I preti agli ultimi posti tra le figure di riferimento per gli adolescenti. Parliamone.

Secondo la recente ricerca di Ipsos, sono agli ultimi posti tra le figure di riferimento per gli adolescenti. I preti negli oratori sono sempre meno, per via del calo delle vocazioni avvenuto ormai da anni, ma quelli che ci sono continuano a svolgere un ruolo importante, soprattutto per quei ragazzi per cui l’oratorio è un posto da frequentare e una casa da abitare

Don Matteo Cella, direttore dell’oratorio di Nembro (dopo aver ricoperto lo stesso incarico a Curno), prova a riflettere sulla questione, a partire dal cambiamento storico avvenuto negli ultimi anni. “Credo che nel corso del tempo, anche se non ho una storia abbastanza lunga per dirlo in prima persona, sia venuta meno l’idea del prete identificato come ruolo con un riconoscimento sociale forte e questo coinvolge sicuramente anche i ragazzi. Tutta la relazione con gli adolescenti si gioca in un rapporto personale e non tanto istituzionale: questo comporta che o ci si incontra e c’è un dialogo, una relazione vera, altrimenti il prete rimane fondamentalmente un estraneo alla vita degli adolescenti. In molti casi non sanno riconoscere chi è il prete del proprio paese se non hanno frequentato attività e iniziative: in oratorio questa cosa è più facile, ma tanti parroci rimangono assolutamente degli estranei per i ragazzi. L’opportunità di incontrare i ragazzi diventa fondamentale”.

Tutto, insomma, sta nell’incontro personale. “Gli adolescenti giocano molto la relazione: a volte in modo scontroso, altre in un clima di fiducia, dando credito alle cose che si fanno. Certamente più che un confronto o una guida spirituale, cercano delle opportunità per fare cose, per stare insieme, per partecipare a un’iniziativa e questo è bello perché c’è fiducia nelle cose che si propongono, ma è anche un limite perché forse non riusciamo a far fare un passaggio in più, un dialogo su un altro livello, più approfondito. Rimanere alla buccia è forse la questione più difficile da risolvere con gli adolescenti: osservano molto, sono molto attenti a quello che succede, a misurare la coerenza. Cercano anche persone di valore, con cui potersi confrontare e da poter mettere alla prova. Perché dei valori e dei messaggi diventino interiorità deve scattare la molla di una disponibilità più personale e più intima. Il don rimane sicuramente un esterno alla famiglia, è uno spazio di libertà per un adolescente che ha voglia di un confronto e di un dialogo, anche se i ragazzi sanno che il don ha un rapporto con i genitori e le famiglie. Mi sembra che lo avvertano comunque come una persona di cui ci si possa fidare e che possa raccogliere i loro pensieri e le loro domande con una certa dose di libertà”.

Ma con la consapevolezza di molti limiti. “Tutto quanto detto finora vale per i ragazzi con cui si condividono cammini ed esperienze come scuola, catechesi e CRE, ma ci sono tantissimi adolescenti che si intercettano solo marginalmente o non si incontrano affatto: quelli che non vivono l’oratorio, quelli che fuggono. Verso di loro rimangono tante domande aperte: come ci si pone, come ci si comporta? Sicuramente tutti gli adolescenti sono grandi osservatori, in qualche modo anche indirettamente un messaggio e una provocazione arriva anche a loro: come interagire con loro in maniera più significativa rimane una grande sfida”.

Sono pochi, secondo don Matteo, i momenti di confronto sulle scelte importanti. “A me è capitato raramente di dialogare con i ragazzi su questioni che li riguardassero davvero a fondo. Per esempio nella scelta della scuola o dell’Università, anche quelli più vicini cercano altre persone, non percepiscono il don come una figura rilevante”. 

Il tema della relazione personale come chiave di volta della questione è al centro anche della riflessione di don Davide Rota Conti, già direttore dell’oratorio di Clusone, attualmente direttore dell’oratorio di Cologno al Serio: “Credo che laddove si instauri una relazione buona di fiducia, una relazione significativa, ancora oggi il prete diventa un buon punto di riferimento. Abbiamo la fortuna della realtà degli oratori, che dobbiamo continuamente coltivare, perché sono le esperienze vissute insieme che creano la familiarità dentro cui un adolescente si può aprire e può confidarti e affidarti alcune parti della sua vita. L’accompagnamento per gli adolescenti non ha una forma strutturata come può essere per i giovani, è più una vicinanza di vita e una condivisione di ciò che avviene sul momento”.

