Papa Francesco: “Il valore di una persona non dipende dal ruolo o dai soldi in banca”

Per la strada, lungo la via; parole che ricorrono spesso nella narrazione di Marco. Immagine reale come la strada che conduce a Gerusalemme e che Gesù percorre con i suoi discepoli.

Questa domenica l’evangelista racconta che Gesù e i dodici stanno attraversando la Galilea per fermarsi a Cafarnao.

Immagine simbolica dell’itinerario che ogni singolo deve compiere per essere definito un discepolo del Signore.

È lungo la via che il discepolo impara a camminare sulle tracce del Cristo, ne conosce il volto, il segreto del suo cammino, la meta cui tende tutta la sua vita. È lungo la via che il discepolo scopre anche la sua debolezza, la sua fragilità, e capisce che il Signore sempre cammina avanti.

Anche in questa pagina del Vangelo si affaccia la debolezza umana. Gesù, scrive Marco, aveva raccontato ai suoi discepoli, per la seconda volta, cosa accadrà al figlio dell’uomo: “viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà”.

Parole oscure per quanti lo seguivano. Consegnare, uccidere, risorgere: è in questi tre verbi che si riassume la vicenda pasquale di Gesù, e che nella Bibbia troviamo nelle storie dei profeti, inviati da Dio per comunicare la sua parola agli uomini.

Avvenimenti incomprensibili per i discepoli, che, infatti, discutono, “per la strada”, non di quanto hanno ascoltato dal maestro, ma di chi tra loro è il primo, il più importante. Così una volta giunti nella casa a Cafarnao, per la vergogna lasciano senza risposta la domanda di Gesù: “di cosa stavate discutendo per la strada?”.

Ancora una volta il Signore stravolge la logica umana e dice loro: essere più grande non vuol dire prevalere sull’altro. “Il valore di una persona – ricorda papa Francesco all’Angelus – non dipende più dal ruolo che ricopre, dal successo che ha, dal lavoro che svolge, dai soldi in banca”. Ciò che conta è essere segno concreto per il prossimo, perché “la grandezza e la riuscita, agli occhi di Dio, hanno un metro diverso: si misurano sul servizio.

Non su quello che si ha, ma su quello che si dà. Vuoi primeggiare? Servi. Questa è la strada”. La parola servizio, oggi “un po’ sbiadita, logorata dall’uso”, ha un significato “preciso e concreto”, e non è una “espressione di cortesia”.

Servire è camminare lungo la strada segnata da Gesù: “la nostra fedeltà al Signore dipende dalla nostra disponibilità a servire”. E questo costa, dice il Papa, “sa di croce”, ma crescendo la “cura e la disponibilità verso gli altri” si diventa più liberi.

“Più serviamo, più avvertiamo la presenza di Dio. Soprattutto quando serviamo chi non ha da restituirci, i poveri, abbracciandone le difficoltà e i bisogni con la tenera compassione: e lì scopriamo di essere a nostra volta amati e abbracciati da Dio”.

Marco, nel Vangelo, ci offre una immagine che più di tante parole ci fa capire come il Signore legge il potere: l’immagine di un bambino, piccolo, probabilmente povero; uno scarto potremmo dire con il linguaggio di Francesco. Quel bambino è innalzato come risposta alla discussione “per la strada” degli apostoli. Nel Vangelo, “il bambino non simboleggia tanto l’innocenza, quanto la piccolezza. Perché i piccoli, come i bambini, dipendono dagli altri, dai grandi, hanno bisogno di ricevere. Gesù abbraccia quel bambino e dice che chi accoglie un piccolo, un bambino, accoglie lui”.

Si deve servire, evidenzia Francesco, soprattutto “coloro che hanno bisogno di ricevere e non hanno da restituire. Accogliendo chi è ai margini, trascurato, accogliamo Gesù. E in un piccolo, in un povero che serviamo riceviamo anche noi l’abbraccio tenero di Dio”.

È la chiesa del grembiule cara a don Tonino Bello. Essere il più grande, per Gesù, non è porsi sopra gli altri, sgomitare, ma essere ai piedi dell’altro. Servire significa essere liberi dalla tentazione del potere. Così Francesco pone domande – “che noi possiamo farci” – ai fedeli: “seguo Gesù, mi interesso a chi è più trascurato? Oppure, come i discepoli quel giorno, vado in cerca di gratificazioni personali?”.

Ancora: “intendo la vita come una competizione per farmi spazio a discapito degli altri […] dedico tempo a qualche ‘piccolo’, a una persona che non ha i mezzi per contraccambiare? Mi occupo di qualcuno che non può restituirmi o solo dei miei parenti e amici?”.