Cinquant’anni di Caritas Italiana. Intervista al direttore, Mons. Francesco Soddu

Il 2 luglio 1971 Paolo VI istituiva la Caritas (https://www.caritas.it/), organismo pastorale della CEI per la promozione della carità, “al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica”. (art.1 dello Statuto). 

La Caritas iniziava la sua attività negli stessi anni in cui veniva pubblicato il documento base della catechesi, promulgato il nuovo Messale romano, approvata la traduzione italiana della Bibbia, tutte scelte legate al Concilio Vaticano II, che hanno caratterizzato il cammino della Chiesa italiana fino ad oggi. La pandemia legata alla diffusione del Covid-19, e la conseguente povertà che ha colpito alcune fasce della popolazione italiana, ha fatto sì che la Caritas prodigasse il proprio aiuto e sussistenza su tutto il territorio nazionale. Infatti Caritas significa una fitta rete di solidarietà. Nel 2020 sono stati oltre 93 mila i volontari operanti nei 6.780 servizi della rete Caritas, insieme a 407 giovani del servizio civile. 

Approfondiamo questa importante ricorrenza e il rapporto Caritas – pandemia con Mons. Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana da fine gennaio 2012.

Nel 1971 Papa Montini sollecitò la nascita di un nuovo organismo pastorale, la Caritas italiana. Il presidente della CEI di allora, il cardinale arcivescovo di Bologna, Antonio Poma, incaricò una commissione presieduta da don Giovanni Nervo di promuovere l’avvio di quel lungo cammino, che arriva fino ai giorni nostri. Fu quindi un’intuizione profetica quella di Paolo VI che parte negli anni Settanta del “Secolo breve” per giungere ai profughi di Lampedusa e di Erbil, senza dimenticare il quotidiano impegno a favore di vecchie e nuove povertà, aggravate dalla pandemia da Covid–19 che stiamo vivendo?

«La storia della Caritas Italiana si intreccia e si fonde con quella delle Caritas diocesane, in modo particolare attraverso la “pedagogia dei fatti” che impegna le comunità, a partire dai problemi, dai fenomeni di povertà, dalle sofferenze delle persone, ma soprattutto considerando e interpretando tutto questo alla luce del Vangelo. Su questi binari si è sviluppata la presenza della Caritas dentro i normali cammini delle Chiese locali. Molte le scelte significative che in questi cinque decenni hanno aiutato le Caritas e le Chiese locali a cogliere il nesso stretto tra carità, giustizia e pace. In questi anni la Caritas ha continuato a esserci, a operare e animare il territorio. Si è radicata, ha posto solide basi nelle diocesi e nelle parrocchie. Anche nei momenti in cui è sembrata meno visibile ha continuato sulle frontiere più difficili a praticare quella carità che tende a liberare le persone dal bisogno e a renderle protagoniste della propria vita. Tenendo in somma considerazione quanto raccomandato da papa Paolo VI con la sottolineatura della “prevalente funzione pedagogica”. Nel contempo la Caritas ha sempre cercato di interpellare e stimolare le istituzioni, di programmare a lunga scadenza e intercettare, grazie proprio alle antenne delle Caritas diocesane, i problemi prima ancora che diventassero emergenze. Lo ha fatto ad es. nel 1986 a Roma con il convegno “Immigrati terzomondiali: dal rifiuto all’accoglienza”. Lo ha fatto insistendo prima perché fosse riconosciuta l’obiezione di coscienza e poi perché il servizio civile fosse gestito correttamente da parte del Ministero della difesa. Negli anni la Caritas quindi si è qualificata come soggetto autorevole e centro d’iniziativa su temi importanti dell’agenda sociale, mostrando capacità di incidere in modo coerente nelle diverse fasi politiche. Non è il caso di fornire qui il catalogo dettagliato delle iniziative e degli interventi cosiddetti di advocacy promossi o sollecitati dalla Caritas su questioni decisive come quelli ricordati sull’immigrazione e l’integrazione, o l’obiezione di coscienza, ma anche sulle tossicodipendenze e la famiglia, il sostegno all’handicap; o come la capacità d’intervento a fronte di calamità naturali e non, in Italia e nel mondo. Fino alla pandemia. C’è dunque da augurarsi che la Caritas mantenga e sviluppi questa sua capacità di elaborazione e di proposta all’interno del dibattito pubblico sulla ricerca del bene comune, senza preclusioni e senza pregiudizi. Naturalmente, così come recita l’articolo 1 dello statuto “in forme consone ai tempi e ai bisogni”, a volte la Chiesa è chiamata ad esercitare un’azione di supplenza. Ma il suo compito è quello della profezia. Del richiamare anche lo Stato, la politica, tutti noi, a traguardi più alti, all’attenzione alle nuove povertà, ad accorgersi dei problemi che ci sono nella società. È ciò che cerchiamo di fare attraverso quelle che chiamiamo “opere-segno”, per indicare piste nuove, nuovi percorsi di azione, nuovi stili per operare tra gli ultimi».

