Sinodo, sinodi o stile sinodale? Un cammino da compiere insieme, partendo dall’ascolto

Due momenti per un solo movimento. Potrebbe essere riassunto con questa formula il cammino di riforma ecclesiale dei prossimi tre anni. I due momenti sono il XVI Sinodo dei Vescovi di tutto il mondo – che si terrà a Roma nell’ottobre del 2023 e che avrà come tema di riflessione proprio la sinodalità – e il percorso della Chiesa Italiana, che ha deciso di vivere un “cammino sinodale”, i cui contenuti sono ancora in via di definizione. Il movimento che si vuole suscitare è, come suggerisce l’abbondanza dell’utilizzo della parola, quello di una Chiesa capace di assumere uno stile sempre più “sinodale”. Due prospettive distinte – una dei vescovi del mondo, l’altra della Chiesa italiana – ma con evidenti punti di contatto. 

Cosa è questa sinodalità di cui tanto si parla? Perché è diventata tanto importante? “Sun-odos” in greco vuol dire “strada insieme”: tecnicamente il “Sinodo” è quell’assemblea che serve per far camminare sinfonicamente la Chiesa.

Lo stile della sinodalità: condividere un pezzo di strada

Ma una strada si cammina, non è solo una seduta dove si può stare fermi a riflettere: da qui nasce l’idea che lo stile più proprio per vivere la sinodalità sia quello di un pezzo di strada condiviso, in cui mettersi in ascolto dei passi di fede e di vita di tutti, per capire come rendere più agile la “strada insieme” che ancora ci attende.

Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara e vicepresidente della CEI, scriveva in una sua riflessione del 2015 che la Chiesa è la chiamata a convenire e a camminare insieme: la Chiesa nasce cioè dall’Eucaristia domenicale, in cui si è invitati alla stessa mensa, e da qui si inaugura una comunione profonda che attraverso la sinodalità deve potersi mantenere e prolungare dentro una forma storica concreta.

La Chiesa comincia ogni volta il suo viaggio dall’Eucaristia, in cui è chiamata a imparare dallo stile umile e generoso di Gesù, e prosegue mediante la sinodalità, una forma di corresponsabilità e di scelta che coinvolge tutti i battezzati, dal papa in giù, in direzione di quel traguardo che è la crescita della comunione. Il sinodo dunque è la strada che parte dall’Eucaristia e cerca le direzioni possibili per arrivare alla comunione.

Prima fase: la dimensione diocesana del Sinodo

Per tenere vivo questo movimento si è pensato a due momenti in sinergia.

Il primo momento è il Sinodo dei Vescovi del mondo, che avrà però una forma particolare: l’Assemblea generale dei vescovi a Roma nell’ottobre del 2023 sarà infatti la fase conclusiva, la terza, di un cammino più lungo, che serve per mettere al centro la dimensione dell’ascolto di più realtà ed esperienze ecclesiali possibili.

L’inizio del XVI Sinodo dei vescovi infatti scocca il 9 e 10 ottobre di quest’anno. La prima fase avrà una dimensione diocesana, per mettersi in ascolto della vita delle parrocchie e delle Chiese locali: inizierà il 17 ottobre e durerà fino all’aprile 2022.

Tutti questi contributi – insieme a quelli provenienti da altre realtà teologiche, religiose e laicali – verranno raccolti per dare forma alla prima sintesi ragionata, chiamata Instrumentum Laboris.

L’instrumentum laboris: alla base l’ascolto del Popolo di Dio

Da questo testo si aprirà poi la seconda fase, dal settembre 2022 fino al marzo 2023: l’obiettivo “è di dialogare a livello continentale, realizzando un ulteriore atto di discernimento alla luce delle particolarità culturali specifiche di ogni continente” per dare forma all’Instrumentum Laboris definitivo, che finirà nelle mani dei vescovi per l’assemblea di ottobre.

Tale metodo prova a trasformare l’evento del Sinodo in un processo in cui parte fondamentale è riservata all’ascolto del vissuto del Popolo di Dio: per ragionare su cosa sia la sinodalità, la si vive.

Il secondo momento è il cammino sinodale pensato dalla CEI per la Chiesa Italiana: “i due percorsi sono armonizzabili” ha detto mons. Brambilla, “sarà il primo esempio di Chiesa universale e Chiesa nazionale che crescono insieme: più cresce l’una più cresce l’altra”.

L’idea è che sia questo stile a fare da bussola per la Chiesa della nostra penisola: “nei prossimi anni non avremo tanto degli Orientamenti pastorali come linee scritte, ma come un percorso comune della Chiesa italiana”, “in cui tutte le diverse anime del cattolicesimo italiano possano alimentarsi a vicenda, e reggersi a vicenda”.