Verso l’alt(r)o, la meditazione della settimana: “Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace”

Il cristiano è un uomo di pace, non un uomo in pace


È questa una provocazione di don Primo Mazzolari. Una di quelle frasi ad effetto diremmo oggi, una sorta di slogan che gioca sulla variazione di una preposizione semplice. Non so se sia suonata e se sia stata letta in questo modo quando la scrisse e la pronunciò, ma quel che è certo di don Primo è la sua grande qualità di risultare contemporaneo ad ogni epoca, probabilmente perché sempre è stato contemporaneo a Cristo. È contemporanea la sua affermazione perché ciascuno può ritrovarsi e può sentirsi chiamato in causa.

Innanzitutto è un invito a non nascondere, a non aver timore di mostrarsi nella propria identità più profonda: cristiani e uomini di pace. Spesso l’essere cristiani pare quasi essere fuori moda, uno stile desueto, limitativo. In realtà è tutto il contrario: smuove, anima, vivifica purché tenga conto della seconda parte della frase: non è un uomo in pace. Di primo impatto è inevitabile leggere una situazione poco positiva, ma il non essere in pace richiama il movimento, in primis interiore che si traduce poi in un movimento esterno, legato alle scelte e al nostro modo di agire, di vivere.

Il cristiano è per la pace, ma non una pace che si accontenta del quieto vivere per non scomodarsi, una pace che suona più di indifferenza e comodità personale. La pace cui si riferisce don Primo è quella che sgorga da un conflitto, mai armato e violento, ma non per questo meno dispendioso e
tragico, anzi. Il conflitto con se stessi, con la propria coscienza che troppo spesso rimane sopita,
anestetizzata dal nostro tornaconto, dal pensiero di non essere abbastanza per poter fare qualcosa in
determinate situazioni, di non essere chiamati in causa perché magari quell’assenza di pace in cui ci
si imbatte non è causata immediatamente da noi. Assenza di pace e non guerra, perché non è
sufficiente che non ci sia una evidente guerra perché ci sia la pace.

In realtà per il sol fatto che ci sentiamo interpellati è bene intraprendere quel conflitto interiore a cui
invita don Primo, e che dovrebbe accompagnare ciascun cristiano nella propria intera vita di fronte
alle diverse situazioni. Inevitabilmente ciò genera nell’animo inquietudine, ma è un’inquietudine
ricca di amore. Un travaglio interiore proprio come quello che visse Mazzolari, ma che si rivela
essere il travaglio che custodisce l’autenticità dell’essere cristiani.