La ricorrenza dei cinquant’anni della Caritas italiana cade in un momento caratterizzato dalla pandemia, che sta accelerando quel cambio d’epoca più volte segnalato da Papa Francesco, il quale un anno fa durante l’omelia della Messa di Pentecoste all’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro, invitò i fedeli a non “sprecare” l’emergenza sanitaria ed economica che stiamo affrontando. “Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”. Che cosa ne pensa? 

«Un operatore di una Caritas diocesana così ha testimoniato: “In poco più di due mesi la nostra vita, la nostra quotidianità è stata rivoluzionata da qualcosa di inaspettato: un virus. Il Coronavirus […] è entrato in modo dirompente nelle nostre esistenze e ha sovvertito tutti gli schemi, le dinamiche e i progetti, che come singoli e come comunità avevamo pensato e avevamo avviato. Ci siamo scoperti fragili, ci siamo trovati impreparati e non abbiamo potuto fare altro che continuare a fare quello che sappiamo fare meglio: essere al servizio degli ultimi.” Queste parole credo siano condivisibili da tutti noi. In questo quadro Caritas Italiana, fin dai primi giorni dell’emergenza Covid-19, ha intensificato il contatto e il coordinamento di tutte le 218 Caritas diocesane in Italia, svolgendo un ruolo di collegamento, informazione, animazione e consulenza.

L’intera rete Caritas è stata il cuore pulsante in questa pandemia. Grazie proprio a questo radicamento sul territorio, la Caritas è stata punto di riferimento per i più poveri, mantenendo la regia di quella cultura della prossimità e della solidarietà che da sempre promuove. Adesso, il rischio da evitare è che questa emergenza – come altre – si trasformi in un eterno presente, diventando un alibi per non affrontare con sistematicità alcuni nodi del nostro welfare, del nostro sistema produttivo e del mondo del lavoro. Come ci ricorda Papa Francesco: “Uscire dalla crisi non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali, perché sembrino un po’ più giuste. Uscire dalla crisi significa cambiare, e il vero cambiamento lo fanno tutti, tutte le persone che formano il popolo. Tutte le professioni, tutti. E tutti insieme, tutti in comunità. Se non lo fanno tutti il risultato sarà negativo”. L’unico modo per andare oltre l’emergenza è costruire una visione per il futuro del nostro paese attorno a cui coagulare le energie e il fermento che abbiamo scoperto annidarsi nelle pieghe del tessuto sociale in questi mesi. Noi di Caritas li abbiamo voluti chiamare “gli anticorpi della solidarietà”, perché sono stati appigli concreti nelle situazioni di emergenza, lasciando intravedere le potenzialità di una cittadinanza attiva e solidale che andrebbero nutrite e valorizzate. Intorno a una strategia per il futuro del nostro Paese occorre far convergere infatti risorse umane prima ancora che economiche e in questo orizzonte stimolare azioni, interventi, progetti, proposte, che vadano a favorire “il superamento dell’inequità” e la promozione di una “nuova economia” più attenta ai principi etici». 

Secondo il Quarto monitoraggio Caritas sull’emergenza pandemia e sulle risposte attivate nel territorio, dal 1° settembre 2020 al 31 marzo 2021, le Caritas hanno accompagnato 544.775 persone. Una persona su quattro di quanti si sono rivolti alle Caritas diocesane è un nuovo povero. Prevalgono donne e italiani. Covid–19 e Caritas: il Vostro impegno è dunque raddoppiato?

