Sinodo, un cantiere aperto: “Siamo testimoni credibili?” Associazioni e movimenti avviano la riflessione

Di fronte ad un Sinodo annunciato come ‘processo’ e non solo come ‘evento’, con il coinvolgimento dunque di tutto il popolo di Dio, anche i laici da tempo si sono mobilitati dentro un grande cantiere di riflessione. 

A Bergamo le associazioni della CDAL (Consulta Diocesana delle Aggregazioni Laicali), in particolare, si interrogano profondamente sul ruolo dei laici e di come essere veri e concreti testimoni di quella fede che il Papa chiede di mostrare, vivere, donare.

Sinodo, non “evento” ma “processo”

“Siamo tutti chiamati a lavorare per trovare un’idea chiara di come aiutare la Chiesa a cercare le parole giuste ed attuali per annunciare, testimoniare, vivere le ‘verità eterne’ – esordisce la presidente della consulta Serena Rondi -. Abbiamo iniziato a condividere questo cammino concretamente attraverso il percorso formativo sulla Fratelli Tutti, ma ora bisogna proseguire e concretizzare. Partendo da una radice comune, ogni associazione, attraverso i suoi carismi, riflette sul senso di ciò che facciamo come volontari, come lo facciamo e con chi. Siamo capaci di nuove sinergie che ci portino oltre i nostri steccati? Sappiamo agire per il bene comune? Siamo testimoni credibili? Possiamo migliorare, cambiare, portare cambiamenti significativi? Il desiderio di appartenere e vivere le proprie comunità, i propri territori stando attenti ai bisogni dei più fragili, non solo da un punto di vista materiale, ma soprattutto relazione ci fa crescere come uomini e donne, come persone di fede, come cittadini?

Obiettivo auspicabile sarà trovare un tema comune che ci porti ad avere un’unica voce da far sentire anche a livello civile e politico. Il nostro volontariato non si sottrae all’impegno sociale”.

Anche secondo Anacleto Grasselli, presidente di Azione Cattolica Bergamo, il sinodo può essere “un’occasione significativa” in questo momento storico. “Più volte ci è stata indicata la direzione di una Chiesa in uscita – spiega -. Credo che il Sinodo possa essere il modo concreto in cui tutti concorrono ad attuare questa conversione missionaria richiesta dal Papa a tutta la Chiesa e alla Chiesa italiana in particolare. Un Sinodo è esperienza di un cammino di tutta la Chiesa che è fatto di ascolto, riflessione e scelte da prendere”.

Occorre sempre di più essere “buoni cristiani” nel mondo

“Mi aspetto – continua il presidente di Ac – che ci sia questo ascolto di tutti. A partire dallo Spirito che soffia attraverso la Parola nel mondo in cui viviamo. Siamo stati abituati a essere buoni cristiani in chiesa e buoni laici nella vita. Occorre sempre più essere buoni cristiani nel mondo testimoniando la nostra fede nel Risorto e buoni laici nella Chiesa portando la vita nell’esperienza ecclesiale.

L’occasione significativa in questo momento in cui siamo stato tutti toccati dalla pandemia è quella di  passare dall’Io di una fede vissuta a livello individuale, al noi di una fede incarnata in scelte personali, comunitarie e condivise, nel confronto con tutti”.

“Abbiamo scoperto – osserva Anacleto – che siamo tutti collegati e interconnessi, il virus ce l’ha mostrato in modo chiaro: abbiamo bisogno di riscoprire queste interconnessioni, cosa ci lega gli uni agli altri, in una progettualità e crescita più umana, forse oggi più che mai, credenti e  non credenti, in ascolto davvero dello Spirito, che a volte è imprevedibile! Come lo è stata questa pandemia”.

Il movimento dal basso è “un metodo che si fa contenuto”

Quanto ai temi da affrontare, Grasselli ritiene fondamentale il movimento dal basso, “un metodo che si fa contenuto”. “La sinodalità – osserva – oggi è una parola molto usata e forse pure abusata nel linguaggio ecclesiale. Va però intesa bene: rischiamo di parlare di un evento e non di un processo. 

Un processo che è prima di tutto ascolto dello Spirito! È iniziato con il Convegno di Firenze (2015) e che si è poi un po’ interrotto; un cammino di attenzione al laicato per un superamento di un clericalismo che è molto presente, nel mondo e nella Chiesa forse a partire proprio dai laici.  

