“Io però proprio non capisco”. Quanto è difficile spiegare ai bimbi ciò che accade

“Io però proprio non capisco. Alcuni uomini armati entrano in un palazzo e dicono che adesso sono loro i capi. Tutti hanno tanta paura e scappano, si lanciano sugli aerei, cercando di fuggire. Poi quegli uomini coi fucili per festeggiare vanno al lunapark sugli autoscontri. Cioè, mamma, com’è possibile?!”.

Spiegare a un bambino di sette anni e a una bambina di sei cosa stia accadendo in Afghanistan è impresa di non poco conto, considerando che io stessa fatico a comprenderne dinamiche e dettagli. Mi limito a raccontare con parole semplici quel poco che so, mi limito ad ascoltare i miei figli, mi limito a sfogliare il giornale mentre loro mi osservano incuriositi in cerca di risposte.

“Davvero le donne adesso non potranno più vivere come prima? Ma perché devono vestirsi così? E perché devono nascondersi? Hanno fatto qualcosa di male? Sono cattive? Gli uomini non vogliono vederle? Perché gli uomini comandano? E perché non facciamo nulla per aiutarle?”.

Le domande di Alice e Tommaso sono tanto semplici quanto profonde, difficili e sentite. Io di risposte soddisfacenti non so darne.

“Ma i bambini cosa fanno? Vivranno bene o male? Possiamo ospitarne alcuni da noi, no?!”. Tra una perplessità e l’altra, tra un mio silenzio e una mia rassicurazione, ascoltarli mi fa sperare, mi fa credere che saranno capaci di guardare il mondo con occhi attenti, aperti, critici.

Sono bimbi fortunati, che possono provare a immaginare quel che vivono altri bambini in Paesi nemmeno poi così lontani, ma che altrettanto velocemente possono tornare alla loro realtà fatta di giochi e leggerezza. Ci tengo, a che ne siano sempre ben consapevoli.

“Andiamo a guardare le stelle, stasera, in montagna e al buio. Mi porto il mio libro con tutte le costellazioni, bisogna osservare quella di Perseo, io sono bravissimo a trovarla. Se vedo una stella cadente ora so che desiderio esprimerò. Ma non posso dirtelo mamma, altrimenti non si avvera”.