Gli adolescenti e il loro rapporto con la figura del prete. Il nostro sondaggio

Adolescenti e preti. Relazioni dentro vite e storie che cambiano. Costruite sotto e dentro iniziative ed eventi, nel tempo vissuto insieme. C’è uno spazio privilegiato, che è l’oratorio. Ci sono traiettorie tessute e ritessute.

Le relazioni educative cambiano necessariamente nel tempo dell’adolescenza. Le dinamiche della crescita portano a mutare prospettive e posizionamenti.

Abbiamo chiesto ad alcuni adolescenti come è cambiato il loro rapporto con la figura del prete nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza. 

Claudio, 18 anni, di Presezzo: “Inevitabilmente il mio rapporto è cambiato nel tempo, un po’ perché sono cambiato io, un po’ perché abbiamo cambiato il prete della parrocchia. Da piccolo mi ricordo come il don fosse il ‘capo’ dell’oratorio e ci incuteva quasi paura. Col passare del tempo e scalando i ruoli educativi l’ho visto sempre più come un amico con più esperienza di me”.

Pensieri simili esprime anche Federico, 17 anni, di Gazzaniga: “Prima, quando ero bambino, vedevo il don più come un autorità, mentre ora, da adolescente, posso dire tranquillamente che lo considero un amico e un compagno d’esperienze”.

Sulla stessa linea anche Sebastiano, 19 anni, di Nembro: “All’inizio vedi il prete come una figura autorevole, in una posizione di potere: in chiesa è quello che gestisce tutto, è la persona di riferimento per tutto. Lo vedi come una figura alta, irraggiungibile. Crescendo, il prete è diventato per me più amico, più vicino, più in contatto diretto grazie alle esperienze fatte in oratorio. Più cresci, più il prete lo percepisci come uno come te”.

Parla di un cambiamento positivo anche Agata, 19 anni, di Curno: “Da piccola vedevo il don come una persona un po’ ‘diversa’ da noi, perché, come dicevamo tra noi bambini, ‘lui ha avuto la vocazione, come se Dio lo avesse chiamato al telefono e gli avesse parlato’ e questa cosa faceva molto strano. Da adolescente, invece, la mia visione è cambiata, perché ho cominciato a vedere il don come una figura di riferimento, che guida i nostri passi. Non è qui per giudicare nessuno e non è qualcuno di cui bisogna avere un timore reverenziale e che non può capire i nostri problemi in quanto ‘diverso’. È una persona che da adolescente ha vissuto sulla sua pelle i nostri stessi problemi e che ora, da adulto-educatore, sa ascoltare e dare il consiglio giusto se abbiamo bisogno di aiuto”.

Marta, 16 anni, di Nembro, racconta invece di un cambiamento nella direzione di un maggior spirito critico: “Il mio rapporto con il don è cambiato molto da quando ero bambina: quando ero più piccola pensavo fosse una persona da stimare, da cui apprendere il più possibile, un punto fermo essenziale. Adesso che sono cresciuta ho imparato a dare il giusto peso anche alla figura del don poiché anche lui è un essere umano, commette degli errori, quindi apprendo solo determinate cose, ma comunque resta una persona importante, da seguire”.

Si tratta invece di una figura nuova per Marcello, 18 anni, di Gazzaniga: “Il mio rapporto con il don è migliorato in quanto da piccolo passavo pochissimo tempo in oratorio e vedevo il don come un uomo estraneo alla mia vita. Ora il don mi ha permesso di passare molto più tempo in oratorio grazie anche a nuove attività e ciò mi ha permesso di conoscere meglio me stesso e migliorare il rapporto col don”.

Le cose non sono cambiate, invece, per Ilaria, 18 anni, di Curno: “Non credo che il rapporto sia cambiato in modo significativo: per me è sempre stato un punto di riferimento indispensabile all’interno dell’oratorio”.

Dentro prospettive che cambiano, quanto sono importanti, secondo gli adolescenti, i preti e gli educatori adulti dell’oratorio per la loro crescita? E che cosa pensano di imparare da loro?

