L’identità del cristiano oggi. Intervista a monsignor Pasquale Pezzoli

Per la Chiesa che guarda l’orizzonte dopo la pandemia può essere importante ripartire da un lavoro di formazione, revisione e approfondimento che inizi dalle fondamenta, dall’identità del cristiano. Riproponiamo due interviste pubblicate il 5 dicembre 2020 su L’Eco di Bergamo nell’ambito dell’inchiesta sulla Chiesa avviata in preparazione al pellegrinaggio pastorale del vescovo monsignor Francesco Beschi.

Quali elementi definiscono l’identità del cristiano di oggi? Non solo l’osservanza di una serie di dogmi, spiega monsignor Pasquale Pezzoli, parroco di Santa Caterina, in città, ma la disposizione ad essere nel senso più pieno “discepoli di Gesù”, lasciando che i suoi insegnamenti diano davvero “forma alla vita”. 

  • Quali sono i tratti che definiscono l’identità del cristiano oggi?

“A partire dal Vangelo, mi viene in mente la figura del discepolo: è la definizione più originaria e insieme la più  vicina alla sensibilità del nostro tempo. Usarla oggi per parlare dell’identità del cristiano vuol dire mettere in primo piano l’importanza di camminare seguendo i passi di Gesù, o come dice San Paolo, prenderne la forma, perché sia il riferimento per la vita.

Come emerge spesso, per esempio, nell’attività del Gruppo Samuele, nato nella nostra diocesi per i giovani in ricerca di fede o desiderosi di approfondirla, cristiano è colui che trova in Gesù il compagno di viaggio per realizzare al meglio la sua umanità, anche con modalità imprevedibili.

È un impegno – non facile – a lavorare su se stessi e nella comunità seguendo la Parola. In questa chiave il Vangelo non è solo un libro, ma l’elemento necessario per un incontro vero e personale con il Signore. Resta essenziale la liturgia.

Facciamo nostri i gesti di Gesù attraverso i sacramenti e in particolare l’eucaristia, che contiene un importante riferimento alla comunità: non si può vivere la fede da soli, una grande tentazione di oggi”, o senza la carità.

  • C’è chi prende parte alla Messa e poi prega da solo, e c’è chi si impegna nella comunità. 

“Entrambe queste “figure” sono importanti. La persona che si nutre dell’eucaristia può vivere poi secondo il Vangelo ovunque desideri, a patto che la partecipazione alla Messa orienti davvero le sue scelte. D’altra parte in una comunità sono fondamentali le persone che si impegnano in attività e gruppi, contribuendo a darle un volto di luogo di comunione, dove ci si ritrova e si vive”. 

  • Anche a Bergamo il contesto rispetto anche solo a trent’anni fa è mutato sotto il profilo della fede e della pratica religiosa. Come confrontarsi con questi cambiamenti?

“Il riferimento alla fede non è più spontaneo, al credente è richiesta più consapevolezza, quindi come dice il cardinale Martini, il richiamo alla Parola non è un esercizio intellettuale ma “una luce che guida ogni giornata”. Accanto ad essa ci sono insegnamenti autorevoli della Chiesa che aiutano a tradurla nel presente. Hanno una parte importante anche le attività ordinarie: il consiglio pastorale parrocchiale, per esempio, può diventare luogo di comunione dove approfondire problemi e idee. Senza dimenticare di mantenere lo sguardo aperto su ciò che accade “fuori”, nel mondo”. 

  • Quali sono gli aspetti più critici della cultura e della società contemporanea “scristianizzata”, quelli dei quali anche i cristiani faticano ad avere consapevolezza?

Sia i giovani sia gli adulti tendono a misurare il bene a partire dalla propria soggettività. Le inchieste più recenti come quella del sociologo Franco Garelli, nel libro “Gente di poca fede” mettono in evidenza il calo dei fedeli, ma anche l’alta percentuale di chi si dice credente e considera la famiglia importante. La Chiesa, però viene considerata un’istituzione che non c’entra con questa loro ricerca di fede o col desiderio di famiglia.

Nella concretezza degli incontri quotidiani, comunque, si può giocare un’altra partita, perché nella vita reale si può trovare il terreno per sperimentare in concreto che Gesù è il “mio” Salvatore, a partire da momenti cruciali come la preparazione al matrimonio, una malattia, un lutto, la necessità di guarire ferite o di ricevere perdono.

In un mondo in cui tutto è transitorio, comunque, è diventato più difficile pensare anche alla fede come a una scelta davvero decisiva e definitiva. Anche per questo è importante definire il cristiano “discepolo”, in cammino. 

  • Quali sono le sfide più importanti per il futuro delle comunità cristiane? 

Le sfide sono molte. La comunità cristiana restano una presenza significativa anche se non rappresentano più una larga maggioranza. Martini paragonava i diversi livelli di appartenenza alla Chiesa alle parti una pianta: si può essere linfa, tronco, corteccia, muschio, ma c’è sempre una relazione che viene in qualche modo vissuta.

È fondamentale fare in modo che chi partecipa alla messa possa considerarla davvero nutrimento per la vita. Se ci sono meno persone impegnate nell’edificazione della comunità, questo sollecita a riscoprire la capacità di chiamare e coinvolgere.

Anche la spinta all’individualismo è un elemento su cui riflettere, e alla base c’è una sfida più generale sulla necessità di costruire relazioni. Molti continuano a chiedere battesimo, funerale, matrimonio, e attraverso questi incontri passa anche la costruzione della comunità.

Si accendono molte luci nelle relazioni tra le persone, non sempre è facile legarle con un filo che le unisca e le mantenga accese, ma ne vale sempre la pena. 

  • La pandemia ci sta aiutando a riscoprire il valore della comunità?

Nella prima fase la comunità è stata presente soprattutto con la dimensione della carità. Con la seconda ondata la possibilità di ritrovarsi per la Messa, secondo le regole ha assunto un significato più forte, più concreto: ci ha aiutato a non sentirci soli.

  1. Guardo il mio scaffale di piccola biblioteca e vedo che i libri del Card. Martini sono molti! ogni tanto ne riprendo in mano uno e rileggo, ma mi accorgo che alcuni aspetti non mi sono passati in profondità. Così siamo tutti quando pensiamo che per essere cristiani, basta assistere alla Messa, ma una volta usciti dalla porta, non cambiamo di una virgola, il nostro comportamento soprattutto nei confronti del “prossimo”. Trovo essenziale che si possano avere dei “percorsi” che possano “incuriosire” a rileggere il nostro “cammino”, ritenendo ciò che Papa Francesco ha detto, cioè, che il “Vangelo” è sempre “nuovo” e ad ogni momento della nostra vita deve essere riletto per poter applicare su noi stessi ciò che fu fatto e ripetuto da Gesù Cristo, imitando le Sue gesta, che una volta interiorizzate, non si dimenticano più!

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