«La veste della sposa. Davide nello sguardo delle (sue) donne». Quattordici narratrici, un’artista, un reading teatrale che apre nuove prospettive

Riscoprire la figura di re Davide in tutta la sua umanità e farlo attraverso uno sguardo diverso, quello delle donne che lui ha amato. È quanto si prefigge «La veste della sposa. Davide nello sguardo delle (sue) donne», reading teatrale per la regia di Albino Bignamini (Pandemonium Teatro) e a cura del Gruppo ReDonna che si inserisce all’interno dell’undicesima edizione di Effetto Bibbia («Umano troppo umano. Davide: la gloria, il peccato, il perdono») e che si svolgerà il 12 giugno, alle 20.45, presso il cineteatro Qoelet di Redona.

«Il progetto parte poco più di un anno fa, con la lettura de “Il prezzo della sposa”, bellissimo libro di Grete Weil – racconta Bignamini –. Volevamo fare di questo testo uno spettacolo teatrale ordinario, se così si può dire, ma il Covid, imponendoci distanze di sicurezza e impedendoci la fisicità alla quale eravamo abituati, ha rovinato i nostri piani, obbligandoci a rinunciare alla corporeità. Abbiamo dunque individuato nel reading un buon compromesso per restituire al pubblico quel che avevamo pensato e immaginato e, soprattutto, il senso di coralità del nostro gruppo. La lettura del testo di Weil ha suscitato in noi profonde riflessioni e tante domande sul percorso umano di re Davide. Quel che più ci premeva era riuscire a trasmettere lo sguardo femminile presente nel libro di Weil, filtrandolo, però, con le nostre considerazioni, con le nostre esperienze di vita e col nostro quotidiano. Abbiamo lavorato molto,
scavando dentro di noi, e, alla fine, abbiamo trovato il nostro punto di vista personale, il nostro
particolare sguardo».

Quattordici le attrici (o, per meglio dire, le narratrici) del Gruppo ReDonna che interverranno sul palcoscenico. Un gruppo, quello nato più di sei anni fa a Redona, che raccoglie donne da diverse parti del mondo e che parte dal desiderio di vivere l’integrazione concretamente, attraverso un linguaggio comune. Numerosi, quindi, saranno i visi che danno voce alle donne amate da Davide, ma su tutti emerge quello di Mical, la sua prima moglie, sempre vestita di bianco. «Mical è la voce narrante principale – spiega il regista –. Davide sta per morire e Mical, ormai anziana, in questa sorta di veglia e di attesa, ricorda le tante figure femminili che hanno attraversato la vita del re e che ne hanno segnato il cammino: Abigail, capace di evitare la strage del proprio popolo, Tamar, che subisce violenza per mano del fratello Amnon, Maaca, che vive il fallimento e la perdita, sé stessa, Mical, negli anni della propria giovinezza e, infine, ovviamente, Betsabea, moglie di Uria l’ittita. Sguardi diversi che travolgono re Davide e ne plasmano la figura, restituendoci un uomo dal carattere complesso e pieno di contraddizioni, capace di atroci crudeltà ma anche di immense generosità, dotato di machiavellica spregiudicatezza politica e, allo stesso tempo, di grande onestà, nel riconoscere i propri limiti e i propri peccati. È difficile, dunque, inquadrare la figura di Davide in uno schema precostituito. Non possiamo dire che egli non sia capace di amare, ma è indubbio che la cosa più importante, per lui, sia la gestione del potere e, spesso, usa le donne proprio per questo fine».

Un’ambizione dalla quale neanche Mical si salva. «Mical è la donna di casa, nell’accezione più positiva del termine – dice Bignamini –. È colei che mantiene la posizione, che rimane salda nonostante le avversità, è un porto sicuro. Il suo sguardo è uno sguardo d’amore e di fedeltà, ma, al contempo, Mical è consapevole che il proprio ruolo è foriero di immensa infelicità». Un ruolo, quello della prima moglie di Davide, che, però, non risulta per niente passivo.

