La libertà ci è sempre cara. Il pensiero “lento”, invece, sembra passato di moda

Se volessimo scomodare Benedetto Croce “La libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale”. Ci sembra questo il filo conduttore dei dibattiti che divampano come incendi nella seconda estate del tempo della pandemia, e bruciano con la stessa velocità e intensità delle foreste statunitensi ai tempi del riscaldamento globale. 

Che si parli di vaccini, di autodeterminazione del genere, di eutanasia, il filo conduttore è lo stesso. Prima di tutto vengono la decisione e il sentimento dell’individuo, la scelta del singolo, indipendentemente dalle ricadute sulla collettività. I temi in gioco sono grandi, toccano le sfere cruciali dell’esistenza: la nascita, la morte, l’amore, la famiglia. 

Libertà, una visione sbilanciata sulle singolarità

Al di là del merito di ognuno (che qui non possiamo esaurire) ci sembra interessante riflettere su ciò che il confronto in atto sottende, soprattutto nelle sue posizioni estreme. Un individualismo esasperato, una visione antropologica sbilanciata sulle singolarità, che dimentica volentieri la visione d’insieme. 

Ci è sembrato che la pandemia avesse portato un’inversione di tendenza, mostrando la forza dei legami di solidarietà, l’importanza delle relazioni sociali, dopo un intenso periodo di privazioni.
Forse non abbiamo creduto agli arcobaleni dei bambini che dicevano “andrà tutto bene”, ma le grandi opere del volontariato e i gesti di generosità ci avevano dato slancio e speranza.
La spinta generalizzata verso la frammentazione, invece, non solo non si è arrestata ma è diventata, se possibile, più potente, ed è straripata non appena qualcuno ha tolto il tappo, come una bibita gasata troppo scossa. 

Il confronto sui social network diventa “estremo”

Il luogo e la modalità con cui si esprimono gli slogan del momento e i giudizi più trancianti ci sembrano simbolici: prendono lo spazio e il tempo di un post sui social network – preferibilmente un tweet -, in cui le parole si concentrano e si estremizzano, senza lasciare, spesso, altro spazio se non quello dell’ideologia e della contrapposizione, con l’aggravante della mancanza di rispetto, di ascolto, di buon senso. 

I confini si dilatano e si ammorbidiscono, lo spazio privato diventa per estensione pubblico, si diffonde spontaneo e inconsapevole il consumo e l’abuso dello spazio e del tempo altrui. Sono tutti aspetti di cui è difficile accorgersi ed essere consapevoli, perché avvengono attraverso un “media” – i social – che tende a sparire sullo sfondo, offrendo un’apparenza di neutralità, che in realtà è solo un’illusione. 

Manca spazio per il pensiero. Ritroviamo la lentezza

In questa insolita danza nella materia fluida – una società in cui si vorrebbe la massima libertà intesa come possibilità di fare ciò che si vuole – la libertà ci è sempre cara, come nei versi del Purgatorio di Dante: “libertà va cercando, ch’è sì cara/ come sa chi per lei vita rifiuta“, ma c’è un grande assente: il senso di comunità, con i suoi derivati, in particolare la responsabilità e la ricerca del bene comune. Più di tutto, però, sembra che sia passato di moda il pensiero. Chissà che qualcuno non inventi anche un Green pass che certifichi il tempo trascorso leggendo o riflettendo, obbligatorio per chi vuole “postare”. L’estate potrebbe essere il momento giusto per ritrovare lentezza e profondità, e riscoprire il senso vero della “vacanza”.