Ddl Zan, le basi di un confronto vero oltre la battaglia sui social: il rispetto reciproco e il dovere di comprendere lealmente

“La prima condizione perché il dialogo sia possibile – scrive Norberto Bobbio – è il rispetto reciproco, che implica il dovere di comprendere lealmente ciò che l’altro dice”. Ci sono due elementi fondamentali in questa frase, che tornano di attualità in mezzo al fitto polverone sollevato negli ultimi giorni dai “battibecchi social” (sollevarli al rango di polemiche implicherebbe uno scatto di nobilità) intorno al ddl Zan sull’omotransfobia: rispetto, che è base e fondamento di qualunque relazione, e “il dovere di comprendere lealmente”. Entrambi, ci sembra, sono stati in alcuni casi disattesi. Anzi, quella di “comprendere lealmente” nell’attuale clima sociale e politico – in diversi ambiti, incluso quello dell’emergenza sanitaria – sembra diventata un’abilità “aliena”, così straordinaria che chi la esercita diventa facilmente un “supereroe”.

Nulla da eccepire sulla necessità di tutelare categorie perseguitate da pregiudizi e stereotipi (il ddl cita diversi soggetti, allargando molto il campo e forse a tratti ripetendo in modo pleonastico principi già sanciti dalla Costituzione), sacrosanta l’idea di punire chi si macchia di crimini d’odio, tanto più spregevoli se perpetrati ai danni di persone in condizioni di fragilità. Ma se l’obiettivo è – come dovrebbe essere – migliorare l’integrazione, la conoscenza, l’accettazione di realtà “diverse” attraverso strumenti di prevenzione e con l’applicazione di sanzioni certe, riteniamo possa essere interesse primario degli stessi promotori della legge quello di rispettare la pluralità di pensiero (alla base non c’è proprio questo, l’urgenza di aprire l’orizzonte a un pensiero plurale?) e di trovare la via della “comprensione leale” tra opinioni lontane, perfino opposte, piuttosto che alzare i toni dello scontro. Riteniamo sia importante per i diversi schieramenti (anche più di due, perché le idee in gioco, data la delicatezza della materia, sono tante e complesse) sgombrare il campo della legge da possibili “interpretazioni ambigue” anche in chiave antropologica e culturale. È un’impresa ardua, inutile nasconderlo – è ormai chiaro a tutti. Ma è possibile se il confronto è serio, aperto e leale come già un anno fa chiedeva la Cei e come la nota diplomatica del Vaticano si è trovata a ribadire, con il richiamo al Concordato, dopo che altre strade – ipotizziamo – erano state precluse. Il cardinale Bassetti, nei mesi scorsi, durante l’assemblea permanente della Cei, aveva già affermato che «Una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza». Non devono mancare il desiderio e la volontà di approfondire, e si può fare, per esempio, rileggendo il documento Maschio e femmina li creò. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, pubblicato nel 2019 a firma del cardinale Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica, e dell’arcivescovo Vincenzo Zani, segretario del Dicastero. Nelle conclusioni si legge fra l’altro che “la via del dialogo – che ascolta, ragiona e propone – appare come il percorso più efficace per una trasformazione positiva delle inquietudini e delle incomprensioni in una risorsa per lo sviluppo di un ambiente relazionale più aperto e umano” mentre “l’approccio ideologizzato alle delicate questioni del genere, pur dichiarando il rispetto delle diversità, rischia di considerare le differenze stesse in modo statico, lasciandole isolate e impermeabili l’una dall’altra”. La strada della costruzione di ponti – l’unica possibile, non è tempo di muri – non deve portare a una rinuncia della propria identità o della libertà. Papa Francesco ha già in passato ribadito nell’Amoris Laetitia (250) che «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione e particolarmente ogni forma di aggressione e violenza». È significativo che anche ieri il Santo Padre, nella catechesi dedicata alla lettera di San Paolo ai Galati, abbia invitato a diffidare dall’eccesso di rigidità: «Anche oggi, come allora, c’è insomma la tentazione di rinchiudersi in alcune certezze acquisite in tradizioni passate». Dialogo, però, non vuol dire silenzio, né rinuncia a confrontarsi: e la mancanza di ascolto è un’occasione persa. Nel frattempo Mario Draghi si è pronunciato con pacatezza, sottolineando che nel nostro ordinamento esistono tutte le garanzie preventive e successive per il rispetto della Costituzione, degli impegni internazionali, quindi anche del Concordato, e questo è un buon segnale. Si può dire senza timore che un dibattito che tocca l’identità e la libertà individuale, la struttura familiare (a questo proposito esistono anche gli articoli da 29 a 31 della Costituzione), la libertà educativa, la cultura, l’antropologia non può essere liquidato con la superficialità degli slogan, basando la propria posizione sul desiderio di raccogliere like o di cavalcare l’onda dei consensi. Ci vuole un dialogo più “profondo” “impegnato” e “maturo”, “comprendere lealmente”, lo diciamo di nuovo, affrontare in modo serio e argomentato i contenuti, accettando di mettere in discussione il testo. Documentarsi, ascoltare altre voci, rispettando l’impegno di chi ci sta lavorando da tempo: ne ha dato conto per esempio il quotidiano “Avvenire” con un lavoro molto approfondito di analisi, interviste, opinioni che coinvolgono giuristi, insegnanti, psicologi e teologi in atto da diversi mesi. Ci vuole, certamente, da parte dei cattolici la consapevolezza di doversi misurare con una realtà in continuo cambiamento, fluida e talvolta indifferente se non addirittura impermeabile al pensiero cristiano. Siamo peraltro certi che i principi di accoglienza, rispetto e considerazione per le persone auspicati dal Papa già si realizzino in tanti modi nella vita quotidiana delle comunità, anche nella nostra diocesi. “Le persone – scrive la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross – sono come le vetrate. Scintillano e brillano quando c’è il sole, ma quando cala l’oscurità rivelano la loro bellezza solo se c’è una luce dentro”. Questa luce dentro, per un cristiano, è il Vangelo, e tenerla accesa, farla emergere e scintillare quando cala l’oscurità è (dev’essere, deve restare) sempre una bella sfida.

