La “Vita Super-nova” della cultura e dei libri dopo la pandemia al Salone di Torino. Dialogo con lo scrittore Franco Faggiani

Con l’autunno, consapevoli di dover ancora convivere con un virus, le cui varianti si stanno dimostrando assai insidiose e pericolose, l’Italia riparte, come anche il mondo dell’editoria. A testimonianza di ciò è la XXXIII edizione del Salone Internazionale del Libro, la più importante manifestazione italiana nel campo dell’editoria, che si sta svolgendo con successo di pubblico a Torino fino al 18 ottobre 2021 nei Padiglioni 1, 2, 3 e Oval di Lingotto Fiere, oltre che negli spazi del Centro Congressi Lingotto. 

“Vita Supernova” è il tema dell’edizione del Salone di Torino, proprio nell’anno in cui si celebrano i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri. Nella capitale piemontese dunque già da ieri, giorno di apertura del Salone, il pieno di eventi, riflessioni, dialoghi, letture e incontri legati al mondo del libro, della cultura e dell’arte. Quindi spazio agli stand degli editori, agli incontri pubblici, ai seminari, alle lezioni, alle letture, ai concerti, agli spettacoli teatrali e alle tavole rotonde animate da scrittori provenienti da ogni parte del mondo.

Faggiani presenterà il suo ultimo romanzo “Tutto il cielo che serve” (Fazi 2021) in anteprima al Salone del Libro domenica 17 ottobre alle 16 nella Sala Rosa. Parliamo con lui del Salone internazionale del libro, della Renaissance del mondo dei libri e della sua ultima fatica letteraria. 

  • “Vita Supernova” sarà il tema della XXXIII edizione del Salone del Libro di Torino, la prima dal vivo dopo il Covid, che si annuncia come tra le più ricche di sempre. Nell’anno dedicato a Dante, il Salone ha un titolo che allude alle stelle e anche alla ripartenza dell’Italia dopo un periodo vissuto come se fossimo in una “selva oscura”. Che cosa ne pensa? 

«Mai titolo per un Salone del Libro è stato più azzeccato. Quest’edizione 33, un numero oltretutto pieno di significati, sarà davvero quella della rinascita, della Vita Nova proposta da Dante, ricca di cambiamenti e di prospettive purificate dall’amore per Beatrice. Dante, oltretutto era uno studioso delle tradizioni e della cultura occitana, era un estimatore dei “trovatori”, tra i quali quel Raimbaut d’Orange, che in un suo componimento si proponeva di voler scrivere in futuro versi “con un cuore e un desiderio nuovi, con un nuovo sapere e una nuova sensibilità”. Ecco un buon consiglio anche per gli autori del post-Covid!».

  • Anche questo importante evento culturale riflette il clima di ritrovata fiducia nel futuro che il Paese sta vivendo? 

«Il Salone stesso è un potente propulsore di fiducia. Non è solo un’ampia esposizione di nuovi testi da leggere. La fiducia dunque la alimenta, la fa crescere, la espande soprattutto attraverso gli incontri, la condivisione delle proprie passioni, la possibilità di scambio di opinioni, attraverso la conoscenza degli autori, che spesso ed erroneamente sono percepiti come personaggi distaccati dalla realtà. Al Salone del libro di due anni fa, dopo aver chiacchierato un po’ con me, una signora aveva concluso con un po’ di meraviglia: “Caspita, ma lei è una persona normale!”. In fondo un bel complimento».

  • Un’indagine “La lettura e i consumi culturali nell’anno dell’emergenza” ha registrato un incremento della lettura nelle abitudini degli italiani in tempo di Covid: più del 60% dice di aver letto almeno un libro durante l’anno. Nel momento più duro della pandemia ci siamo aggrappati alla cultura? 

«Ci siamo aggrappati alla cultura e alla lettura in particolare, perché i libri hanno un prezioso e immediato effetto medicamentoso. Curano, fanno compagnia, consolano, fanno riflettere, divertono, destano curiosità e sorpresa. Inoltre, ci fanno trovare nuovi amici e ci fanno viaggiare verso mondi lontani a un prezzo contenuto. È indubbio che di tutto questo avevamo molto bisogno, in un periodo di forzata solitudine e di restrizione dei nostri movimenti. Speriamo che adesso i libri continuino ad avere quei ruoli che ci hanno silenziosamente salvato da molte situazioni difficili».

