“The Father”: Anthony Hopkins racconta la vecchiaia e i suoi labirinti

Lo spazio e il tempo, come ormai dovrebbero sapere i nostri 25 lettori, dato che ne abbiamo accennato già in diverse altre occasioni, sono le due coordinate (non le sole), sulle quali si basa l’architettura narrativa cinematografica. Della vasta letteratura sull’argomento torneremo a segnalare, almeno, i due testi del filosofo francese Gilles Deleuze: “L’immagine tempo” e “L’immagine movimento”. Questo per dire che il tempo e lo spazio informano, da sempre, l’immaginario spettacolare di un “testo”, quello filmico, che eccede la realtà e che, nei suoi esiti migliori, aiuta a comprendere il mondo. Anche quando “il mondo” è racchiuso nel microcosmo di una persona: nel suo cervello, nei meccanismi che ne regolano il funzionamento o, come in questo caso, il suo malfunzionamento.


Anthony (Anthony Hopkins che, per questo ruolo in “The Father”, ha vinto un meritatissimo Oscar per la miglior interpretazione maschile), è un ultraottantenne che si sta avviando su quel terreno scivoloso della perdita, appunto, delle proprie coordinate spazio-temporali. Demenza senile? Alzheimer? Di fatto, Anthony, vive in una sua particolare dimensione nella quale è difficile orientarsi: prima di tutto per lui. E, di conseguenza, per chi se ne deve occupare, in questo caso, la figlia Anne (Olivia Colman). Parliamo del film “The Father – Nulla è come sembra” di Florian Zeller tratto dal suo omonimo testo teatrale che era già stato adattato per schermo nel 2015 dal regista francese Philippe Le Guay nel film “Florida”, interpretato da Jean Rochefort e da Sandrine Kimberlain. Florian Zeller, adattando il suo stesso testo per il cinema, mette in scena proprio quel meccanismo di scardinamento spazio-temporale che ormai informa la vita di Anthony. E lo fa spiazzando lo spettatore che si trova così a dover seguire una vicenda dove, appunto, le classiche coordinate di spazio e tempo sono completamente saltate, sfasate, ingarbugliate: niente è come sembra, come aggiunge il titolo italiano. Zeller, in sostanza, mette in scena in “The Father” lo spazio interiore del protagonista, le sue percezioni distorte della realtà ma come se fossero “la” realtà. Il grande appartamento londinese nel quale si svolge la vicenda potrebbe addirittura essere una proiezione della sua mente, del suo cervello che continua a ragionare come se fosse ancora lì e invece potrebbe già trovarsi nell’istituto dove lo troviamo alla fine. Un grande lavoro di regia, assecondato da una grande prova d’attore di Hopkins che spazia da un registro sommesso e sornione, ad uno di lucida e ferina “follia” ma sempre trattenuta entro i confini di una quotidianità che spiazza proprio perché, la messa in scena, ce la presenta come tale, anche se sappiamo che non lo è.

(Valutazione Commissione film Cei: consigliabile, problematico, adatto per dibattiti. Leggi la scheda qui)