  1. Bella l’immagine della vetrate.
    A proposito del discorso di Draghi al Senato, è utile tener presente che, dopo aver affermato che “il nostro è uno Stato laico”, egli ha aggiunto: “Voglio precisare una cosa, che si trova in una sentenza della Corte Costituzionale del 1989: la laicità non è indifferenza dello Stato rispetto al fenomeno religioso, la laicità è tutela del pluralismo e delle diversità culturali.”
    E’ una precisazione di non poca importanza, ignorata da gran parte della stampa.

    1. Certamente, un appunto importante. Grazie di cuore per la sua attenzione e il suo prezioso contributo

  2. Gent.ma Sabrina Penteriani, tutto bello, tutto giusto e, per parte mia, condivisibile ciò che lei dice. Tuttavia, mi pare che un dialogo costruttivo debba avvenire in condizioni di parità, non nel senso di una omogeneità delle posizioni espresse (sarebbe un dialogo autoreferenziale e quindi inutile), ma nel senso che i partecipanti al dialogo devono poter godere di pari opportunità di accesso al confronto. Al contrario, nel caso di specie, e senza nel merito delle posizioni espresse (peraltro note), si è assistito a un dialogo in radice inficiato da una evidente asimmetria: la chiesa cattolica ha potuto far valere le proprie ragioni (giuste o sbagliate che siano) facendo ricorso allo strumento concordatario, a quanto pare dopo che le altre modalità si sono rivelate infruttuose.
    Il punto è proprio questo: il Concordato, infatti, per quanto legittimo, è pur sempre un privilegio di cui gode la sola chiesa cattolica. Le altre confessioni cristiane (ortodossi e protestanti) e le altre religioni (ebraismo, islam, buddismo, induismo) non solo non hanno siffatti strumenti, ma riescono a malapena a far sentire la propria voce in un paese sempre più multireligioso, ma nel quale la voce “religiosa” è (quasi) sempre una.
    Pertanto, se dialogo dev’essere, che sia aperto e paritario. Non basta auspicare il dialogo; bisognerebbe, a mio parere, anche riconoscere onestamente in quali condizioni avviene. Dopodiché, se a parlare fosse l’evangelo e non il dettato concordatario sarebbe ancora meglio.
    Cordialmente