  • Se era prevedibile che durante il lockdown si impennassero le vendite degli ebook, le librerie, aperte nelle cosiddette “zone rosse” sono state frequentate dai lettori. I libri hanno dimostrato così la loro forza di resilienza? 

«La resilienza vera l’hanno dimostrata i librai nell’inventarsi nuove formule per far conoscere le novità e distribuire i libri nei periodi di totale chiusura dei punti vendita. È grazie alle loro iniziative, creatività, alla loro fatica aggiuntiva che la lettura si è ampliata. I librai si sono rimboccati le maniche fin da subito, quando erano ancora costretti alla chiusura totale, con presentazioni on line, recensioni personalizzate, mail mirate ai lettori, spedizioni rapide e spesso gratuite, consegne a domicilio. Tutti – editori, distributori, autori, lettori – dobbiamo essere grati ai librai e ai bibliotecari. Personalmente mi sono ritrovato ad avere con loro un’attività molto frenetica, viva e interessante».

  • Nel Suo ultimo romanzo “Tutto il cielo che serve”, a cinque anni dall’anniversario del terremoto di Amatrice, attraverso le vicende della protagonista, conduce il lettore in una delle zone meno conosciute del nostro Paese, i Monti della Laga, descrivendo la fantastica natura di quei luoghi. Ce ne vuole parlare?

«I Monti della Laga sono costituiti da una dorsale piccola – appena 24 chilometri – bellissima e facilmente raggiungibile da Marche, Lazio e Abruzzo. Le valli, i boschi selvaggi, i sentieri per certi versi anche fragili, come pure si racconta nel romanzo, sono facilmente percorribili. Sono incastrati tra i Monti Sibillini e le dorsali del Gran Sasso, che godono di una conoscenza maggiore e di più ampie strutture turistiche. Amatrice era un po’ la loro capitale e un eccellente campo-base per la loro esplorazione. Poi il terremoto ha cancellato tutto. Adesso per fortuna si comincia a rivedere qualche escursionista proveniente almeno dai territori confinanti. Andare a piedi per i Monti della Laga è come fare un bellissimo viaggio indietro nel tempo e nella natura. Ci sono stato più volte per il libro ma ci tornerò per farli conoscere ai miei amici».

  • Ha dedicato il libro ai vigili del fuoco. Sono loro i moderni eroi del nostro tempo?

«Sono gli eroi di ogni tempo; molti amici della mia infanzia, ma anche dell’infanzia di mio padre, da grandi avrebbero voluto fare il pilota o il pompiere. Qualcuno c’è anche riuscito, in famiglia avevamo un parente, che era un direttore dei Vigile del fuoco ed era considerato una specie di divinità. Il fatto è che loro sono eroi defilati. Portata a termine una azione che richiede applicazione, coraggio, capacità e spirito di gruppo, in cui spesso rischiano la vita, tornano immediatamente nelle retrovie pronti a ripartire subito dopo. Così tutto l’anno, tutti i giorni, molte volte al giorno. La mia dedica è un piccolo segno d’affetto e di ringraziamento».

  • Da sempre alterna alla scrittura lunghe e solitarie esplorazioni in montagna. È un modo per ricaricarsi? 

«Scappo in montagna appena posso e i primi due giorni non faccio niente di pratico; cerco di liberarmi – attraverso il silenzio, la solitudine, lo spazio, l’aria nuova, i colori della natura – delle scorie fisiche e mentali accumulate in città attraverso gli altri miei lavori legati sempre al mondo della scrittura ma che richiedono organizzazioni complesse, tempistiche stringenti, sopralluoghi, realizzazione di foto, consegne rapide, fatiche ben diverse da quelle derivanti dallo scrivere un romanzo. Quando la mente è finalmente libera, vuota, comincia l’operazione di ricarica fisica e di riflessione mentale. Camminare per boschi a lungo e da soli insegna a osservare i dettagli, ad acquisire consapevolezza, a riflettere più a fondo, a farsi venire nuove idee. Tutte le mie storie raccontate sono nate così».