Un po’ fa sorridere, un po’ fa tenerezza, un po’ fa tristezza. Alla fine la foto di fine anno l’hanno fatta davvero. Con le mascherine.
Sarà che a sei anni hai il viso piccolo piccolo, sarà che le mascherine imposte a scuola son grandi più di un tovagliolo e impossibili da modellare, fatto sta che osservando i bambini, ben allineati e probabilmente sorridenti sotto il bavaglio, i pensieri si inseguono nella mente in rapida sequenza.
Di Tommaso si intravedono solo le sopracciglia, nemmeno gli occhi. La mascherina copre tutto il viso, collo incluso, la frangia è bella folta sulla fonte, insomma di pelle restano pochissimi centimetri. Alice, più che un tovagliolo, sembra abbia davanti una tovaglia.
Ma c’è qualcosa in più, che disturba. I bimbi sono tutti belli dritti e allineati in stile soldatino, tutti hanno le mani sulle ginocchia, o lungo i fianchi, o in tasca. Io ricordo che nelle mie foto di classe ci si stravaccava sull’amico, si teneva la mano dell’amica, si abbracciava il compagno. Niente. Per tutto l’anno si sono sentiti dire che non bisogna toccare gli altri, loro le regole le rispettano.
E allora io mi auguro che davvero questa foto resti lì, in un cassetto, a memoria di un anno scolastico (anzi, due), che spero con tutto il cuore non si ripetano mai più, ma facciano da spartiacque e segnino l’inizio di qualcosa di nuovo, di migliore, di lungimirante.
E’ stato un anno all’insegna del gel igienizzante, delle mani da lavare secondo i consigli del ministero, dei quaderni senza copertina, delle matite che non si prestano ai compagni, del pranzo a scuola da consumare ognuno sul proprio banco, dell’intervallo in un fazzoletto di giardino diviso col nastro delimitatore perché ciascuna classe non avesse contatti con le altre. E’ stato l’anno senza l’aula di musica, senza la palestra, senza le attività extracurriculari che arricchiscono la didattica. E’ stato l’anno in cui la didattica a distanza ha segnato mesi e mesi di lezioni. E’ stato un anno stanco, un anno complesso, un anno all’insegna del navigare a vista, dell’adeguarsi, del cambiare il modo in cui si sta insieme.
Ora si deve guardare avanti, giusto, okey. Lo si deve fare con ottimismo. Ma, lo ammetto, qualche perplessità mi resta. Perché, malgrado tutto, ho spesso la sensazione che si improvvisi, che non si mantengano le promesse, che non si faccia tesoro di quanto accaduto, che non si cambi davvero, con progettualità e strutturalmente. Mi aspettavo che per questa estate ci sarebbero state proposte e attività a scuola, “i ragazzi ne hanno persa sin troppa, devono ritrovare la socialità e recuperare la didattica”, dicevano. E invece il Ministero ha vincolato i fondi a graduatorie dell’ultimo minuto. Con l’importo a disposizione la scuola dei miei figli riesce a offrire solo cinque giorni di tre ore ciascuno a giugno e cinque a settembre, per un totale di 15 ore a giugno e 15 ore a settembre di “Piano Scuola Estate”.
Meglio di nulla (e le attività proposte saranno sicuramente meravigliose), ma peggio di ciò che ci meritiamo.
Ieri ho incontrato una ragazza che mi raccontava come il suo ultimo giorno di scuola lo abbia passato in Dad. Sì, perché le scuole superiori non sono mai tornate in presenza al 100% e alla sua classe quel giorno spettava la didattica a distanza. Meglio di nulla?! Peggio di ciò che si meritano questi ragazzi. Dopo due anni vissuti così meritano azioni concrete, fatte di buonsenso, umanità, attenzione profonda alle loro esigenze, programmi didattici rivisti, svolte innovative.