Sara, 17 anni, di Presezzo, sottolinea il loro ruolo dentro il contesto dell’oratorio: “Credo siano molto importanti perché sono persone che hanno vissuto l’oratorio prima di noi e che hanno molta più esperienza da cui prendere spunto, hanno la risposta sempre pronta e sanno sempre trovare un modo per aiutarci a gestire qualsiasi situazione. In molti contesti in oratorio capita di non sapere da che parte girarsi e avere qualcuno di grande che ti aiuta è molto importante”.

Federico distingue fra laici e don: “Gli adulti in generale che frequentano l’oratorio non li ritengo fondamentali per la mia crescita, il don invece ha un ruolo differente, lo vedo più come un ‘fratello maggiore’: è una persona con cui puoi parlare apertamente e che può darti una mano quando hai bisogno”.

Per Ilaria, “interfacciarsi con persone adulte permette di avere sempre qualcosa da imparare: il don e i volontari adulti dell’oratorio insegnano solidarietà, impegno, costanza, altruismo, non solo nel rapporto tra di loro ma anche con i più piccoli”.

Agata li definisce “esempi di vita e di fede, con cui noi giovani e adolescenti abbiamo più occasione di entrare in contatto e che hanno il compito difficile, ma allo stesso tempo straordinario, di accompagnarci e guidarci lungo il nostro cammino con il loro operato. Da loro ho imparato veramente tanto: cosa vuol dire spendere del tempo per gli altri in modo gratuito, sapere accogliere l’altro e le sue fragilità (ma anche accettare me stessa nelle mie fragilità), non giudicare, sapere ascoltare, sapere che non si è soli e si può contare sull’aiuto degli altri, come si riesca a rimanere umili nonostante si sappiano e/o si sappiano fare tante cose, cosa vuol dire amare secondo lo stile del Vangelo”.

È così anche per Marta, secondo la quale “il don, gli animatori e gli adulti che incontro in oratorio sono figure fondamentali per la mia crescita, soprattutto perché io sono molto attiva in oratorio e ho incontrato molti adulti con cui parecchie volte mi sono scontrata ma stando sempre bene con loro. Credo che le persone che si incontrano in oratorio spesso sono molto più sincere degli amici che si hanno tra coetanei”.

Claudio si sbilancia, parlando di “responsabilità al 70% della propria crescita, come animatore e come persona. Ho imparato davvero tantissime cose da loro, come gestire le regole, come fare partecipare tutti, come far diventare un luogo una casa”.

Secondo Mariachiara, “sono numerosi gli insegnamenti che il don e gli adulti in oratorio forniscono a noi giovani. Potrei dividerli in quelli che riguardano il lato pratico e quelli sul piano emotivo: per il primo intendo l’organizzazione delle attività, la programmazione, la capacità di trovare alternative; per il secondo il modo in cui rapportarmi a bambini e ragazzi, per capire i loro bisogni e le loro esigenze, ma anche in generale il fidarmi degli altri, la capacità di stare con gli altri per creare rapporti costruttivi”.

Sebastiano ha in mente due sacerdoti in particolare, importanti per la propria crescita. “Lo sono stati per diversi motivi: il curato dell’oratorio e il prete della mia vicinia. In alcune occasioni perché mi hanno aiutato a capire di più di me, in altre occasioni mi hanno fatto scoprire che crescendo bisogna stare con gli altri. Ho imparato molto, al di là del discorso religioso, direi anche nelle ‘life skills’. 

Quanto conta la presenza del don in un’attività che viene proposta dall’oratorio?

Secondo Ilaria, “dipende dal contesto: se si tratta di una lezione di catechismo, avere il don presente è uno stimolo a stare più attenti e l’incontro risulta più coinvolgente. In una gita credo che la figura del don sia necessaria perché i bambini ascoltano poco quello che viene detto dagli animatori, mentre la figura del don mette soggezione”.

Si tratta di una figura importante, ma per il legame personale costruito, secondo Marcello: “Se il don viene alle attività lo ritengo un aspetto positivo dato che lo reputo una persona stretta per me”.

Non la pensa così invece Sara: “Per me non è troppo rilevante visto che in oratorio si è formato un gruppo molto unito di adolescenti e giovani e quindi la sua eventuale mancanza è colmata dal legame che c’è tra di noi”. 

