Suor Patrizia e il “club del judo” in Zambia per le vittime di abusi

Alle volte la missione passa per vie ardite e imprevedibili. E si serve di tutta la creatività missionaria per mettere a segno risultati eccellenti. È quanto è accaduto a suor Patrizia Di Clemente, classe 1978, comboniana in Zambia fino al 2019. Patrizia ha aperto a Lusaka un club di arti marziali per ragazze vittime di violenza e abusi.

“Se una cosa è buona e davvero necessaria, arriva sempre la maniera per realizzarla”, afferma con convinzione.

“Quando sono arrivata a Lusaka nel 2008 mi sono resa subito conto che la situazione delle giovani donne senza genitori (tra loro c’erano anche ragazzine di 13 e 14 anni), era davvero drastica rispetto al problema degli abusi – ricorda suor Patrizia –. Mi avevano affidato un gruppo di 90 ragazze orfane, arrivate dai villaggi, e ho pensato che avessero bisogno di difendersi”.

Giovani senza famiglia e senza difese

Queste giovani senza famiglia erano passate “sotto tutela” di zii, nonni, parenti che le impiegavano come domestiche nelle case: “dove spesso potevano rischiare di essere vittime di abusi, manipolazione e anche sfruttamento e violenza”, ricorda la comboniana.

Suor Patrizia è bergamasca e ha studiato Scienze dell’educazione, oggi in Italia si sta specializzando in counseling relazionale. La sua attenzione alla psiche e ad uno sviluppo integrato della persona è una priorità per lei.

“Mi venne in mente che avrei potuto aprire un club di judo solo per loro», dice. Quest’arte marziale possiede «le sue regole e una filosofia di fondo molto bella: la concentrazione, l’equilibrio e l’autostima aiutano a superare gli ostacoli – spiega la comboniana –. Alle volte una ragazza piccolina può mettere un ragazzo grande al tappeto, e questo le dà forza, diventa una sorgente di autostima”.

L’incontro con una giovane judoker


Fino a quel momento le comboniane avevano organizzato corsi di taglio e cucito e alfabetizzazione: ma “pensavamo che per le giovani senza madre e padre era altrettanto importante che si sapessero difendere”.

“Un giorno si presenta in missione una volontaria italiana di 19 anni, e chiede di poter fare esperienza estiva di un mese. Quando è arrivata ho scoperto che era una judoker”, ricorda suor Patrizia. A quel punto era fatta: “abbiamo iniziato con un corso pilota, chiedendo in prestito dei tatami ai francescani che già tenevano un corso di judo avanzato in Zambia”.

Le arti marziali “lavorano molto sulla disciplina, successivamente infatti abbiamo aperto i corsi anche ai ragazzi con disabilità, sordomuti e ciechi e ha funzionato anche con loro”.

Suor Patrizia si mette in contatto con la Zambian judo association che offre alle comboniane delle uniformi e anche dei tatami, la pavimentazione di legno per ricoprire l’intera palestra.

Il judo per scoprire talenti e sognare un nuovo futuro

Grazie alla pratica del judo molte giovani hanno tirato fuori le proprie qualità e i loro talenti, hanno trovato la strada e il riscattato per il proprio futuro.  

“Appena arrivata in Africa – ricorda suor Patrizia – mi misi a studiare la lingua locale, ho vissuto mesi di immersione totale per capire cultura e tradizioni”.

C’erano i riti di passaggio e quelli di iniziazione da imparare, il significato della morte e della nascita, gli eventi che segnano le tappe di vita e che coinvolgono l’intera comunità. Suor Patrizia racconta dello sforzo fatto e di tutta la creatività messa in campo per integrare i riti di iniziazione tradizionali con gli insegnamenti evangelici.

“Avevamo invitato nella missione gli anziani e i sapienti che si occupano di accompagnare le più giovani nei riti di passaggio. Spesso i guardians erano i tutori delle ragazze senza genitori, ma rischiavano anche di manipolarle”, ricorda.

“Così abbiamo deciso di introdurre le prime due tappe dell’iniziazione utilizzando aspetti della natura e della creazione, edulcorati dalle pratiche più fisiche ed estreme, per trasmettere alle donne un valore buono per la loro vita”.

Accompagnarle in questo era il compito delle missionarie: “prima di far fare il rito alle ragazze, lo facevamo noi stesse con le consorelle. Abbiamo preparato la stanza, con statuine di creta, sculture e dipinti che narravano le fasi della vita di una persona secondo i valori della tribù. Tutto parte dalla relazione con Dio, con la creazione, dal rispetto per sé stesse e per gli altri”.

Ilaria De Bonis
redazione Missio