L’accoglienza agli afghani in bergamasca

Afghanistan, 75 le persone accolte in Bergamasca

Le ultime famiglie sono arrivate il 23 settembre, in fuga dalla crisi umanitaria che ha colpito il loro Paese : si tratta di cittadini afghani, che all’improvviso hanno dovuto lasciare le proprie case e le
proprie sicurezze per aver salva la vita. E così sono arrivati nella nostra città, nel progetto di accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo della Prefettura di Bergamo, gestito da Caritas Bergamasca attraverso il suo braccio operativo Fondazione Diakonia, Cooperativa Ruah e Cooperativa Il Pugno aperto. « E’ stata un’accoglienza che abbiamo dovuto gestire in tempi molto rapidi – spiega Chiara Donadoni, responsabile Area Richiedenti Asilo e Rifugiati della Cooperativa Ruah – : su ordine della prefettura, in pochi giorni abbiamo provveduto a svuotare gli appartamenti dedicati all’accoglienza diffusa, rimandando gli ospiti lì presenti nei centri del Gleno o a Botta di Sedrina, per lasciare spazio a queste famiglie. Una modalità che non ci ha permesso di risistemare o dare una rinfrescata agli appartamenti come avremmo voluto, avendo dovuto fare il tutto sulla scia dell’emergenza e che ha interrotto la rete di contatti che questi ospiti erano riusciti a costruirsi sul territorio».


Un’utenza di tipo diverso: da singoli a famiglie, con altre esigenze.

Un cambio completo dell’utenza di cui di solito si occupa il progetto di accoglienza, passando da persone singole a nuclei famigliari : «I gruppi famigliari vanno da semplici coppie composte da marito e moglie, a gruppi più grossi e incrociati, con magari la presenza della nonna con due figli, rispettive mogli e nipoti. Anche l’età è varia e ciò porta anche ad esigenze di tipo diverso».
L’aspetto positivo è stata la risposta del territorio : «Si è trattato di un tipo di accoglienza più vicina al cuore della gente – continua Donadoni -. I territori si sono riattivati, tra sindaci che si sono fatti trovare al momento dell’arrivo di queste famiglie, per capire chi sono e le loro necessità, fino ai volontari che hanno messo a disposizione il proprio tempo per dare una mano». Ad oggi sono 75 i cittadini afghani presenti in Bergamasca, divisi in 17 famiglie, collocati in 16 appartamenti. Ad esse si aggiungono tre famiglie tunisine ed altre persone singole (nel frattempo infatti gli sbarchi sulle coste italiane non si sono fermati, anche se sono passati in secondo piano e se ne parla molto poco, ndr). « Sono i cittadini arrivati qui con il contingente italiano, poiché hanno collaborato con esso. Si tratta di persone di diversa estrazione sociale: da piloti, a medici, ingegneri, commercianti. Persone che nel proprio Paese avevano uno status economico e sociale molto buono e che, forse anche per questo motivo, avevano delle aspettative diverse sull’accoglienza in Italia. E’ difficile spiegare loro ciò che il progetto può offrire, le risorse arrivano fino a un certo punto. Si tratta infatti di un progetto di accoglienza classico, la cosiddetta accoglienza prefettizia, non ci sono possibilità o margini di manovra. E’ compreso vitto e alloggio e gli operatori si occupano dell’iter burocratico per la richiesta di asilo e della quotidianità all’interno della casa. Avendo un canale priviligiato in questura e in virtù della loro collaborazione con l’Italia, si presume che potranno ottenere la protezione in tempi più brevi rispetto agli altri ».


L’ambientamento delle famiglie, molto variegate

« Siamo ancora nella fase di ambientamento – prosegue Erica Rota, coordinatrice degli
appartamenti Area Richiedenti Asilo e Rifugiati di Cooperativa Ruah -. Sono persone che stavano conducendo una vita relativamente tranquilla e che sono dovute scappare. Molte da Herat sono
arrivate a Kabul e lì hanno aspettato giorni sedute davanti ai cancelli dell’aeroporto nella speranza di riuscire ad entrare e poter lasciare il Paese. C’è chi è riuscito nell’impresa, ma un componente famigliare è restato fuori, altri che hanno lasciato i propri figli in Afghanistan. Il carico psicologico che si portano dietro è molto forte, oltre alla situazione generale che ora sta attraversando il loro Paese ». Anche Rota conferma la risposta positiva del territorio: « C’è stata molta attenzione per il loro arrivo, probabilmente dovuta anche all’attenzione mediatica sull’Afghanistan. Si sono riattivati vecchi contatti, ma anche creati di nuovi, a supporto di questa accoglienza : chi si è offerto di accompagnare le famiglie alla scoperta del territorio, chi per fare vedere i servizi, chi ha consegnato del materiale, chi le ha coinvolte in attività, come delle passeggiate ». Le famiglie sono variegate:« All’inizio sono arrivate due famiglie in cui il marito era interprete e parlava italiano, e ciò ci ha facilitati su alcuni passaggi. In altre famiglie il marito parla inglese o ci sono figli adolescenti che lo parlano, altre ancora in cui si parla solo farsi. Per i figli, si va dal neonato di quattro mesi all’adolescente che deve iniziare la scuola superiore. Ci sono tre nonne, due nate negli anni ’70, e una del ’42. Le coppie con bambini sono moto giovani per i nostri standand, in alcune i mariti sono della fine degli anni ’90 e le mogli di inizio 2000 . Per i loro figli, li stiamo inserendo regolarmente a scuola. Purtroppo i corsi di italiano non rientrano più nel progetto, ma gli adulti si possono iscrivere al Cpia (Centro Provinciale Istruzione Adulti), che ha un costo molto basso ».

La risposta del territorio alla campagna #unastanzaperunadonnaafghana

A inizio settembre anche in Bergamasca ha preso il via la campagna #unastanzaperunadonnaafghana, grazie alla quale dei semplici cittadini potevano mettere a disposizione una stanza della propria abitazione per ospitare una donna afghana. « Abbiamo raccolto una ventina di disponibilità – spiega Omar Piazza, responsabile Area adulti Cooperativa Il Pugno Aperto -, ma non è stato possibile dare corso al progetto poiché sono arrivate solo famiglie e non donne sole. Come cooperative abbiamo chiesto al prefetto per capire come poter valorizzare queste disponibilità, ma per ora non abbiamo avuto risposta. Purtroppo ad oggi l’accoglienza in famiglia non sembra possibile nel breve termine. Siamo comunque rimasti in contatto con chi ha dato la propria disponibilità, incontrandoli virtualmente dieci giorni fa, e stiamo costruendo un percorso che vada a valorizzare queste risorse, un po’ su modello dei tutor territoriali. C’è chi si è reso disponibile a fare da babysitter, chi da guida della città. Stiamo quindi cercando di far coincidere i bisogni di queste famiglie con le disponibilità del territorio. Essendo una pratica nuova, ci ha fatto molto piacere che abbiano risposto una ventina di persone, non è un numero esiguo ».

Se qualcuno fosse disponibile a dedicare un po’ del proprio tempo può scrivere a :
accoglienza@coopilpugnoaperto.it