“La traversata” di Francesco D’Adamo. Un’avventura per aprire lo sguardo sul mondo

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Non sappiamo molto, in fondo, delle navi dei migranti che attraversano il Mediterraneo: ne conosciamo le traiettorie, i drammi, i naufragi, solo attraverso la televisione.

La storia narrata da Francesco D’Adamo ne “La traversata” (Il Castoro) parte da un oggetto smarrito durante un salvataggio: lo zainetto di un bambino.

Pieno di quaderni, pensieri, speranze, con una foto e una dedica della sua mamma, rimasta a casa da sola ad aspettare.

La barca si infrange a pochi metri dalla riva, Ezechiele, un vecchio pescatore la vede e lancia l’allarme suonando una campana, nel pieno della notte. Così gli uomini del piccolo villaggio sulla costa improvvisano una catena umana per soccorrere i migranti inzuppati d’acqua, sul punto di soccombere alle onde. Li riportano sulla spiaggia e loro scappano, impauriti.

Lo zainetto di un bambino: la traccia di un nuovo viaggio

Nelle mani di Ezechiele rimane solo quello zainetto, che per lui diventa un segno e una sfida. Vuole sapere tutto di quel bambino: scopre che si chiama Omar, viveva al di là del mare, è arrivato in Italia in cerca di un futuro migliore, la mamma gli ha raccomandato di studiare, di essere sempre bravo com’era a casa.

Ezechiele pensa a quella mamma lontana, alla canzone che cantava a suo figlio per accompagnarlo nel sonno quando era piccolo, e che ora ripete ogni sera guardando il cielo e dedicandola sempre a lui, così lontano. Il vecchio pescatore decide quindi di intraprendere un viaggio, per incontrare quella madre e rassicurarla, e restituirle il quaderno e lo zaino di Omar.

Attraversare il mare per creare legami e riparare ferite

Ci sembra una follia, questo viaggio. L’autore gioca sull’intreccio tra reale e immaginario, mescolando elementi fantastici con quelli concreti.

Ci mostra Ezechiele sulla sua vecchia barca da pescatore con il nipote e il suo cane Spaghetti, come se fossero davvero impegnati insieme in questa avventura impossibile di raggiungere l’Africa, per cercare la mamma di Omar, creare legami, riparare ferite.

È un modo per condurre i lettori a capire meglio com’è difficile cambiare Paese, trovarsi in un mondo con regole, tradizioni, una lingua diversa. Un mattone per costruire una strada diversa, più ampia e solida, fatta di relazioni, di conoscenza reciproca, che porti all’incontro tra diverse culture. Da molto tempo D’Adamo si impegna in questa direzione, narrando storie che hanno una ricaduta sociale: famosa quella (vera) di Iqbal, ucciso a tredici anni dalla mafia dei tappeti che sfrutta il lavoro minorile in Pakistan.