Il dolore per la morte di un insegnante. Suor Chiara: “Lasciare spazio alle domande”

Carissima suor Chiara, pochi giorni fa mia figlia adolescente è tornata a casa in lacrime: era addolorata per la morte di un insegnante, causata da una grave malattia. Era turbata dall’idea di non aver saputo prima quanto fosse grave questo male: questo professore, molto stimato e apprezzato dai suoi studenti, ha continuato a insegnare fino all’ultimo, senza confidare nulla sulla propria condizione, e quindi senza dare ai ragazzi la possibilità di accomiatarsi da lui, di dirgli addio. È diventata una situazione molto comune anche in pandemia, la sparizione dei malati, l’impossibilità di accompagnarli nell’ultimo tratto. Ne abbiamo parlato molto, mi sono sentita in difficoltà e forse non abbastanza attrezzata per approfondire con lei il senso della malattia, del dolore, della morte anche dal punto di vista cristiano. Non vorrei lasciar cadere questa questione, che mi sembra importante. Che consigli mi darebbe?

Lucia

Cara Lucia, la morte è sempre una realtà sconosciuta che apre a interrogativi e suscita sentimenti contrastanti, soprattutto quando sono coinvolte persone care, amici, parenti conoscenti. Certamente la reazione di tua figlia alla morte del suo insegnante dice la significatività del legame che lui è riuscito a instaurare con i suoi alunni, quale persona stimata e autorevole.

Non possiamo sapere le motivazioni per le quali ha taciuto agli alunni la gravità delle sue condizioni di salute, sappiamo le reazioni a questa morte inattesa che ha lasciato in tutti un grande vuoto e tante domande aperte.

Nel tempo della pandemia è mancato il tempo di vivere i riti di commiato che seguono la morte di una persona cara e che sono necessari per iniziare a elaborare il lutto, così è accaduto anche in questo evento che ha toccato questi adolescenti.

Un distacco che lascia un grande vuoto. Serve tempo

L’evento della morte è per tutti una grande sofferenza, un distacco che lascia il vuoto e che necessita di tempo perché la “ferita” possa rimarginarsi.

Occorre innanzitutto lasciar spazio alle domande che la malattia e la morte provocano in tutti e di cui nemmeno i credenti sono esenti: perché la malattia e la morte nel mondo? Perché se Dio ci ha salvato, non ci ha salvato dalla necessità di morire? Perché il male, la violenza, perché?

Solitamente queste domande si eludono, ma a volte eventi tragici ci costringono a cambiare direzione e ad aprire le porte, che teniamo ben chiuse, delle questioni fondamentali del nascere del soffrire e del morire.

La vita umana è per il cristiano il valore supremo, ed essa è preludio di quella vita in Dio che vivremo faccia a faccia con Lui e nella quale siamo già inseriti per mezzo del Battesimo. La vita terrena comporta gioie e dolori, salute e malattia, ma non è l’ultima parola: essa è preziosa quale via alla vita divina che si apre con la nostra morte.

Come riconciliarci con la paura della morte e della malattia?

E tutto questo perché Gesù si è fatto uomo come noi, ha assunto in sé i nostri dolori, le nostre malattie, ha sperimentato la tragicità e l’impotenza umana di fronte alla morte, ha gridato dalla croce a Dio che in quel momento non gli ha risposto e, insieme, si è abbandonato al Padre con la massima fiducia.

In questo dono d’amore di Cristo per noi, nell’accettazione della sua morte, sta l’evento salvifico della nostra vita e il rovesciamento della nostra morte.

Nell’evento pasquale di Cristo, Egli non solo ci libera dal male radicale della morte, del peccato e di ogni male, ma da pure significato a ogni dolore, a ogni malattia perché essi sono un segno e uno strumento di salvezza.

Possiamo riconciliarci con la nostra paura della morte e della malattia prendendo maggior coscienza della nostra fragilità di creature, della nostra dipendenza da un Altro che è Amore e Misericordia, possiamo apprendere l’arte così difficile della fiducia e dell’affidamento incominciando ad abitare in modo nuovo le piccole “morti” cha la vita quotidiana ci riserva e assumono il volto di un limite, di un insuccesso, di un imprevisto di un tradimento, per imparare a compiere l’atto supremo di fede e affidamento in colui che ci conduce proprio là dove non saremmo mai capaci di andare, varcando con lui la soglia della vita nuova.

L’amore si è fatto dolore perché il dolore diventasse amore

Il Cardinale Maria Martini affermava:” il Cristianesimo è la via più difficile, che prende sul serio la condizione universale di dolore, di peccato, di morte, e proprio in tal modo annuncia la compassione di un Dio che si fa carico di questa morte e di questo male per sollevare e salvare ciascuna persona umana.

Grazie a Cristo, dolore e morte non sono più un sinistro destino cui piegarsi senza comprendere, l’amore si è fatto dolore, perché il dolore diventasse amore, e la morte è il luogo stesso dell’amore e della speranza”.

Cara Lucia, come cristiani, dovremmo crescere e maturare una fede adulta, centrata sul mistero pasquale di Cristo, per dare senso al nostro vivere in tutte le stagioni della vita, nella salute e nella malattia, e poter dare ragione ai nostri giovani della speranza che ci abita e che renda la morte meno nemica e più sorella.