«L’emergenza della pandemia ci sta mettendo a dura prova e ci prospetta scenari ancora ignoti e imprevedibili. Tuttavia proprio in questo contesto di pandemia abbiamo sperimentato il momento della comunità e della Chiesa. La presenza, il rapporto umano, la comunione ecclesiale, la condivisione della sofferenza; l’immergersi nelle sofferenze e nei problemi di ogni comunità e di ogni persona, difendendone con coraggio i valori, la dignità e i diritti. Ecco che allora i numeri non devono scoraggiarci. In primo luogo perché, come ho accennato prima, alla Caritas non spetta un lavoro di supplenza ma di stimolo. Quindi il nostro impegno è di continuare in un cammino che si inquadra nelle indicazioni che Papa Francesco ha dato nel suo discorso alla Chiesa italiana di 5 anni fa a Firenze. Un discorso che sottolineava diverse questioni ma soprattutto riproponeva con forza due impegni decisivi per la Chiesa italiana (e per la Caritas): “L’inclusione sociale dei poveri, che hanno un posto privilegiato nel popolo di Dio, e la capacità di incontro e di dialogo per favorire l’amicizia sociale nel vostro Paese, cercando il bene comune”. Tutto questo Papa Francesco lo ha ribadito con forza di recente, in particolare durante a 74ma Assemblea dei Vescovi Italiani nel maggio scorso, indicando anche uno strumento per attuare oggi il Concilio in questo cambio di epoca: il sinodo della Chiesa italiana». 

Le Caritas diocesane hanno evidenziato che, accanto a situazioni legate ai bisogni fondamentali della persona (il lavoro, la casa, ecc.), compaiono bisogni inerenti alla sfera formativa e al disagio psico-sociale, che colpiscono soprattutto donne e giovani. Ce ne vuole parlare?

«La pandemia ha indotto in tutti (operatori, volontari e fruitori dei servizi, ma in generale tutti i cittadini) un profondo senso di smarrimento e di paura. Almeno nella fase iniziale, questa situazione emotiva comune ha probabilmente accorciato le distanze tra beneficiari, operatori e volontari dei servizi. Nelle varie indagini e monitoraggi compiuti in questi mesi sono emersi problemi e approcci psicologici diversi. In particolare nell’ultimo monitoraggio compaiono bisogni inerenti alla sfera formativa e al disagio psico-sociale, che colpiscono soprattutto le donne e i giovani, come ad esempio difficoltà legate al lavoro precario, povertà educativa (abbandono, ritardo scolastico, difficoltà a seguire le lezioni, ecc.), disagio psico-sociale dei giovani. Anche altri fenomeni sono segnalati in aumento: il disagio psico-sociale degli anziani e delle donne, la povertà minorile, la rinuncia/rinvio dell’assistenza sanitaria ordinaria, non legata al Covid, le violenze domestiche. Tra gli elementi di difficoltà più citati, la vita con i bambini e gli adolescenti chiusi in casa. I genitori hanno vissuto la sofferenza dei ragazzi lontani dagli amici, dei bambini che hanno dovuto adeguarsi a spazi troppo stretti, privi della possibilità di correre e giocare con i coetanei. Tra gli adolescenti, invece, accanto ai ragazzi che non riuscivano a stare a casa, in alcuni casi si è registrato il fenomeno di chi si è isolato volontariamente dal mondo esterno. Altro problema particolarmente avvertito e segnalato dalle famiglie ha riguardato la didattica a distanza, non solo in relazione al tema della povertà digitale, ovvero alle difficoltà di connettersi alla rete internet o alla disponibilità di strumenti quali pc o tablet, ma soprattutto rispetto alla fatica di seguire le lezioni con i figli o di aiutarli nei compiti; la pandemia ha rivelato in diversi casi una carenza di competenze, che rende difficile accompagnare il percorso di studi. In generale va anche detto che i beneficiari dei servizi delle Caritas, oltre a citare gli aiuti concreti (alimentari, economici, ecc.), hanno segnalato lo stile di prossimità degli operatori e dei volontari. Lo stile di ascolto e di relazione ha aiutato le persone a non avvertire il senso di abbandono, a rafforzare la propria autostima e a trovare il coraggio per andare avanti e per riprendere le redini di una vita che, talvolta, sembrava essere fuori controllo». 

