Perché il dolore innocente? Superare i momenti duri in cui ci si sente traditi dalla vita

Cara suor Chiara,

Nei proverbi della tradizione popolare spesso si sente dire che “il tempo è gentiluomo”, che alla lunga la vita ripaga chi si impegna e “si comporta bene”. A volte però io mi sento come Giobbe, tradito dalla vita, con un carico di dolore e delusione troppo pesante da portare, soprattutto in questo periodo che ha portato dei lutti anche nella mia famiglia. Cerco di pregare, ma faccio fatica e a volte mi chiedo come può Dio permettere tutto questo. Mi chiedo che cosa posso aver fatto per meritarmelo. Le chiedo una parola di conforto e una preghiera per me.

Giuseppe

Il tuo scritto, caro Giuseppe, lascia intravvedere tanta sofferenza: sentirsi traditi dalla vita è una sensazione pesante da portare e comprendo il tuo smarrimento. Come è possibile – ti chiedi – che Dio permetta tutto questo?

Innanzitutto, vorrei citare anch’io una celebre frase che potrebbe aiutarci: “Il bene è premio a sé stesso”. Che significa? Significa che se hai cercato di vivere bene, pur nella condizione di fragilità e di debolezza che caratterizza ogni essere umano, se hai scelto di percorrere la strada buona, di essere generoso e disponibile ad aiutare i fratelli, di fuggire la menzogna e la doppiezza, allora il tuo cuore sarà sempre nella gioia e nella pace, anche se dovrai attraversare le inevitabili croci della vita. Se al contrario, hai percorso le tortuose vie del male, facendo soffrire i tuoi fratelli, allora, quando meno te lo aspetti, la vita ti porgerà il conto e…. sarà salato. In questo senso, forse è da intendere: “Il tempo è gentiluomo!”.

Ma, allora, perché il dolore innocente? Perché l’uomo retto non è esente da prove dolorose? Perché nella sua rettitudine Giobbe ha attraversato la durissima prova che tutti conosciamo? E perché Gesù, l’unico innocente, giusto e santo, che ha vissuto solo amando, ha portato un carico di dolore e di passione grande come il mondo? Perché? 

Innanzitutto, mi pare di intuire, alla luce del vangelo, che le prove, i dolori, le delusioni che sperimentiamo lungo la nostra esistenza, sebbene orientata al vangelo, non sono castighi di Dio, ma dimensioni che appartengono a questa vita mortale, segnata dal limite e dal male, che il “nemico menzognero” ha seminato di nascosto. 

Ricordi la parabola della zizzania? “«Non avevi seminato del buon grano? – dicono i servi al padrone – Da dove viene tutta questa zizzania?». «Il nemico ha fatto questo!». «Vuoi che andiamo a raccoglierla?». «No! Perché non vi accada che assieme alla zizzania strappate il grano buono. Lasciate che l’uno e l’altro crescano insieme e alla fine dei tempi gli angeli separeranno il grano buono dalla zizzania»” (cfr. Mt. 13,24-30). 

Comprendo tuttavia il tuo dubbio, la tua sofferenza, il tuo smarrimento. «Perché Signore? Non sono forse stato integro davanti a Te?», gridi dal profondo del cuore! Lo ha urlato Giobbe prima di noi dall’abisso del suo dolore. Lo ha urlato Gesù, l’innocente, l’unico che poteva veramente definirsi tale, sulla croce, schiacciato dal peso dell’iniquità dell’intera umanità e abbandonato dal Padre suo, nel quale aveva sempre riposto la sua illimitata fiducia. Lo gridiamo anche noi, ogni qual volta la prova e il dolore, come un’ingiustizia che non riteniamo di meritare, entrano nella nostra vita, nella vita delle nostre famiglie e delle nostre comunità.

Non spaventiamoci, lasciamo che il nostro gemito salga al cielo come preghiera. 

Il dolore innocente di Gesù è redentivo e il nostro, vissuto in comunione con Lui, diventa a sua volta, salvezza per i nostri fratelli; portandolo umilmente, in comunione con il Figlio di Dio, testimoniamo che non sono le prove e le delusioni della vita ad avere l’ultima parola, ma la Pasqua del Signore Gesù e la nostra nella sua. Ma, siamo fragili e deboli… il dolore ci schiaccia… Per questo abbiamo bisogno di sostenerci vicendevolmente e di innalzare la nostra preghiera perché anche nella prova possiamo continuare ad affidarci alle mani paterne di Dio.