Nulla, insomma, è scontato. “Sei tu adulto, prete, che devi creare le condizioni: un adolescente non ti cerca, se non per situazioni di emergenza. Perché ti cerchi con continuità sta a te creare le condizioni. Esperienze come i campi scuola, se non sono solo vacanza, creano proprio la familiarità dentro cui puoi accompagnare. Le tematiche sono le più diverse: negli ultimi anni vedo la richiesta di uno sguardo di fede alla realtà, anche nella fatica. A stretto giro tutti i temi vicini all’adolescenza: l’affettività e la sessualità, la modalità di essere amici, lo sguardo caritativo. Il confronto invece da cortile dell’oratorio la sera va su temi d’attualità come la ricchezza della Chiesa, il fine vita, il ddl Zan: spesso divengono grandi titoli su cui hanno bisogno di essere aiutati a capire la portata delle questioni in gioco”.

La posizione di un prete pone sia svantaggi sia vantaggi. “Gli ostacoli vengono dagli scandali economici e legati alla pedofilia vissuti dalla Chiesa, che hanno creato un muro di diffidenza: a noi il mostrare che si può essere una Chiesa sobria, povera e attenta alla dimensione relazionale. Il genitore viene visto come qualcuno da cui pian piano prendere le distanze: è normale in questa fase della vita. Il don può essere una sponda per la famiglia per aiutarla dentro alcuni snodi ma anche un buon appoggio per l’adolescente, che può trovare questo canale di fiducia. Occorre creare una relazione significativa, limpida, dentro cui possano essere se stessi senza sentirsi giudicati, dentro uno sguardo di fede. Penso anche al discernimento scolastico, universitario e del progetto di vita: sono temi su cui la società non aiuta. La presenza di preti giovani in mezzo ai giovani negli oratori è davvero preziosa in questo senso”.

Ha qualche anno di esperienza in più don Stefano Pellegrini, già curato a Ciserano e parroco a Costa Serina, ora parroco a Castione della Presolana ed impegnato tutt’ora a seguire direttamente la pastorale giovanile. “Vent’anni fa il prete era il prete di oratorio – inizia a raccontare ripercorrendo la propria esperienza -, sempre disponibile, facilmente raggiungibile: lo incrociavi nel bar dell’oratorio e a bordo campo. Oggi il prete è parroco ed è surclassato da ben altro, non è solo l’uomo dell’oratorio e dei ragazzi ma della comunità: questo crea necessariamente della distanza. Cambiano gli adolescenti ma cambiano anche i preti. Penso alla poca disponibilità di tanti preti ad impegnarsi nella pastorale giovanile: niente CRE, niente catechismo, niente adolescenti. Alcuni preti vogliono diventare uomini dei sacramenti, che è una bella cosa ma è troppo poco, significa essere un prete monco: il prete è chiamato ad andare”.

Anche i ragazzi nel frattempo hanno cambiato posizionamento. “Vent’anni fa capitava che i ragazzi venissero a raccontarmi i loro bisogni, le loro esigenze: addirittura è capitato che mi chiedessero per il test di gravidanza di intervenire con loro presso il farmacista. Oggi l’adolescente non ti cerca più per questo, non ti incontra, non ti parla: avverte il ruolo come distante. Aggiungiamo che in questi anni c’è stata anche la tempesta della pedofilia: tanti casi emersi dal passato recente e antico hanno creato una nomea non bella attorno alla figura del prete”.

Il sacerdote resta distinto dalle altre figure adulte. “Rispetto agli altri educatori il prete è avvertito come l’uomo del sacro e comunque quello tenuto ad una distinzione, ad un silenzio che gli altri non hanno, anche se non so fino a che punto si fidino. So che qualche anno fa gli adolescenti si confessavano di più ed erano forse più sinceri: ci sono temi che oggi non vengono più nemmeno sfiorati in confessione”.

Gli spazi di confronto sono mutati. “Oggi l’adolescente ha altri strumenti con cui interrogarsi: penso a tutti i social e alle domande che possono fare, senza nessuna mediazione né confronto, senza considerazione critica. Si accontentano di consumare le risposte. Il confronto, invece, è più impegnativo: richiede tempo, ascolto, messa in discussione: questa non la trovo, se non forse nella scuola”.