Memoria di Gino Strada. Un combattente e un partigiano di umanità

Fiumi di parole sono stati spesi per commentare la nascita del nuovo Emirato Islamico dell’Afghanistan e la simultanea umiliazione occidentale. Cancellata in fretta una guerra durata vent’anni che ha portato con se migliaia di morti, uomini, donne, vecchi e bambini (28.886, secondo i dati Onu, il numero di bambini morti o feriti solo nell’ultimo decennio), più di cinque milioni di sfollati tra interni e richiedenti asilo. Un esito tragico che – lo ricordo molto bene – vent’anni fa le disprezzate “anime belle” del pacifismo italiano evocavano come possibile. 

Nei giorni scorsi sono stati diversi coloro che hanno fatto notare come la morte del fondatore di Emergency, Gino Strada, sia coincisa con l’abbandono dell’Afghanistan da parte delle forze occidentali. Il suo ultimo articolo, apparso su La Stampa, è un testamento politico che andrebbe letto e riletto. Dove vengono dette, ancora una volta, in modo inequivocabile e incontestabile, parole insopportabili per i realisti della politica. Un realismo che, alla luce di quanto è avvenuto, ha il retrogusto amaro del cinismo.

Intorno all’Afghanistan mancano conoscenze e memoria

Provo a riassumerle. Attorno all’Afghanistan e alle sue vicende mancano conoscenza e buona memoria. La guerra del 2001 è stata, né più né meno, una guerra di aggressione – avviata nella totale illegalità internazionale – iniziata all’indomani dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi Occidentali.

Il 7 novembre 2001 il 92% dei parlamentari italiani approvò una Risoluzione a favore della guerra. Chi allora si opponeva veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell’Occidente, un amico dei terroristi, un’ “anima bella” nel migliore dei casi.

Per finanziare tutto questo, gli Stati Uniti hanno speso complessivamente oltre duemila miliardi di dollari, l’Italia 8,5 miliardi di euro.

Le grandi industrie di armi ringraziano: alla fine sono solo loro a trarre un bilancio positivo da questa guerra. Se quel fiume di denaro fosse andato all’Afghanistan adesso il Paese sarebbe una grande Svizzera. E peraltro, alla fine, forse gli Occidentali sarebbero riusciti ad averne un qualche controllo, mentre ora sono costretti a fuggire con la coda tra le gambe.

“Non sono pacifista, sono contro la guerra”

“Non sono pacifista, sono contro la guerra”. Quante volte ho sentito Gino ripetere queste parole. Ora Gino non c’è più. Ci mancherà il suo urticante sguardo sulle vicende del mondo.

Mai neutrale, sempre schierato. La sua passione e la sua cura per le vittime innocenti  delle guerre, l’osservatorio privilegiato da dove leggeva la storia. La sua rabbia e la sua indignazione verso il cinismo dei realisti.

Verso coloro che non fanno una piega nell’aumentare le spese militari, nel privatizzare la sanità, nel giustificare l’ingiustificabile. 

Come tutti, Gino ha fatto i conti con le sue contraddizioni e i suoi limiti. Eppure mi è difficile non essere d’accordo con Luigino Bruni quando scrive “Se per grazia dovessi andare in Paradiso e non ci trovassi Gino, con i suoi fratelli e sorelle di ideali, chiederei immediatamente di andar via, perché sarebbe un luogo che non mi interesserebbe “. Grazie Gino!