La scuola, presidio contro gli abusi. La storia di un ragazzo coraggioso

La notizia è dei giorni scorsi, quando a Roma, i carabinieri della caserma di San Basilio si sono trovati davanti un bambino rom di undici anni, che si è rivolto loro denunciando la madre e i suoi fratelli che lo massacravano di botte.

I militari lo hanno accolto, ascoltato in audizione protetta – come è previsto per i minori – e dopo aver accertato i fatti hanno arrestato la donna, una 36enne, che hanno portato in carcere.

“Mia madre non mi manda più a scuola, vuole che lavori tutto il giorno. E se mi fermo per riposare mi riempie di botte”: così avrebbe denunciato il ragazzino ai carabinieri, i quali hanno poi riscontrato tutta una serie di lividi – recenti e meno recenti – sul corpo del bambino, che vive nel campo di Colli Aniene, alla periferia Est della Capitale.

Le indagini sono ancora in corso, anche per comprendere meglio il contesto in cui il ragazzino avrebbe subito violenze ed abusi.

Ragazzi di periferia che non vanno a scuola

Al di là del caso romano, non è difficile immaginare come esistano non poche situazioni drammatiche che coinvolgono i più piccoli. Li incontriamo nelle città, e non solo nelle periferie, magari domandandoci, talvolta, proprio come mai non siano a scuola.

Ecco, la scuola. Di fronte a fatti come quello emerso nella Capitale, appare come l’istituzione scolastica sia anche un deterrente importantissimo nei confronti degli abusi sui minori.

La privazione della scuola, l’evasione dell’obbligo scolastico, come in tanti casi i fenomeni di dispersione ben conosciuti e documentati dalle statistiche scolastiche, nascondono spesso situazioni difficili se non drammatiche.

Un presidio essenziale per la tutela dei più piccoli


La scuola resta un presidio fondamentale per l’inclusione e la tutela dei più piccoli. È una delle sue finalità. Si tratta di un luogo dove – oltre alle tematiche educative e culturali, che pure ne costituiscono la sostanza – i più deboli possono trovare ascolto, incontrare adulti significativi, capaci di cogliere le situazioni di disagio e nello stesso tempo attivare la comunità perché queste stesse situazioni possano essere affrontate.

Non sempre questo avviene. Tante volte, inoltre, gli allarmi che vengono dalle aule scolastiche si perdono in mille meandri e finiscono nel niente.

Magari anche il ragazzino di Roma è sfilato via da maglie troppo larghe di una rete di sostegni che non è stata in grado di tenerlo in sicurezza.

Creare una rete tra le agenzie educative

È così tante volte e basta pensare a mille situazioni degradate che pure esistono nel nostro Paese.
Tuttavia il gesto coraggioso di un ragazzino Rom è in grado di rilanciare l’attenzione a questo aspetto del mondo scolastico e alla necessità sempre più impellente – in particolare per quanto riguarda le fasce di età più piccole – di fare rete tra le agenzie educative della società intera. Senza illudersi troppo.

A volte si parla di alleanza scuola-famiglie – sacrosanta – ma si dimentica che spesso la famiglia non c’è o addirittura è un posto con poca luce. Associazioni, Chiesa, servizi sociali… questi sono alcuni degli attori in campo. La scuola ha la possibilità e le competenze per fare spesso da capofila. Aiutiamola, con le risorse adeguate e con la considerazione sociale che merita.