    1. La ringrazio per il suo contributo. Il Concordato nasce dalla nostra storia, perché in essa affonda radici e motivazioni, e tiene conto del ruolo che la Chiesa ha svolto e svolge tuttora nella società italiana. Un ruolo non certo irrilevante, sotto molti aspetti, incluso quello della sua funzione e azione sociale. In questo caso è stato uno strumento, come dice il cardinale Parolin, per richiamare l’attenzione su un argomento “che ci sta a cuore”, e per questo è stato usato lo strumento della “nota verbale”, una comunicazione diplomatica. Se un argomento sta a cuore, credo che intervenire e richiamare l’attenzione su eventuali punti critici sia lecito, anche questo lo chiarisce bene Parolin, e la inviterei – se crede – ad approfondire ascoltando l’intervista su Vatican news. Al di là del Concordato, comunque, la tutela del pluralismo richiamata poi anche dal presidente del Consiglio Draghi nella sua risposta, è contenuta anche nella Costituzione, e in particolare negli articoli 3, 19, 21 e 33 che parlano della libertà e uguaglianza fra i cittadini, della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà educativa. Il dialogo spero e auspico possa svolgersi ad ogni livello nella società, coinvolgendo tutte le componenti interessate, sgombrando il campo da tanti pregiudizi, e spero che vada anche al di là del fatto e del momento, perché alla fine è il presupposto della conoscenza reciproca, del cambiamento e della costruzione di legami positivi tra le persone, che poi si traduce più facilmente in un clima sfavorevole alle discriminazioni e ai crimini d’odio. Questo potrebbe portare (ce ne sarebbe proprio bisogno) anche a un miglioramento e forse a un “risanamento” del dibattito politico e sociale, che oggi spesso degenera e scade molto velocemente, il tempo di un tweet. Però bisogna provarci, sapendo che è faticoso, servono pazienza, studio e tante energie: a mio parere molti usano la battaglia e l’opposizione dura come scorciatoia.

  3. Essendo donne o omosessuali i capilista delle liste verdi in cui sono stato eletto al Parlamento della X e XI legislatura, ritengo di aver titolo ad esprimere le mie opinioni critiche sulla proposta di legge Zan.
    E’ stata redatta con un testo ambiguo e confuso in modo da permettere ai suoi sostenitori di dilatarne l’applicazione all’infinito, oltre le ventiquattro identità di genere attuali, e al tempo stesso di restringere le critiche fino al carcere per i dissidenti. I sostenitori affermano di voler difendere ogni diversità, come quelle biologiche o di genere, ma lo fanno negando il diritto alla diversità del pensiero altrui, nell’ottica di un pensiero globalizzato ed omogeneizzato come vuole la moda del “politicamente corretto” .
    Vogliono educare il “popolo bue” italiano ad una sociologia e ad un’antropologia imposte “ope legis” a colpi di maggioranza come insegnavano i giacobini.
    Ma una maggioranza da sola, per di più ballerina assai, è sufficiente a rendere giusto, oltre che legittimo, un provvedimento di tale complessità e portata che mette in discussione i fondamenti della civile convivenza perchè contiene elementi che vanno nella direzione del nihilismo del “post-umanesimo”?
    La risposta sta nel memorabile discorso che Benedetto XVI ha tenuto a Westminster davanti al Parlamento inglese: la liberaldemocrazia, tanto più oggi che è in crisi, ha bisogno di precondizioni senza le quali non ha fondamenta convincenti e creative.

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