Il laicato ha in sé nel Battesimo una forza e una dimensione che dobbiamo ancora scoprire: siamo come laici non “preti mancati” o “surrogati”  ma proprio per la Grazia ricevuta nel Battesimo, proprio perché conformati a Cristo, “esperti di umanità” e come tali introdotti a pieno nella vita che diventa vita spirituale quando si confronta in un cammino comunitario e in  una esperienza di vita cristiana fraterna. 

Un’esperienza di fraternità tra laici e pastori

Papa Francesco nel discorso prima citato lo ha detto chiaramente :”Possa contribuire a far maturare la consapevolezza che, nella Chiesa, la voce dei laici non dev’essere ascoltata “per concessione”, no. A volte la voce dei preti, o dei vescovi, dev’essere ascoltata, e in alcuni momenti “per concessione”; sempre dev’essere “per diritto”. Ma anche quella dei laici “per diritto”, non “per concessione”. Ambedue. Dev’essere ascoltata per convinzione, per diritto, perché tutto il popolo di Dio è “infallibile in credendo”. 

L’esperienza di Azione Cattolica che cerchiamo di attuare nella nostra diocesi e nelle nostre parrocchie vuole essere proprio un’ esperienza di fraternità tra laici e pastori. Non a caso i sacerdoti sono chiamati Assistenti, per cercare di superare quella frattura che viviamo tra la vita quotidiana e la vita cristiana, tra laici e ministri ordinati: non c’è separazione! Dio parla nella nostra vita, nelle sue fratture e nelle sue gioie, nelle sue difficoltà e nella sua interezza. Questo ci fa riscoprire che la comunità cristiana non è per se stessa ma è per il mondo: uscire significa allargare il pensiero, gli orizzonti, pensare e credere insieme”. 

Alcune questioni in particolare si presentano sulla soglia del sinodo con particolare urgenza. “occorre in primo luogo sentirsi tutti inclusi in questo cammino di popolo. Occorre maggiore ascolto della Parola e dialogo con la vita: come laici siamo ancora poco avvezzi a prendere in mano insieme la Bibbia e confrontare la nostra vita. 

Sinodo, nessuno deve sentirsi escluso dal cammino

Insieme: è una parola che dobbiamo riscoprire. Ne ha bisogno tutta la società, non solo la Chiesa. 

Nessuno deve sentirsi escluso in questo cammino, anche chi pensa di essere lontano da una esperienza di fede: la costruzione di un nuovo umanesimo, non può passare se non valorizzando le dimensioni umane presenti già nella parola di Dio.

Come nessuno deve pensare di sentirsi solo: abbiamo ancora bisogno di crescere in fraternità. Dovremmo spingerci “oltre un mondo di soci”. Andare oltre le piccole certezze costruite in famiglia, nella parrocchia, nel gruppo, nell’Associazione, per confrontarci su un “bene comune” a tutti.

Sentirci fratelli non è automatico, occorrono esperienze che ci permettano di andare oltre il nostro io, individuale e sociale. Solo mettendo insieme le forze potremo cercare di offrire ad ogni uomo esperienze significative di vita cristiana. Non bastano le esperienze religiose che tranquillizzano le nostre coscienze inquiete. 

Imparare a condividere le responsabilità

Anche  a fronte dell’invecchiamento della nostra società e delle nostre comunità cristiane c’è da affrontare anche la questione della grande fatica della Chiesa a sintonizzarsi con il linguaggio delle nuove generazioni, dei giovani, che sono i nostri figli,  ma anche delle giovani famiglie. Ascoltare la loro vita, i loro reali desideri, la bellezza di vita buona  presente in essi che fa scoprire l’incontro con il Risorto e crea comunità. 

Una comunità in cui si impari a condividere realmente  le responsabilità, in una reale sinodalità nel piccolo, capendo come rivitalizzare strumenti a volte trascurati come i “luoghi di corresponsabilità”. La storia associativa chiama questi luoghi Consigli, assemblee, gruppi, equipe, come pure quelle che in diocesi sono le fraternità,  le CET: luoghi in cui insieme si possa decidere la strada da prendere perché da credenti  sia formato in noi Cristo”.

Ha grandi attese anche Carmine Russo, responsabile del settore adulti di Azione Cattolica: “Quando si parla di sinodo la mente ti porta subito a pensare che forse c’è bisogno di ripensare il modo di stare nel mondo da cristiani. Generalmente si viene da un periodo complicato che ha messo a dura prova le nostre certezze. Si sente il bisogno di ritrovare la via per guardare al futuro con più fiducia e speranza. Il sinodo è un cantiere aperto dove l’architetto è (o dovrebbe essere) lo Spirito Santo. A noi cristiani è chiesto di metterci in ascolto e quindi di provare a concretizzare ciò che Esso suscita. Spesso, però, manca il coraggio di procedere e ci si limita a piccoli interventi di manutenzione senza “ristrutturare”… A volte è sufficiente, ma credo che oggi non basti”.

