La giocatrice decapitata in Afghanistan, la donna uccisa dall’ex a Brescia e la sfida di una pari dignità ancora da conquistare

Avezzano 2–9-2021 Centro di accoglienza della Croce rossa Italiana, per i profughi fuggiti dall' Afghanistan. Ph: Cristian Gennari/Siciliani

Quando gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Afghanistan, alla fine di agosto, mettendo fine a una guerra che durava dal 2001, dal giorno dell’attentato alle Torri Gemelle, nel giro di pochi giorni le donne afghane sono sparite dalla scena internazionale, scomparse sotto i burqa.

Ieri è arrivata la notizia dell’assassinio di una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo dell’Afghanistan, Mahjubin Hakimi, decapitata dai talebani a Kabul. 

Era una giovane solare, che giocava per la squadra comunale della capitale afghana. Un’altra atleta dello stesso team era stata uccisa a colpi di pistola nello scorso mese di agosto.

Molte sue compagne sono state costrette a fuggire e a nascondersi. Solo due finora sono riuscite a scappare all’estero. Sembra assurdo, ma la loro colpa è praticare attività sportiva.

Mantenere alta la guardia sui diritti e la fragilità

Guardare oltre i confini del nostro Paese, oltre le nostre difficoltà quotidiane, da un lato rappresenta, se ce ne fosse bisogno, un incoraggiamento all’accoglienza dei profughi e all’attivazione dei canali di solidarietà internazionale, come già si sta facendo anche a Bergamo.

Dall’altra offre uno spunto di riflessione più generale sulla condizione femminile, sulla necessità di mantenere alta la guardia sulla tutela dei diritti e dei soggetti più fragili ed esposti a violenze e discriminazioni.

Per un caso doloroso la notizia del barbaro assassinio in Afghanistan arriva nelle stesse ore dell’ennesimo femminicidio “a casa nostra”. Una donna di 49 anni – madre di una ragazza di 17 -, Elena Casanova, è stata uccisa dall’ex fidanzato a Castegnato, in provincia di Brescia.

L’idea che una persona possa essere considerata un oggetto

L’uomo, suo coetaneo, l’ha trascinata fuori dall’auto e l’ha massacrata a martellate, chiedendo poi ai vicini di chiamare i carabinieri.

Alla base, in fondo, per quanto le situazioni siano diverse e lontane, c’è un meccanismo culturale resistente, difficile da sradicare.

L’idea che una persona possa essere considerata un oggetto, una proprietà, e che in forza di un’autorità o di un legame affettivo sia possibile “controllarla”. Niente di più sbagliato.

Papa Francesco ha ricordato in udienza generale, a settembre, che “anche oggi le donne non hanno le stesse opportunità degli uomini”.

Nelle sue parole la fede e la cura dell’uomo si fondono armonicamente, quando sottolinea che “Ogni violenza inferta alla donna è una profanazione di Dio, nato da donna. Dal corpo di una donna è arrivata la salvezza per l’umanità: da come trattiamo il corpo della donna comprendiamo il nostro livello di umanità”.