I cristiani di oggi devono “giocare in attacco” con uno stile di vita riconoscibile

Per la Chiesa che guarda l’orizzonte dopo la pandemia può essere importante ripartire da un lavoro di formazione, revisione e approfondimento che inizi dalle fondamenta, dall’identità del cristiano. Riproponiamo due interviste pubblicate il 5 dicembre 2020 su L’Eco di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta sulla Chiesa avviata in preparazione al pellegrinaggio pastorale del vescovo monsignor Francesco Beschi.

I cristiani di oggi devono “giocare in attacco”, testimoniando il Vangelo “con uno stile di vita riconoscibile”, che trasmette molto più delle parole, come spiega Andrea Monda, direttore de “L’Osservatore Romano”, scrittore e saggista.

  • Quali sono a suo parere le caratteristiche che identificano meglio i cristiani di oggi?

«Ogni rinnovamento della testimonianza della fede è in realtà un ritorno all’essenza del cristianesimo, a Cristo e al suo Vangelo. Viviamo tempi nuovi, ci sono stati cambiamenti rapidi negli ultimi decenni e se pensiamo anche solo al Concilio Vaticano II, 50 anni fa, ci sembra di trovarci in un’altra epoca. La sfida più importante che i cristiani di oggi devono affrontare è di trovare modi nuovi per offrire una testimonianza, e per vincerla è necessario, come diceva Benedetto XVI, un processo di purificazione della fede, “asciugandola” da tutto ciò che è superfluo per tornare all’essenziale. A dare il buon esempio in questo è Papa Francesco: nelle sue azioni si legge il Vangelo puro e semplice e le sue parole sono le parole di Cristo. Mi piace molto il suo stile concreto. Il cristiano di oggi è dunque una persona raggiunta da una “Buona notizia” e che ha dentro di sé una gioia che trabocca e lo porta a comunicarla. Vive in un mondo che riconosce come opera di un Dio creatore e padre misericordioso, che ha vissuto l’esperienza umana fino in fondo riscattandola nel suo momento più buio, la morte, con la resurrezione».

  • Quale equilibrio si può trovare oggi tra la fedeltà al Vangelo e la società e cultura contemporanea?

«La fedeltà al Vangelo consiste proprio nel recuperare la gioia che porta ad annunciare, evitando di scivolare in una logica apocalittica che porta a sentirsi accerchiati e assediati. I cristiani dovrebbero promuovere invece, in positivo, uno stile di vita riconoscibile, giocando in attacco, e non difendersi restando arroccati su alcune posizioni. È importante avere un approccio aderente alla realtà. La societas cristiana, per molti secoli presente in Occidente, non rappresenta più la situazione attuale, nel frattempo la fede cattolica è arrivata fino ai confini della terra e sarebbe sbagliato identificarla oggi soltanto con una parte di essa. I cristiani devono continuare ad essere lievito e sale del mondo intero. Le sfide che la società contemporanea ci propone sono forti, siamo immersi in una massa di informazioni in cui è facile smarrire parametri e punti di riferimento. È diventato più difficile stabilire cosa sia la verità, ci troviamo in un mare agitato da molte tempeste. In questo contesto il cristiano ha come obbligo inscritto nella fede di misurarsi con la concretezza, così come ha fatto il Signore incarnandosi. Non possiamo astrarci dal mondo e vivere in un’illusione, dobbiamo sporcarci mani e piedi con la polvere della storia».

  • In che modo?

«Pensiamo alla politica, al modo in cui si sono frantumate le appartenenze, le ideologie e le grandi narrazioni: il cristiano deve continuare a guardare con occhi acuti, intelligenti la realtà. Imparare a cogliere i nessi profondi e ad amare comunque questo mondo, perché se ne ha paura e lo sfugge, condannandolo senza conoscerlo, non potrà mai essere un testimone credibile. I cristiani devono vivere la propria esperienza di uomini immersi nel mondo. Che siano padri o madri di famiglia, politici, calciatori, devono svolgere il proprio ruolo mettendo a frutto i propri talenti. Dio dice all’uomo di vivere fino in fondo la propria umanità»

  • Quali sono le carte più importanti che i cristiani possono giocare in un mondo che spesso si presenta come “scristianizzato”?

«Innanzitutto quella di essere uomini liberi, che non hanno nulla da difendere, devono solo essere coraggiosi. Questa è l’immagine che ho di Papa Francesco, che osa predicare il Vangelo anche quando è scorretto e scomodo e sollecita l’uomo a non lasciarsi possedere da alcun padrone. Il rischio che ciascuno corre è sempre quello di crearsi degli idoli ed essere asservito ad essi: il potere, il piacere, il possesso. Ci sono spesso degli equivoci sul tema dell’identità. Nella prima lettera di Giovanni c’è un passaggio che dice che noi siamo già figli di Dio ma quello che saremo non è rivelato. La nostra identità va cercata quindi nel futuro. Il nostro compimento è solo in Dio, perciò non abbiamo nulla da perdere, non dobbiamo sforzarci di mantenere delle posizioni. Come dice Benedetto XVI “la vita dei cristiani incomincia con una risposta a una chiamata”, che poi dura per tutta la vita. Possiamo essere gelatai o primi ministri, comunque c’è nel nostro destino questa chiamata a partecipare della vita di Dio, e per farlo dobbiamo essere pronti a lasciare tutto, anche le nostre rendite di posizione. Non credo quindi che sia utile fare prediche, essere didascalici o didattici ma vivere animati dalla storia in modo che la gente guardando un cristiano si ponga una domanda: ma lui questa gioia, questa energia da dove le tira fuori? San Francesco diceva che è importante predicare il Vangelo in tutto il mondo anche con le parole, che però sono l’ultima cosa: prima, per essere convincenti, bisogna viverlo, incarnarlo».