Simone Biles e Naomi Osaka: forti eppure fragili, schiacciate dalle (troppe) aspettative

Le Olimpiadi di Tokyo sono iniziate da quattro giorni, ma si sono già intrise di storie sportive, ma soprattutto umane. E non sono storie belle, o meglio: sono storie dure, ma che servono. A tutti. Citiamo due nomi, uno strafamoso come quello di Simone Biles e uno meno noto ai più come quello di Naomi Osaka.

La prima, Simone Biles, è la ginnasta statunitense, 24 anni e già consegnata ai libri di storia come una delle ginnaste più forti di sempre. È arrivata alle Olimpiadi giapponesi per centrare lo storico record di ottenere 5 medaglie d’oro, ma fino ad ora sulla pedana non ci è praticamente mai salita e non ci salirà più in questi Giochi. La seconda è la tennista giapponese numero 2 al mondo, coetanea di Simone Biles, ultima tedofora alla cerimonia di inaugurazione e schiacciata al terzo turno da Markéta Vondroušová, numero 24 al mondo.

L’ansia da prestazione fa vittime eccellenti

Cosa hanno in comune le due atlete? Un fallimento precoce mentre erano attese al successo. Non solo. Le due atlete hanno sommessamente, ma con una sincerità disarmante, ammesso che il crollo è stato causato da un blackout mentale. Simone Biles ha addirittura detto di dover curare la propria salute prima che il risultato sportivo. Osaka ha detto che aveva troppa pressione e che ha fatto tutto “schifo” nella sua prestazione.

Due indizi fanno una quasi prova, per il terzo proverbiale inseriamo anche la nostra Benedetta Pilato, nuotatrice di anni 16, detentrice del record del mondo nei 50 Rana e squalificata nella gara olimpica dei 100 rana per un gesto tecnico scorretto, ma comunque protagonista di una prova negativa che non le avrebbe consentito di accedere al turno successivo. “Nei giorni scorsi avevo l’ansia… è stata una gara orribile”, ha detto a caldo aggiungendo qualche giorno dopo che dedicava questa prova “a tutti quelli che aspettavano il suo momento buio”.

Quando i social fanno la differenza: l’immagine è (diventa) tutto

Eccola lì, Benedetta Pilato che va dritta al punto. Premessa, prima di entrare nel merito della questione. L’ansia da prestazione anche nello sport esiste da quando esiste lo sport stesso. La depressione da sconfitta, idem. La pressione dei tifosi e dei media non proprio dalle origini, ma quasi. I casi sono tantissimi, da Marco Pantani a Gigi Buffon, da Michael Phelps a Ian Thorpe solo per citarne alcuni: campioni depressi che hanno mollato il palcoscenico o addirittura la vita.

Ma le storie di Biles, Osaka, Pilato e aggiungiamo ora anche dei tre calciatori uruguagi che nel giro di pochissimi mesi si sono tolti la vita per depressione hanno qualcosa di comune e diverso dai loro “predecessori”: i social.

Alt, non stiamo additando uno strumento fenomenale (ma abusato) come se ogni problema di questo mondo oggi dovesse finire in quella scatola. Stiamo citando i social come strumento diabolico di un modo di pensare del nuovo millennio che ha l’obiettivo di rendere il mondo perfetto, senza errori, fatto solo di vittorie e linearità.

Quella spasmodica ricerca della perfezione

Instagram, in particolare ha segnato la svolta a partire dall’idea per cui tutti dovessero sbarcare su ogni quadrato postato con un fisico perfetto. Dal fisico perfetto si è passati ad una perfezione nello stile di vita. Giochi a pallone? Devi fare sempre gol. Sei uno studente? Devi prendere sempre 10.

Sei un medico? Devi trovare la cura del cancro. Sempre e comunque vincenti. Sempre e comunque felici. Sempre e comunque autisti di un carro dove devono salire solo vincitori. La prova è che sui social, se ci fate caso, appaiono tutti sempre e solo felici, pieni di oggetti preziosi, attori di un film meraviglioso, protagonisti di scene memorabili, pezzi di una famiglia o di una compagnia di amici che non ha una piega.

E così, di riflesso, anche i campioni non riescono più a sopportare di perdere. Anzi: non riescono più a sopportare l’idea di partecipare che, per natura dello sport, significa esporsi al rischio di perdere.

Regole più attente sull’età degli atleti: 13 anni sono pochi

Da qui, ecco le Biles, le Osaka, le Pilato. Tacessero, per una volta, quei leoni da tastiera che infestano anche la vita di tutti i giorni rovinando vite alle persone, complicando la strada per uscire dalla pandemia, screditando imprenditori che invece muovono l’economia del nostro Paese e danno da lavorare a persone e famiglie.

E chi comanda nel mondo dello sport stabilisca delle regole un po’ più umane sulle età degli atleti. Come è possibile che nello skateboard femminile (all’esordio olimpico) abbiano trionfato due tredicenni, la giapponese Momiji Nishiya e la brasiliana Rayssa Leal? Quante pressioni avranno da qui a chissà quando? Quali stimoli potranno trovare con metalli pesantissimi al collo nel bel mezzo dell’adolescenza?

Pellegrini e Montano: come cadere e poi rialzarsi

E, dal canto loro, abbassassero un po’ di maschere anche i vip che – che lo si voglia o no – sono inevitabilmente dei “modelli” per molti giorni. Dicessero con più frequenza e spontaneità, ad esempio, quanto sia difficile essere un atleta vincente, un attore applaudito, un cantante ascoltato.

A fare da contraltare alle storie negative di cui sopra ci sono quelle esemplari di Federica Pellegrini e Aldo Montano che hanno preso parte a questi Giochi con un ruolo da protagonisti, nonostante l’età. La prima ha centrato la finale dei 200 metri Stile (7ª alla fine), il secondo ha vinto l’argento a squadre nella Sciabola.

Perché esemplari? Perché sono riusciti a reggere la pressione per vent’anni e sono pure caduti (la Fede nazionale uscì dall’acqua durante una gara per un attacco di panico nel periodo più buio della carriera) e poi rialzati. Essere atleti è difficile come lo è essere normali impiegati in questa vita, costa fatica, sacrifici, insicurezze, incertezze. Banale e scontato? Forse non più, purtroppo.

E la storia che il Covid ci avrebbe cambiato, ci avrebbe fatto capire l’essenza delle cose, ci avrebbe asciugato da tutte le sovrastrutture devastanti dell’uomo-robot è una falsità.

Il Covid ha solo alzato le pressioni, ha alzato comprensibilmente lo stress di ognuno di noi, ci ha messo a nudo con noi stessi, ci ha fatto entrare nel profondo della nostra anima, là dove nessuno può permettersi di bussare, figuriamoci di entrare o giudicare. Lasciamo che ognuno si prenda il proprio tempo e assisteremo a delle Olimpiadi anche migliori.

(La foto della ginnasta Simone BIles è tratta dal suo account Instagram)