Un’occasione per ascoltare e dialogare sulla fede

“Papa Francesco – continua Carmine Russo – ha sentito il bisogno di coinvolgere tutti, partendo dal basso. È una grande occasione, soprattutto per noi laici, di provare a fare sintesi tra vissuto e cammino di fede. Le due dimensioni si possono riavvicinare fino a diventare uno il riflesso dell’altro.

Gesù partiva sempre dalla vita delle persone per portarle poi all’incontro con l’amore incondizionato del Padre.

C’è bisogno di ascolto: il Sinodo in fondo è mettersi in ascolto, fare spazio, per comprendere i bisogni, i desideri dei fratelli. Un aiuto per evitare, per esempio, di fare proposte che non rispondono alle reali domande della gente. Spesso ci ritroviamo come Chiesa a fare proposte alle quali poi partecipa poca gente e ci chiediamo il perché! Mi aspetto dal Sinodo questo coraggio che spesso è mancato!”.

Alcuni valori da mettere al centro saranno ineludibili. “Riconoscere il valore della laicità: in forza del battesimo ogni cristiano è chiamato ad essere la dove vive discepolo-missionario (evitare la clericalizzazione dei laici).

Riconoscere il valore della sinodalità: da questa situazione critica se ne esce solo insieme

Che idea di futuro coltivare? Facciamo fatica in questo momento ad immaginare il futuro, ma è assolutamente indispensabile recuperare questa prospettiva”.

Riscoprire la bellezza della proposta cristiana

Con alcune urgenze da affrontare come sfide. “In una società “liquida”, dove tutto scorre velocemente e repentinamente, penso sia necessario fissare alcune radici. Servono alcuni valori fondamentali sui quali porre le basi per la ristrutturazione e che siano condivisi da un’ampia base. Ci vorrebbe lo stile che ha caratterizzato ad esempio i padri costituenti:

“Cosa è l’uomo? Per Dio, per la ragione, per la scienza….”

“Possiamo convergere su alcuni diritti fondamentali che sono inalienabili per tutti?”

Partire da lì per creare una base comune riconosciuta dalla gran parte della gente.

Da queste radici poi si possono iniziare ad affrontare tutte le varie tematiche che caratterizzano la vita e le relazioni umane. È importante mettere in evidenza la bellezza della proposta cristiana, che sempre e in ogni tempo è capace di rispondere alle esigenze più profonde dell’uomo”.

È impegnata sul tema anche la Conferenza San Vincenzo, come spiega la presidente Serena Rondi: “Storicamente attenta agli ultimi, in questo anno e mezzo di pandemia l’associazione ha posto il suo focus sulle famiglie fragili, appesantite dalla situazione economica in regressione, e agli anziani, che tanto hanno sofferto l’isolamento e la solitudine. 

In prima linea per incontrare le persone al di là degli steccati

Stimolati dalla Fratelli Tutti, che chiede di avere il coraggio di lavorare insieme per il bene comune, di non operare per se stessi e per la sussistenza dell’associazione, ma per l’altro, che è fuori dai nostri steccati, dal nostro piccolo terreno comodo e chiuso, avendo come comune orizzonte l’amicizia sociale e la testimonianza concreta della fede, ci stiamo muovendo sui territori secondo due linee complementari.

La prima è la cura dei volontari, che tanto hanno dato e sanno dare in termini di vicinanza, testimonianza, prossimità, amicizia, ascolto. La seconda è la co-programmazione con le realtà del territorio che, come noi, si occupano dei più fragili: le Parrocchie, gli Enti pubblici, altre associazioni, Caritas.

La convinzione oggi è che da soli non si fa molto. La collaborazione aiuta a non chiudersi su se stessi e, anche se richiede molto impegno, da frutti virtuosi, crea cultura della cura della fragilità come responsabilità comune, non fa sentire soli i volontari o le famiglie aiutate. 

L’impegno va nella direzione di portare al centro la persona, non il suo bisogno. Questo per recuperare dignità e riconoscere che l’altro può essere portatore di capacità e competenze. 

È un periodo di grande discernimento e di possibili cambiamenti, di riscoperta del senso profondo dei nostri valori e di nuove possibilità. Anche se facciamo ancora oggi i conti con la paura, la diffidenza, l’incertezza. Siamo portatori di speranza, speriamo anche di saggezza”.