Don Alessandro Dordi a trent’anni dal martirio. “Il missionario è un servitore e un amico”

Era il 25 agosto 1991 quando Don Alessandro Dordi morì vittima di un attentato portato a termine da alcuni militanti appartenenti a Sendero Luminoso, un movimento armato maoista attivo in Perù. Una vicenda la sua onorata con la beatificazione, promulgata il 5 dicembre 2015 a Chimbote, sempre in Perù. Ma cosa ci faceva Don Alessandro Dordi in Perù? Il sacerdote, originario di Gandellino (Bg), operava come missionario nel paese andino da oltre 10 anni poiché apparteneva alla Comunità Missionaria del Paradiso. Una vita spesa in missione che proprio in questi giorni viene celebrata nella sua terra natale, a Gandellino e Gromo San Marino. 

Il trentennale del martirio. Una vita spesa in missione

Una ricorrenza annuale che la gente della sua terra non manca di onorare e che quest’anno assume ulteriore significato dal momento che ricorre il trentennale dal suo martirio. Dopo l’appuntamento che si è svolto nella serata di lunedì 23 agosto dal titolo “Emigranti” condotto da don Marco Perrucchini, martedì 24 agosto don Massimo Rizzi – direttore del Centro Missionario Diocesano – ha condotto l’incontro “Pellegrini missionari” che prevedeva una fiaccolata alle 21, partita dalla casa natale di don Alessandro, a Gandellino e si è svolta in tre tappe utili per tre diverse riflessioni sul suo operato.

L’ultimo appuntamento si è svolto in occasione dell’anniversario della sua morte: mercoledì 25 agosto nella chiesa parrocchiale di Gromo San Marino, con l’intervento di Mons. Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi per ricordare la figura di don Alessandro Dordi.

Emigrato, vicino alla gente, prete operaio

«Con questi incontri – ha spiegato don Massimi Rizzi – vogliamo approfondire tre diversi aspetti della vita di don Alessandro Dordi. Da una parte la sua vita da emigrato, dall’altra il suo impegno sociale tra la gente come missionario. E infine il suo ruolo di prete-operaio. Sì, perché durante il suo mandato in Svizzera lavora in una fabbrica di orologi a Le Locle».

Un aspetto sicuramente curioso e qualificante che aggiunge un tassello in più ad una vita fatta davvero di missione. Don Alessandro Dordi nasce il 23 gennaio 1931 e subito dopo l’ordinazione, nel 1954 viene inviato nel Polesine. Una zona che allora stava faticosamente riemergendo dall’alluvione del 1951 e per questo ha bisogno di riscatto e speranza.

Qui resta fino al 1965, parte per lavorare tra gli emigrati italiani in Svizzera restandovi fino al 1979. Dopo un anno, sceglie di andare ancora più lontano: ascolta ma non asseconda le sirene provenienti dal Burundi e nel 1980 approda in Perù, praticamente in un viaggio di sola andata.

In Perù per annunciare il Vangelo fra gli ultimi

In Perù viene assegnato alla parrocchia del Señor Crucificado a Santa, diocesi di Chimbote: un territorio vasto e naturalmente poverissimo, sottosviluppato, in cui lui don Dordi è chiamato a portare il Vangelo per aiutare quella gente. Il suo impegno prioritario durante gli anni peruviani è rivolto alla pastorale familiare e alla preparazione ai sacramenti. 

Crea un Centro per la promozione della donna e anche un’associazione per le madri, fornendo loro gli strumenti per piccoli lavori di taglio e cucito, organizzando anche corsi di pronto soccorso, igiene e salute.

Fa costruire cappelline e case parrocchiali in tutta la valle del fiume Santa con la volontà di far sentire Dio vicino alla gente.

“Il missionario non è un conquistatore, ma un servitore e un amico”

Da sempre sostiene che “il missionario non è un conquistatore, ma un servitore ed un amico”, si sforza in tutti i modi di non “presentarsi con una stupida superiorità che impedisce di mettersi accanto agli altri come uguale e come servitore”. 

L’empatia con il popolo è cruciale, a cominciare dal fatto che indossava le abarcas o ojotas, sandali fatti con i copertoni delle macchine e cinghie di gomma perché voleva usare le stesse calzature della gente comune.

Rinuncia a tutto per comprendere al meglio la condizione di quel popolo e per trasmettere il suo messaggio in tutta la sua integrità: non volle comprare la pompa per l’acqua rinunciò ad avere in casa doccia e acqua corrente.

Un’azione pastorale incentrata sulla famiglia e sul ruolo della donna


La sua pastorale incentrata sulla famiglia e sul ruolo della donna è, secondo lui, il miglior antidoto contro le intemperanze di movimenti guerriglieri come Sendero Luminoso, che accusano i missionari stranieri di essere servi dell’imperialismo perché distribuiscono gli aiuti ricevuti dalla Caritas e perché proclamano la giustizia e la verità del Vangelo. 

Ma è proprio la sua missione a dare fastidio con i militanti che iniziano a minacciarlo: o te ne vai o ti ammazziamo.

Ma don Alessandro non arretra di un metro e non smette di giudicare con severità gli abusi e i loschi affari dei guerriglieri, che gestiscono traffici di prostituzione e giri di droga, tanto che quando in città compare la scritta “straniero, il Perù sarà la tua tomba”, capisce subito che è indirizzata a lui. 

“Se li abbandono anch’io, non hanno più nessuno”

“Adesso torno laggiù e mi uccideranno”, dice ai suoi, salutandoli dopo un breve periodo di vacanza in Italia. “La prossima volta non sbaglieremo mira”, gli fanno sapere nei primi mesi del 1991, quando per miracolo sfugge ad un attentato, mentre la macchina su cui viaggia insieme al vescovo viene ridotta ad un colabrodo. 

Nonostante gli incentivi a rientrare in Italia per far passare la burrasca, Dordi rimane soprattutto pensando ai suoi parrocchiani: “Se li abbandono anch’io, non hanno proprio più nessuno”. Il 9 agosto 1991 i guerriglieri uccidono due frati polacchi a Pariacoto, accusati di “ingannare il popolo con le bibbie e i rosari”.

Scrive: “La situazione del Perù è angosciosa. Ogni giorno ci chiediamo: a chi toccherà oggi?». La risposta purtroppo arriva pochi giorni dopo. È il 25 agosto quando i guerriglieri gli tendono un’imboscata mentre ritorna da una celebrazione in un villaggio e si sta dirigendo verso un altro per l’ultima messa della giornata.

Risparmiano i due catechisti, mentre a lui sparano alla testa e al cuore.
“È un martire della fede”, ha sentenziato la Chiesa, dopo un’accurata indagine, il 3 febbraio 2015. Don Alessandro (per tutti Sandro) Dordi è stato beatificato a Chimbote il 5 dicembre seguente. È il primo sacerdote diocesano “fidei donum” (cioè “prestato” ad un’altra diocesi) ad essere beato.