, nella missione dei seminaristi”. “Abbiamo visto con frequenza seminaristi che sembravano buoni, ma rigidi”, il bilancio di Francesco: “E la rigidità non è del buono spirito. E poi ci siamo accorti che dietro le rigidità c’erano dei grossi problemi”.  “E poi la formazione”, ha sottolineato il Santo Padre:

“Non possiamo scherzare coi ragazzi che vengono da noi per entrare in seminario”.

L’augurio, per il futuro, è di poter vivere, speriamo, ancora molti giorni di festa come questo, saperli far germogliare, e con essi tutte le vocazioni che contribuiscono alla costruzione e alla vita delle comunità, seguendo l’invito del Papa a prendere sul serio questi temi, declinandoli nella concretezza, affrontandoli e imparando, come conclude lo stesso Papa, a “custodire e far crescere le vocazioni perché portino frutti maturi. Esse infatti sono un diamante grezzo, da lavorare con cura, rispetto della coscienza delle persone, e con pazienza, perché brillino in mezzo al popolo di Dio”.