Don Gianluca Mascheroni: accanto ai bambini della Ciudad de Los Ninos

9 anni di Bolivia. Ora una piccola pausa in Italia. E a breve la nuova partenza. Sempre per la Bolivia, ma con un incarico molto diverso.

Don Gianluca Mascheroni è stato per nove anni il direttore della Ciudad de los Ninos, la comunità per minori del Patronato San Vincenzo, situata a Cochabamba, in una delle città più grandi della Bolivia.

“Dal settembre 2012 sono stato responsabile della comunità di accoglienza per minori (bambini, ragazzi e adolescenti), ereditando quello che padre Antonio Berta aveva fondato nel 1971. Lui ha lavorato lì fino alla morte, nel 2007, poi gli è succeduto don Matteo fino al 2011 e dal 2012 ci sono stato io”.

Sostenere le ferite e le fatiche delle famiglie

Un’esperienza di missione, dunque, con una peculiarità sociale ed educativa. “Interagendo e relazionandoci con le istituzioni pubbliche abbiamo cercato di sostenere le fatiche e le ferite delle famiglie: rispondiamo alle esigenze che i servizi sociali ci pongono.

Accogliamo i bambini vittime di abbandoni, violenze, situazioni di disagio famigliare e separazioni violente; dietro spesso ci sono problemi di abusi, alcolismo di membri della famiglia o sfruttamento minorile (spesso i ragazzini vengono mandati agli incroci dei semafori o nei parcheggi per lavare auto)”.

Nove anni in cui don Gianluca è riuscito a portare avanti un progetto ambizioso. “È maturata l’idea, in collaborazione con altre comunità, del diritto di vivere in famiglia da parte del bambino. Abbiamo pensato che la comunità possa essere un luogo di passaggio: i ragazzi restano mesi o anni a secondo delle loro esigenze ma lo sforzo della comunità, in particolare degli esperti (assistenti sociali e psicologi) è lavorare per ridare loro una famiglia. Da qui abbiamo sviluppato dei programmi per lavorare con le famiglie mentre i ragazzi sono in comunità. E ci sono stati degli esiti postivi come ricadute sulle famiglie e alcuni (anche se pochi) successi nel rientro”.

Un modo per testimoniare il Vangelo fra gli ultimi

Un’esperienza sociale, ma dalla forte connotazione evangelica. “Per sensibilità anche mia, ma anche del Patronato e della Diocesi, ci sembra che sia un modo di testimoniare il Vangelo, nella vicinanza alla marginalità e nel servizio agli ultimi. Nella comunità ho tentato di costruire relazioni e sostenere i ragazzi. Dentro questo cammino c’è la vita ordinaria di casa, lo studio, il lavoro dentro comunità, l’impegno nei laboratori per imparare un mestiere e insieme le esperienze di volontariato (i più grandi generalmente si dedicano agli anziani e agli ammalati del quartiere, per imparare a dare oltre che ricevere). E c’è la dimensione pastorale: non si tratta solo di fare e spendersi, c’è una Parola, il Vangelo, che aiuta a crescere e maturare stili di vita”.

Il lavoro per valorizzare la dimensione famigliare nella vita del bambino è stato portato anche all’interno della comunità. “Abbiamo creato programmi di attenzione ai minori, trasformando alcune case dentro la comunità e creando alcune case-famiglia all’esterno. L’obiettivo è avere degli ambienti dalla connotazione famigliare e domestica, dove educatrici e ragazzi possono vivere in un ambiente che recupera la dimensione della famiglia. Si supera, così, la distinzione tra maschi e femmine e in base all’età, creando invece le condizioni perché i fratelli possano vivere insieme. In comunità ci sono nuclei famigliari di più fratelli: due nuclei da sette fratellini e molti altri più piccoli, ma difficilmente arrivano dei figli unici. Su un totale di 45 comunità boliviane, solo 4 o 5 hanno adottato questo modello di accoglienza del nucleo famigliare”.

Don Gianluca Mascheroni Bolivia

L’esperienza delle famiglie affidatarie in Bolivia

Un’altra esperienza densa di significato è stata quella delle famiglie affidatarie. “È stato bello accorgersi che anche in Bolivia ci sono famiglie solidali, che vivono l’esperienza del Vangelo in gesti concreti: accolgono bambini neonati, di solito di non più di quattro anni, e così evitano che dei bambini così piccoli entrino nel contesto istituzionale di una comunità.

Abbiamo creato due case di emergenza l’anno scorso per far fronte alla chiusura della comunità per il Covid e abbiamo trovato risposte molto belle di sostegno economico”. 

E così il lavoro della Ciudad è andato oltre i muri della Ciudad. “L’anno scorso per la prima volta sono state più le situazioni seguite fuori rispetto ai ragazzi della comunità. Adesso ci sono 80 ragazzi in comunità e 130 fuori”.

Il coraggio di superare le difficoltà insieme

Tra i ricordi che don Gianluca ora porta nel cuore ci sono le tante situazioni di sofferenza che ha incontrato e l’hanno segnato. Ma anche alcuni momenti di gioia. “Porto nel cuore cinque fratellini, che avevamo accolto in una delle case di emergenza. Un giorno è arrivata la mamma, chiedendo di poterli vedere. Le proponiamo un percorso per l’alcolismo, che la porta in prima istanza a riavvicinarsi a suo marito. E insieme sono riusciti a recuperare i figli e anzi ad avere un altro bambino. La cosa bella è che l’uomo, il papà, in quella famiglia si occupa della casa e dell’educazione dei figli: una cosa difficile da vedere in Bolivia. Anche loro hanno avuto e hanno ricadute rispetto ai loro problemi, come tanti altri, per il contesto in cui vivono: il maschio, se non fa un lavoro duro e non beve, non è un maschio. Un uomo che ha uno stile di cura della casa e della famiglia è visto in una prospettiva debole, mostra fragilità, non bellezza”.

Il Vangelo è una parola che offre speranza

E non solo. “È stato bello accorgersi che l’esperienza religiosa, attraverso l’incontro e la lettura del Vangelo, è un’opportunità di ricucire le ferite interiori. Il Vangelo ha il sapore di una libertà che sana. Tocca le corde delle loro ferite, entra nel loro intimo, percepiscono che è una parola buona per loro, dà speranza anche a loro. Certamente non si risolvono i problemi, ma la vita prende una direzione bella. L’altra esperienza bella che sto facendo è quella della paternità: come sacerdote ti accorgi come puoi spendere il tuo ministero esercitando una paternità non biologica ma del cuore, che protegge e guida. A volte riconoscono la mia autorevolezza, ma questo li rende sicuri. Anche io sono cresciuto e maturato nell’accettare, come devono fare i genitori, che le strade che i figli prendono sono diverse rispetto al lavoro che hai fatto tu: semini ma accetti la libertà e, quando toccano il fondo nuovamente, li aiuti ancora a risollevarsi e ripartire”.

Pronto a ripartire per Cochabamba

Con questo grandissimo carico di esperienza, don Gianluca è pronto a ripartire. “Andrò in una piccola parrocchia a 3.500 metri, sempre a Cochabamba, insieme ad un altro sacerdote bergamasco e ad una laica missionaria: noi tre ci occupiamo della parrocchia di Melga, che ha una quarantina di comunità rurali. Sarà prevalente qui la dinamica pastorale, ma sempre con l’attenzione al sociale”. 

E parte con un sogno nel cuore. “Mi piacerebbe che alcuni giovani della nostra Diocesi possano scegliere un’esperienza in missione per un periodo abbastanza lungo e venire aiutarci, così da lavorare insieme a servizio di queste comunità di contadini”.