“Il chiosco”: una fiaba sul coraggio di guardare il mondo da un’altra prospettiva

Un particolare della copertina de "Il chiosco" di Anete Melece

Olga, la protagonista de “Il chiosco”, albo illustrato di Anete Melece (Jaca Book) gestisce un chiosco che vende giornali.

Accoglie ogni cliente con un sorriso, ascolta, conforta. Non appena si trova da sola, però, sfoglia riviste di viaggio sognando mondi lontani: questo chiosco, che contiene a stento le sue forme generose, le sta stretto.

Sembra impossibile uscirne e cambiare vita, eppure Olga, alla fine, ce la farà. Un albo poetico, vincitore nel 2020 del Premio Orbil, in cui Anete racconta un po’ della sua vita.

La storia, pur essendo stata scritta anni fa, rispecchia il senso di costrizione e di soffocamento che abbiamo sperimentato durante la pandemia, e ne offre, inaspettatamente, una lettura originale, mostrando quanta bellezza si nasconda nelle piccole cose.

Il libro delle nuvole e il libro del tempo

Dopo questo albo poetico e intenso, presto Jaca Book pubblicherà altre due opere di Anete Melece, “Il libro delle nuvole” e “Il libro del tempo”, in cui l’autrice dà forma e colore ad alcune poesie di Juris Kronbergs, poeta di origine lettone ma nato e cresciuto in Svezia e morto l’anno scorso: “I suoi versi – sorride Anete – mi piacciono molto perché riflettono in modo filosofico sul mondo e lasciano molto spazio all’immaginazione di un’illustratrice come me”. L’abbiamo incontrata al Festivaletteratura di Mantova e ci ha raccontato la sua storia.

Il chiosco racconta la storia molto curiosa di una donna che è chiusa nel suo chiosco come una tartaruga nel suo guscio. Come le è venuta in mente?

Nel 2013 ho scritto il soggetto per un corto animato per la mia tesi all’Accademia d’arte e la storia che raccontavo era proprio questa che ho poi tradotto in un albo illustrato. Mi riguarda da vicino perché racconta un po’ di me. Fino al 2010 ho lavorato in un’azienda di design, ma ho capito che quel tipo di attività di mi stava stretto, era come se mi tenesse prigioniera, senza lasciarmi possibilità di un’autentica espressione creativa. Tutti i giorni la stessa routine, non posso dire che mi trovassi male, ma sentivo che ero sempre nella mia comfort zone e questo non mi dava la possibilità di crescere. Facevo sempre le stesse cose, creavo delle confezioni per gli oggetti, era un lavoro apparentemente creativo, ma era difficile che venissero accolte nuove idee, che i miei superiori accettassero di sperimentare. Mi sentivo molto stanca e un po’ demoralizzata e proprio in quel momento mi è venuto in mente il personaggio di Olga, la protagonista del mio libro, che è “inscatolata” nel suo chiosco. Ho capito che in fondo questa era una storia che parlava di me, e continuava ad accompagnarmi.

A quel punto che cosa è successo?

Sentivo che la mia vita doveva cambiare, perciò ho lasciato il lavoro, mi sono iscritta a un master all’università di Scienze e arti applicate a Lucerna, con l’intento di approfondire le tecniche di animazione. Ho iniziato a lavorare alla storia e il personaggio di Olga è cresciuto e ha acquistato spessore lungo la strada.

The Kiosk from Anete Melece on Vimeo.

Che cosa rappresenta il chiosco?

Il chiosco può rappresentare molte cose, qualcosa di costrittivo, che ci fa sentire prigionieri, ma alla fine cambia aspetto, diventa uno spazio dove si sta bene e può anche lasciarci liberi. Può essere anche qualcosa di cui sentiamo di avere responsabilità, o comunque una parte di noi. Mi piace l’idea che ogni lettore possa dargli un significato diverso, non esiste l’interpretazione diversa.

È molto attuale al tempo della pandemia, in fondo dice che anche restando chiusi in un piccolo spazio l’immaginazione può trovare strade per aiutarci a stare bene e a esprimere qualcosa di bello. Che ne pensa?

È proprio così, è un invito a guardare il mondo e la vita da una prospettiva diversa. Il libro in realtà è uscito poco prima dell’inizio della pandemia ma in questo lungo periodo si è arricchito di un significato che all’inizio non avrei potuto prevedere, aiutando i lettori a scoprire – in un momento difficile – quanta bellezza può esserci nelle piccole cose di ogni giorno, e come noi abbiamo il potere di trasformarle cambiando il nostro modo di guardarle.

Come ha trascorso i periodi di lockdown?

All’inizio, come tutti, sono rimasta chiusa in casa con mio marito e mia figlia, che è ancora molto piccola, ha appena compiuto tre anni. Ero felice di stare con loro, e che ogni giorno potevamo almeno uscire per fare due passi. Era primavera, osservavamo la natura fiorire, gli alberi, i fiori, notando dettagli che a volte nella fretta di ogni giorno ci erano sfuggiti. Ho lavorato più lentamente proprio perché mia figlia mi impegnava molto.

Si è mai pentita di aver cambiato lavoro?

Sono molto felice di aver avuto il coraggio di cambiare, questa scelta mi ha dato nuovo slancio. Avevo bisogno di essere libera, sono diventata una freelance. Dopo il progetto per il master ho portato il corto a diversi festival ed è stata una bellissima esperienza, poi ho iniziato a lavorare a nuovi albi illustrati. Ora sto lavorando allo storyboard per un nuovo film animato, un progetto che è rimasto in sospeso per un anno. È un indagine sui tanti modi in cui vediamo e interpretiamo il mondo. Parla di una donna che perde un occhio, in un mondo in cui tutte le parti del corpo possono essere sostituite acquistandole in appositi negozi. Ne compra un altro ma si accorge che ogni occhio offre una visione diversa della realtà.