«Nel nostro reading, ovviamente, il confronto con il testo biblico non manca, ma il riferimento principale è “Il prezzo della sposa” – afferma Bignamini –. La maledizione di Mical, che, avendo riso di Davide, è stata resa sterile, viene reinterpretata da Weil come la consapevole e assertiva volontà della donna di rifiutare il letto del re, di rifiutare un rapporto sessuale con lui. E questo perché non può accettare né tollerare di essere stata conquistata con cento prepuzi. Mical respinge la carne di Davide perché con la carne (e con la violenza) è stata comprata». Una figura che, per certi versi, è complementare a quella di Betsabea. Se la prima, ripudiando il letto, afferma la propria personalità, la seconda, attraverso l’eros, incanta il re di Israele e gli dona una discendenza: «Nel rapporto fra Davide e Betsabea rivive la dimensione umana della relazione di coppia, in cui principio attivo e passivo si intersecano – spiega Malika Abed, interprete di Betsabea–. Una dinamica che libera una serie di riflessioni sulla seduzione, la corporeità e l’esercizio della politica. L’atteggiamento di Betsabea, del resto, è ambiguo e il giudizio su di lei non può dirsi definitivo: è una donna ingenua e indifesa o una seduttrice senza scrupoli, che sa fare bene i propri calcoli? Davvero non si accorge di essere notata mentre fa il bagno o, lavandosi, disegna geometrie di potere in suo favore? E se quest’ultima ipotesi fosse corretta, davvero Betsabea meriterebbe, da parte nostra, un giudizio negativo? Tante sono le domande ed è complicato dare una risposta definitiva. Difficile catalogare le dinamiche che intercorrono fra Davide e la moglie di Uria l’ittita, impossibile discernere il proprio volere dal destino, entrambi uniti in una danza infinita sull’orlo
che intercorre fra stupro e amore».

Betsabea come figura del caos, quello causato dai sensi e dalla passione, distante, sotto questo aspetto, da Mical, donna granitica, che, nonostante la sofferenza, difende fino alla fine le proprie idee. «Mical viene donata a Davide da Saul, come un trofeo, come prezzo di una commessa – spiega Letizia Pagliarino, interprete di Mical –, ad un certo punto viene pure data in sposa a un altro uomo. È una donna che ha vissuto molti dolori, disincantata, che è stata illusa molte volte e che, per amore, accetta di essere umiliata pubblicamente. Fino a un certo punto però e non oltre il limite del proprio corpo e della propria libertà». Una storia non facile da raccontare. «È stato faticoso, per me, dover narrare certe vicende – racconta Pagliarino –, le sventure di Mical sono innervate da violenze e soprusi e, a tratti, è stato impegnativo confrontarmi con lei: l’ho sentita molto lontana da me, dal mio modo di agire e comportarmi. Non ce l’avrei fatta a sopportare tutte quelle vessazioni e, al contempo, tener dritta l’asticella della fedeltà. Ma grazie a lei ho anche compreso molto di me e ho riscoperto il mio senso di giustizia. Del resto, il teatro è bello anche per questo: impersonare gli altri, immedesimarsi nei loro panni e venire a conoscenza delle loro ragioni».

Un immedesimarsi che non può prescindere dall’attualità contemporanea: «Abbiamo guardato alle vicende bibliche con uno sguardo moderno, con lo sguardo di una donna del nostro tempo, attenta alle questioni del nostro tempo – spiega Pagliarino –, constatando come la condizione femminile sia sempre sottomessa al potere maschile e all’iniziativa degli uomini. Al contempo, però, la donna sa ricavarsi spesso uno spazio di autonomia e libertà di giudizio. Del resto, non è un caso che, nella storia ebraica e nella storia sacra, i punti di svolta arrivino grazie all’agire di personaggi femminili. E seppur questa storia sia stata scritta da uomini di secoli fa, è possibile trovarvi al suo interno un interessante punto di vista femminile, uno sguardo altro, non consueto, che, in un certo senso, decostruisce e ridimensiona la figura di Davide. Non per niente, si è ebrei da parte di madre».

Sulla scena, in contemporanea alla lettura dei testi, l’artista Fernanda Ghirardini, su grandi fogli bianchi, improvviserà dei disegni, attraverso tempere, gessetti e colori a olio. Le voci delle narratrici saranno accompagnate dalla pittura, in un crescendo di emozioni e riflessioni. «Non vogliamo che gli spettatori tornino a casa con un giudizio – spiega Bignamini –, ma con un sentimento nel cuore. Non desideriamo dimostrare alcunché, bensì mostrare e suscitare un dialogo interiore. Il teatro è relazione e, nonostante le necessarie restrizioni, ritrovarsi tutti assieme dopo tanto tempo, in una sala colma di corpi, voci e emozioni, è qualcosa che ci riempie di gioia. È ora di recuperare il nostro rapporto con l’umano e per farlo non possiamo contare né sulle macchine né sulla tecnologia, ma sull’arte. È nell’arte che vive la speranza».