Bobby Sands: scritti e poesie oltre le pareti del carcere. Leggere fra le righe delle ingiustizie

«Penso che per molta gente, alcuni uccelli o il canto di un’allodola, un cielo blu o una luna piena, siano là, ma passino spesso inosservati. Per me significano esistenza, serenità, conforto […]».

È un frammento di «La Finestra della mia mente», brano scritto da Bobby Sands durante la sua prigionia nel carcere di Long Kesh, vicino a Belfast. Ora, questo testo (assieme a tant’altri, composti dall’attivista e politico irlandese, morto a soli 27 anni, nel 1981, dopo uno sciopero della fame durato 66 giorni) vede finalmente la luce anche in Italia, grazie alla pubblicazione di «Scritti dal carcere. Poesie e prose» (Edizioni Paginauno, traduzione a cura di Riccardo Michelucci e Enrico Terrinoni), progetto editoriale della bergamasca Sara Agostinelli, che verrà presentato, sabato 10 luglio, al Parco della Crotta di Città Alta (ore 19, ingresso da Piazza Cittadella, gratuito, senza prenotazione).

«Tutto inizia tre anni fa, con una chiacchierata avvenuta fra me e Riccardo Michelucci, profondo conoscitore di Sands e di storia irlandese, giornalista di Avvenire e traduttore, con cui condivido la passione per l’“isola di smeraldo” – racconta Agostinelli –, in cui, stupiti, ci dicevamo quanto fosse bizzaro che, in Italia, a eccezione del suo diario («Un giorno della mia vita») non fossero mai stati pubblicati gli scritti (prose e poesie) di Bobby Sands. Decidemmo di presentare l’idea alla casa editrice con cui, da tempo, collaboro, la Paginauno».

Scritti di Bobby Sands, un attento lavoro di traduzione

Dopo aver incassato il plauso della casa editrice e, soprattutto, ottenuto i diritti dalla Bobby Sands Trust, l’attività di traduzione può prendere il via. «Il lavoro di traduzione, iniziato nell’autunno del 2019, è durato qualche mese – spiega Agostinelli. A febbraio 2020, dopo diverse correzioni di bozze, il libro era pronto. Doveva essere pubblicato a maggio ma, causa lockdown, il debutto è stato rimandato a settembre. Al progetto, si è subito unito anche Enrico Terrinoni, accademico, anglista e collaboratore de Il manifesto, osservatore attento delle vicende nordirlandesi: è lui che si è occupato delle poesie, mentre, alla prosa, ci ha pensato Michelucci. A tal proposito, si è deciso di rimanere fedeli al testo originale inglese, limitando al massimo il lavoro di editing.

Ci premeva, infatti, suggerire il contesto in cui l’opera, se così la si può chiamare, si è sviluppata e, soprattutto, evocare le condizioni in cui Sands, quando scriveva, versava». Condizioni disumane.

«I prigionieri repubblicani venivano confinati all’interno degli H-Blocks, i “gironi infernali” di Long Kesh, con lo status di prigionieri comuni – afferma Agostinelli – separati e isolati in celle da una o due persone, con l’obbligo di indossare l’uniforme del carcere. Una strategia, questa, volta alla loro totale criminalizzazione, che prevedeva l’eliminazione immediata dello status speciale e che intendeva così privarli di qualsiasi forma di dignità e di credibilità. Bobby Sands, nei Blocchi H, arrivò nell’ottobre del 1977, dopo ventidue giorni di cella d’isolamento nel carcere di Crumlin road, quindici dei quali trascorsi in totale nudità. Anche lui, come i suoi compagni, fu sottoposto, fin da subito, alle brutali torture fisiche e psicologiche da parte dei secondini: pestaggi quotidiani, violente perquisizioni, lavaggi forzati con la pompa ad alta pressione e la costante privazione dell’uso dei servizi igienici. Gli unici oggetti ammessi all’interno delle celle erano una Bibbia e le sottili coperte per cercare di ripararsi dal freddo invernale. Persino i materassi venivano requisiti dalle celle ogni mattina, per essere poi riportati alla sera. Eppure, in queste circostanze spaventose, all’interno di celle di cemento gelide, vuote e dall’odore nauseabondo, Bobby Sands riuscì a comporre le sue poesie più belle e le prose più accese, quelle che si possono ritrovare nel volume edito da Paginauno, capaci di restituire al lettore un’immagine più completa del giovane irlandese, non solo ribelle e rivoluzionario, ma anche scrittore».

Chi era Sands? Un ragazzo della classe operaia cattolica di Belfast

Già, ma chi era Bobby Sands? «Robert Gerard Sands era un ragazzo, un semplice ragazzo, appartenente alla classe operaia cattolica di Belfast – racconta Agostinelli –, a cui, quindi, capitò di nascere fra la gente più povera della città, in un periodo in cui, in Irlanda del Nord, l’oppressione verso i repubblicani, da parte dei protestanti unionisti, era molto violenta. La violenza del settarismo non risparmiò neanche lui e la sua famiglia che, a causa delle intimidazioni e delle discriminazioni a opera dei lealisti, dovette cambiare casa più volte. Lasciata la scuola per aiutare economicamente i familiari, Sands divenne apprendista carrozziere, ma, ancora una volta, per colpa delle minacce subite, fu costretto a lasciare il lavoro. Nel 1972, a soli diciotto anni e insofferente alle ingiustizie subite dalla propria gente, si unì all’IRA, diventando membro del primo battaglione della Brigata Belfast. Nel 1977, però, fu condannato a 14 anni di carcere senza prove a suo carico».

Ma è proprio la reclusione forzata a fargli raggiungere la piena maturità politica e letteraria e a farlo diventare punto di riferimento morale di tutto il movimento repubblicano.