Ceuta, la foto del neonato migrante salvato dal mare ha commosso il mondo ed è diventato il simbolo del caos dell’enclave spagnola in Marocco presa d’assalto da 8mila persone, mentre nel nostro Paese, complice il mare calmo, proseguono gli sbarchi di migranti a Lampedusa nell’indifferenza dell’intera Europa. Qual è il Vostro impegno in tal senso?

«Davanti alle recenti, nuove tragedie, Papa Francesco ha parlato di “momento della vergogna”, chiedendo preghiere per le vittime ma anche per quanti, pur potendo “aiutare preferiscono guardare da un’altra parte”. Dal 2014 più di 20.000 uomini, donne e bambini sono morti o scomparsi nel Mediterraneo centrale, che così conferma il suo triste primato di rotta migratoria più letale al mondo. Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, card. Gualtiero Bassetti, riferendosi all’esperienza dei corridoi umanitari, ha ricordato che “la Conferenza Episcopale Italiana, attraverso i suoi Uffici nazionali, ha garantito l’arrivo in Italia e l’accoglienza in sicurezza di oltre mille profughi dal Medio Oriente e dall’Africa, dimostrando che è possibile un’alternativa agli ingressi irregolari e alle morti in mare, su cui un giorno sarà severo e inappellabile il giudizio di Dio: “Dov’è tuo fratello?”.

La vera sfida, dunque, è di carattere politico e consiste nel trovare il giusto bilanciamento tra la sicurezza delle persone che cercano di raggiungere l’Europa e le preoccupazioni dei paesi alle frontiere esterne dell’UE, che temono flussi incontrollati e per questo necessitano della solidarietà degli altri Stati. Per fare funzionare un patto così ambizioso è però necessario lavorare su un presupposto fondamentale e non più rinviabile ovvero la riforma radicale dell’attuale sistema “Dublino”, regolamento incentrato sull’attribuzione delle responsabilità ai Paesi di primo ingresso nell’Unione». 

Uno studio scientifico condotto dal Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità, insieme alla Fondazione Bruno Kessler prevede che l’Italia possa concludere l’emergenza sanitaria nell’agosto di quest’anno. Quali sono i Vostri obiettivi futuri?

«Il servizio della Caritas Italiana in questi 5 decenni ha cercato di essere fedele al mandato ricevuto. Nel percorso di avvicinamento al 50° abbiamo avviato una verifica sulla capacità di cogliere le tendenze culturali, sociali e politiche, e di innervarle di Vangelo in modalità creativa e di confine, e in qualche modo anticipatoria. Tutto questo ha comportato il mettere sotto la lente il lavoro svolto in Italia, nella Chiesa e nel mondo, provando a leggere le sfide contemporanee alla luce del mandato ecclesiale, per declinarlo nel tempo attuale e prossimo futuro. In sintesi per la Caritas è emersa una sfida complessiva: partendo dal passato, guardare presente e futuro, a servizio della Chiesa italiana e nell’ottica della pandemia, sempre disponibile al cambiamento. Senza lasciarci prendere dalla paura o dallo scoraggiamento continuiamo dunque a leggere la realtà che stiamo vivendo, cogliendo anche in questo tempo di crisi e di emergenza, con la grazia di Dio e l’impegno degli uomini, i segni di crescita e di speranza. L’auspicio è che insieme, grazie a questo lavoro di confronto e di discernimento, possiamo gettare le basi per una Caritas che, fedele alla sua storia e aperta al nuovo, possa ovunque essere stimolo, affinché tutti, singoli e comunità, vivano una reale e appassionata attenzione a chi è nel bisogno, e possa essere segno di una Chiesa in uscita che si fa lievito per costruire un futuro in cui ciascuno può sentirsi parte di un progetto che ha contribuito a scrivere. Nella consapevolezza che proprio  “di fronte alle sfide e alle contraddizioni del nostro tempo – come indicato da papa Francesco – la Caritas ha il difficile, ma fondamentale compito, di fare in modo che il servizio caritativo diventi impegno di ognuno di noi, cioè che l’intera comunità cristiana diventi soggetto di carità” ».