La Chiesa ai tempi della pandemia: “Più evidente la centralità della Messa”

Roma, 1 novembre 2020. Chiesa Santa Francesca Romana La Santa Messa con il distanziamento e i protocolli di sicurezza durante la pandemia Covid 19 Corona Virus ( Coronavirus ).

In occasione della Settimana liturgica nazionale riproponiamo come spunto di approfondimento un’intervista a don Alessandro Beghini, pubblicata il 13 dicembre 2020 su L’Eco di Bergamo nell’ambito di un’inchiesta sulla Chiesa locale: con la pandemia più evidente la centralità della Messa

“La pandemia ha contribuito a rendere più evidente la centralità della Messa” come sottolinea don Alessandro Beghini, parroco dell’unità pastorale di Villongo, facendola percepire di nuovo, secondo i dettami del Concilio Vaticano Secondo, come “fonte e culmine della vita cristiana”. Allo stesso tempo, però, ha innescato riflessioni e consapevolezze, proiettando le comunità verso nuovi orizzonti.

Quali comportamenti ha messo in moto la pandemia nelle comunità parrocchiali?

Fin dall’inizio sia tra i fedeli sia tra i preti circolavano opinioni diverse: c’era chi pensava che fosse meglio fermare tutto e aspettare che il ciclone passasse per ricominciare poi come prima e chi invece era dell’idea di andare avanti con gli strumenti a disposizione. Molti hanno scoperto di essere ancora impreparati all’uso intenso delle nuove tecnologie. I preti giovani degli oratori riescono meglio a tenere vivi i contatti con gli adolescenti, gli adulti sono meno abituati. Le persone fra i trenta e i cinquant’anni, che usano le piattaforme digitali anche per lavoro, sono un po’ assenti nella chiesa, dove i volontari in media hanno un’età più avanzata. Senza ricorrere a strumenti digitali, però, in questo momento c’è un forte rischio di perdere i contatti. 

Quali cambiamenti si sono avviati?

Questa seconda ondata in particolare ha contribuito a rendere più evidente la centralità della Messa. Non è vietato l’uso della chiesa anche per momenti di preghiera o per l’adorazione, ma nell’unità pastorale di Villongo abbiamo preferito concentrarci sulla liturgia eucaristica quotidiana e in particolare su quella festiva. Così la Messa è tornata ad essere il momento più importante, fonte e culmine – come dice il Concilio – del cammino di fede. Il limite numerico delle presenze lo rende un po’ più faticoso, qualcuno resta sempre escluso. Per il Natale ci stiamo confrontando sul da farsi anche nella fraternità presbiterale, con gli altri preti della Cet (Comunità ecclesiale territoriale) e stiamo valutando di aggiungere celebrazioni in più. Ci sono poi aspetti che sono diventati più complessi, come la carità e la vicinanza ai malati. Non è così immediato trovare soluzioni alternative alla vicinanza fisica per portare conforto e assistenza spirituale. 

Come ha reagito la comunità?

Abbiamo deciso di usare questo tempo propizio per riesaminare tutta l’attività pastorale che stavamo svolgendo. Abbiamo provato a interrogarci e promuovere momenti di formazione per capire se al di là della pandemia fosse un bene ricominciare tutto come prima oppure se fosse più opportuno cogliere l’occasione per una verifica e formazione. Abbiamo scoperto di avere alcune zavorre che ci vengono dal passato ma in realtà non rappresentano più linguaggi e modalità adatte per portare il Vangelo all’uomo di oggi e rispondere alle sue domande. Abbiamo scelto di fare una pausa – fuori dall’abituale frenesia – per comprendere meglio come indirizzare energie e risorse, per acquistare maggiore consapevolezza di ciò che siamo in grado di fare. È un processo delicato che non si può esaurire in poco tempo, ma può offrire spunti interessanti. Stiamo provando a ridefinire anche il senso della catechesi: dopo un attento lavoro di revisione può darsi che faremo le stesse cose ma in modo diverso, accettando di uscire dagli schemi e dai binari della tradizione.

Quale metodo state usando per questo lavoro?

Stiamo seguendo un percorso di rilettura e di impostazione con la guida di don Giuliano Zanchi, a partire dal suo saggio “Rimessi in viaggio, immagini da una Chiesa che verrà”. Da maggio abbiamo avviato anche una serie di incontri quindicinali con i catechisti cercando di tradurre le riflessioni emerse in questo particolare ambito; abbiamo attinto anche a un corso di Enzo Biemmi. Ora siamo arrivati al momento di immaginare proposte diverse, e questo tempo ce lo consente, perché non siamo pressati dalle scadenze. Poi forse non partiremo subito, ci sarà un coinvolgimento preliminare del consiglio pastorale, dei genitori, dell’intera comunità. È una bella occasione e ci proponiamo anche la sfida di condividerla al di fuori della nostra unità pastorale. Più il tempo passa, infatti, più appare chiaro che è importante inserirsi nella dimensione di una fraternità di parrocchie che agiscono insieme.

Quali impressioni e reazioni avete raccolto finora?

Non è facile ripensare il proprio modo di essere Chiesa e tutto ciò che fino a ieri ha rappresentato la nostra formazione religiosa. Ci sono momenti di crisi, anche se utili, belli e sani. Il consiglio pastorale ha accolto le proposte con interesse e viva partecipazione. C’è un terreno fertile e una parte della comunità stava aspettando da tempo quest’occasione per rileggere, ripensare, rimotivare la propria azione quotidiana nella Chiesa. Questo è un periodo che si può definire “della dissolvenza” come scrive don Giuliano Zanchi: sono presenti insieme nello stesso tempo le immagini della comunità del passato e quella del futuro e sono tutte e due sfuocate. È un momento in cui possono coesistere, ci vogliono pazienza e tenerezza per mantenere entrambi i passi.