Gazzaniga, giovani catechisti in prima linea: “Ho imparato a prendermi cura degli altri”

Sin dalle origini del Cristianesimo, la fede si trasmette come un testimone che passa di generazione in generazione. Un messaggio che vive nella misura in cui si propaga. Tra le esperienze più interessanti e degne di attenzione dei percorsi catechistici proposti dalle parrocchie c’è l’impegno di adolescenti e giovani nella cura dei bambini. Relazioni tra ragazzi che hanno pochi anni di differenza. Dietro c’è la scelta di un impegno che porta ad intrecciare virtuosamente il proprio cammino di crescita con quello di qualcuno che ti viene affidato. Storie che risplendono come perle dentro le storie degli oratori.

Come quelle di Ester, Marco e Simone, classe 2005, tutti e tre impegnati per la catechesi nella parrocchia di Gazzaniga. Ciascuno di loro affianca un catechista più grande.

Un’esperienza per molti tratti controcorrente per un adolescente. Ma è un’opportunità di fronte a cui loro hanno deciso di starci e impegnarsi.

“All’inizio ero un po’ titubante – inizia a raccontare Ester – non sapevo cosa avrei dovuto fare e come mi saprei dovuta comportare, né quale classe avrei preso, poi però ho deciso di accettare perché ritenevo e ritengo tutt’ora che questa occasione mi possa insegnare molto e aiutare nel mio percorso di fede”.

“Ho pensato che fosse una bella esperienza insegnare qualcosa ai bambini e che dovessi provare a farla – esordisce invece Marco -. Ho accettato perché volevo fare qualcosa di concreto per la comunità e questa era una buona occasione”.

“La prima volta che il don mi ha proposto di fare il catechista non ero dell’idea, perché giocando a calcio le domeniche mattina avevo la partita e quindi non sarei riuscito – spiega Simone -. Ho poi scoperto che riuscivo una volta sì e una no, così ho accettato, sia perché sarebbe stata una nuova esperienza, sia perché la parrocchia aveva bisogno di una mano vista la scarsità di persone disponibili”.

E dentro questa esperienza si creano subito legami forti con i ragazzi che hanno pochi anni in meno.

Lo testimonia Ester: “La classe che ho preso era di quarta elementare e il numero dei ragazzi non era molto grande, il che è stato molto utile per me per riuscire a relazionarmi meglio con loro, per sapere come prenderli e coinvolgerli. Anche se non ho passato tantissimo tempo mi ci sono affezionata, mi vedo come la sorella maggiore con i suoi fratellini, il che mi sembra ancora strano”.

Le fa eco anche Marco: “Con i ragazzi penso di aver instaurato un rapporto di fiducia e credo di vederli come dei miei coetanei. Penso che loro mi vedano come un amico”.

Parla di un bel rapporto anche Simone: “Era la prima volta che ero io dalla parte del catechista. Ho cercato di rendermi il più possibile simpatico e penso di esserci riuscito rendendo gli incontri un po’ più divertenti. Mi ritrovavo molto nei ragazzi perché l’anno prima ero come loro, c’era chi si distraeva facilmente e chi rimaneva più attento però in un modo o nell’altro riuscivo ad attirare l’attenzione”.

Qualche fatica nel ricoprire il nuovo ruolo all’inizio è inevitabile. I tre adolescenti non lo negano. “Ho riscontrato alcune difficoltà all’inizio, nei primi incontri, non sapevo cosa dire e cosa fare – confessa Ester -. È stato anche un po’ difficile tenere tranquilli alcuni bambini, ma, dopo averli conosciuti meglio, la situazione è migliorata molto”. 

Così anche per Marco: “Le difficoltà maggiori che ho incontrato sono state nella spiegazione di concetti in maniera semplice e nel trovare esempi concreti e pertinenti la materia che si stava trattando. Non è stato facile neanche tenerli tranquilli in certi momenti”.

 “Non sono riuscito ad esserci sempre al catechismo e in chiesa i ragazzi non sempre stavano zitti – racconta Simone -, quindi dovevo farli stare in silenzio e non era sempre una cosa gradevole visto che li sgridavi, e a volte non la prendevano bene. Anche io alla loro età non ero un santo e anche io in chiesa parlavo e venivo richiamato e non era tanto bello, però tutto sommato alla fine riuscivo nel mio intento”.

Ma le soddisfazioni che reca l’esperienza sembrano di più. “Mi ha fatto piacere la curiosità che i ragazzi mostravano nelle cose che facevamo e l’entusiasmo che mettevano – sorride Ester -. Mi ha fatto molto piacere il legame che si è formato tra di noi”. 

Marco ricorda con piacere “gli scherzi con i ragazzi, anche durante gli incontri”; Simone dice: “Mi ha fatto piacere essere riuscito a dare una mano al don e al catechista che aiutavo. A volte spiegavo io e i ragazzi stavano sempre attenti, e questa era una bella soddisfazione”.

Insomma, un’esperienza che insegna molto, innanzitutto agli adolescenti. E dimostra che nel prodigio della crescita la cura è un’esperienza fatta di reciprocità. 

Marco racconta di aver imparato “a dialogare e prendermi cura degli altri”. Simone ha scoperto che “anche essere dall’altro lato richiede molti sacrifici e molto impegno: nel preparare le lezioni, nell’aiutare le persone e nel cercare di non essere noioso di fronte ai ragazzi durante il catechismo”.