Sulla stessa linea anche Claudio: “Non conta tanto, è più il fatto che sia l’oratorio a organizzare piuttosto della presenza del don a farmi decidere di andare o meno a una vacanza o una gita”.

Sebastiano, invece, ritiene che la presenza del don sia sinonimo di garanzia: “So che se organizza qualcosa il don, ci si può fidare. Si va sempre un po’ all’avventura, ma sono sicuro del risultato e so che passerò dei bei momenti. Anche se non c’è lui, il suo nome sulla lista degli organizzatori significa che sarà una cosa bella, divertente, organizzata bene e con un significato. Il suo zampino è come un marchio”.

Secondo Agata, la presenza del don ad una proposta cambia l’atmosfera stessa che si respira. “Sapere che ci sarà anche il don a un’attività proposta dall’oratorio non ha mai influito in modo molto significativo sulla mia decisione di partecipare o meno. Tuttavia penso che la sua presenza alle attività faccia la differenza e che si senta tanto. Quando c’è, si respira un’aria diversa, di inclusione, che fa sentire ognuno a casa. Ad esempio, durante alcune attività c’è chi ha la tendenza a dividersi in gruppetti più piccoli interagendo poco con gli altri, ma lui passa da ogni singolo gruppetto, ci parla, cerca di conoscere tutti e cerca sempre di evitare che qualcuno si isoli. L’obiettivo è formare un gruppo unito dove ognuno si senta accettato e secondo me questo influisce molto positivamente sulla riuscita dell’attività”.

Una questione chiave per capire quanto i preti siano figure di riferimento per gli adolescenti è rappresentata dalle occasioni di confronto personale nei momenti importanti. Capita di farlo?

Marta risponde con decisione in modo affermativo: “Mi è capitato di confrontarmi soprattutto con educatori e adulti su varie scelte della vita, come la scuola o fatti di amicizia: sono stati veramente persone utilissime, nel mio caso posso dire che in oratorio ho incontrato persone che ti capiscono più dei genitori e degli amici che ti circondano. Spesso soprattutto sono persone più sincere rispetto agli amici che si hanno fuori”. 

Marcello parla nello specifico del prete: “Lo faccio perché considero il don una persona intelligente che su certe questioni risulta molto più preparata rispetto ad altre figure adulte. Il buon rapporto permette una discussione libera e chiara che spesso aiuta a fare scelte più o meno difficili”.

È stato ed è così anche per Sebastiano: “Di fronte a situazioni in cui mi sento in difficoltà, se mi capita di trovare in giro il don o vederlo in chiesa, lo cerco per una chiacchierata, al di fuori della confessione. Mi è capitato spesso di confrontarmi prima di una scelta importante”.

È capitato diverse volte anche ad Agata: “In quanto studentessa iscritta al Conservatorio, mi sono confrontata diverse volte con il prete della mia parrocchia che ha compiuto i miei stessi studi musicali per capire, tra le varie opzioni che mi si presentavano, quale fosse quella giusta per me. Vivendo la musica non solo come qualcosa da studiare, ma anche e soprattutto come un’esigenza interiore e spirituale, era l’unica persona che potesse capire i miei dubbi sul compiere alcune scelte (alcuni dei miei professori non li avrebbero capiti in quanto sono più concentrati sul dare di fretta molti esami e finire prima). Un altro esempio è il mio futuro universitario, che va in parallelo a quello del Conservatorio, e il tentativo di conciliare fede e ragione (studierò fisica), oltre che le attività di studio e il servizio in oratorio, a cui non voglio rinunciare perché mi ha permesso non solo di dare, ma anche di ricevere molto”.

Ma non sempre è così. Sara, infatti, dice che “non ho una confidenza tale che mi permetta di essere a mio agio di fronte a qualsiasi situazione visto che il don del nostro paese è arrivato quando io ero già adolescente e non ho potuto legarmici così facilmente”.

A volte la figura di riferimento che si incontra in oratorio non è quella del don. Claudio racconta infatti che “con un prete ho avuto qualche discussione generale, ma non su scelte mie personali. Invece ho avuto diverse chiacchierate con seminaristi che mi hanno aiutato in alcune questioni che facevo un po’ fatica a gestire da solo”.