Un talento che supera le pareti del carcere

«Bobby Sands era una persona davvero eccezionale, piena di vitalità – dice Agostinelli –. All’interno di Long Kesh, era in grado di motivare i compagni e tenere alto il loro morale. Il suo attivismo era senza sosta e la sua energia pareva inesauribile. Sebbene fosse rinchiuso tutto il giorno all’interno di una cella, era sempre impegnato a fare qualcosa. Pensava, organizzava, cantava. E scriveva. Perché, pur avendo abbandonato la scuola a soli quindici anni, Bobby Sands possedeva un autentico talento letterario. I suoi scritti dal carcere, ispirati alle ballate tradizionali e alla mitologia irlandese, sono pregni di una tragica icasticità e di un drammatico lirismo ma, al tempo stesso, sanno essere carichi di salace ironia e capaci di evocare determinazione, sacrificio, speranza e un’infinita e contagiosa voglia di vivere. La tensione costante tra l’imprigionamento del corpo e la libertà della mente attraversa tutta l’opera, mettendo in risalto lo spiritualismo celtico dell’oppresso che si contrappone all’imperialismo materialista dell’oppressore britannico. Un sentire che ci rivela un Sands in connessione con la natura e che si incarna nella figura ricorrente dell’uccello, che, a seconda dei casi, può rappresentare la volontà di evasione (l’usignolo) o un’allusione al triste destino di cui il militante dell’IRA era consapevole (il richiamo luttuoso del chiurlo)».

Cartine per sigarette come fogli per scrivere in cella

Cartine per sigarette, pezzi di carta igienica: nel deserto di Long Kesh, questi sono i quaderni a disposizione di Bobby Sands. «Una minuscola nota scritta su un pezzo di carta igienica poteva esser fatta circolare da una parte all’altra del carcere e poi ripiegata all’interno di un piccolo opuscolo religioso – afferma Agostinelli –. Ancor più preziose, però, erano le cartine da sigarette che avevano una consistenza che permetteva di scrivere su entrambi i lati. Una volta terminati, i testi venivano poi fatti uscire all’esterno, passati, clandestinamente, ai familiari, durante le visite. Nei Blocchi H, la carta era una materia prima assai scarsa ed era necessario, quindi, risparmiare spazio: Bobby Sands era capace di far entrare fino a trecento parole sul lato di una cartina da sigaretta. Spesso scriveva senza interruzioni tra un paragrafo e l’altro, non perché ignorasse le più basilari regole grammaticali ma perché la forma e la correttezza ortografica erano diventate un lusso che non poteva più permettersi».

Il 23 ottobre 1977, appena tre giorni dopo l’arrivo nei Blocchi H, Sands scrisse il suo primo testo usando il piccolo ricambio di una penna a sfera e un pezzo di carta igienica. Due settimane più tardi, quel testo venne pubblicato anonimo sul Republican News, con il titolo “On the Blanket”. L’utilizzo di una firma anonima nasceva da ovvie esigenze di sicurezza e dal fatto che, all’epoca, Bobby Sands era ancora uno dei tanti giovani volontari finiti in carcere in quegli anni.

La scrittura come forma di resistenza

Bisognerà attendere un anno per veder uscire il primo scritto con il famoso pseudonimo “Marcella” (il nome della sorella, alla quale era molto affezionato). «Di fronte all’incessante violenza dei secondini la parola rimase l’unica arma per conservare la dignità – spiega Agostinelli –. E, attraverso di essa, i prigionieri riuscirono a sentirsi più forti del sistema che voleva ridurli al silenzio. La scrittura divenne quindi un atto supremo di resistenza. È bene ricordare, tuttavia, come Bobby Sands non si considerasse scrittore né, tanto meno, poeta. I suoi brani sono una forma di sopravvivenza, un palliativo per la solitudine, sua e dei suoi compagni, un modo per dare forma alla sofferenza e rimarcare la propria identità. Ma è palese come l’ampio spettro di argomenti trattati, la concretezza delle sue analisi politiche, l’amore per la natura e per la propria terra e la delicatezza di alcune descrizioni ci suggeriscono, oltre che il ritratto di un uomo ferito, un personaggio coraggioso, dalla grande intelligenza e sensibilità».

Le ingiustizie di ieri e di oggi. Testi che aiutano a leggere il presente

Qualità d’animo che spingono Sands, nel 1981, a intraprendere uno sciopero della fame, affinché il Governo britannico riconosca, a lui e ai suoi compagni, lo status di prigionieri politici. Richieste che l’esecutivo di Margaret Thatcher non soddisfò. Il resto, dice Sara Agostinelli, è storia: «Il 5 maggio, meno di un mese dopo esser stato eletto al parlamento di Westminster (oltre trentaduemila voti a favore), Bobby Sands morì. La sua morte (e quella dei suoi nove compagni di prigionia) diede nuova linfa al movimento repubblicano, alimentandone la crescita, fino a farlo diventare una grande forza politica, capace di percorrere fino in fondo, e per vie democratiche, la lunga strada di uno storico processo di pace. Lo status di prigioniero politico, infine, fu gradualmente reintrodotto e, da quel momento in poi, le condizioni carcerarie dei prigionieri repubblicani incominciarono a migliorare. Per quanto riguarda gli scritti di Sands, il Republican News continuò a pubblicarli anche nei mesi successivi alla sua morte. Ora, finalmente, quei brani, già eterni, possono parlare anche al pubblico italiano, in tutta la loro forza e in tutta la loro universale attualità. Perché non c’è differenza fra le ingiustizie di ieri e quelle di oggi. Un’opportunità preziosa, quindi, per chi, attraverso gli occhi del ribelle irlandese, vuole comprendere meglio il presente che stiamo vivendo». 

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