Oratorio e professionalità retribuite. Prospettive promettenti

Coordinatori CRE Telgate

Ho partecipato, lo scorso mercoledì, all’incontro dei sacerdoti responsabili di pastorale giovanile della Diocesi di Bergamo, organizzato dall’ufficio di curia per la pastorale dell’età evolutiva (Upee).

Un incontro interessante, che ha messo a tema il rapporto tra l’Oratorio, luogo per eccellenza del volontariato nelle comunità cristiane e il mondo del terzo settore, ossia le cooperative, con i loro educatori professionali.

Non intendo qui riferire nel dettaglio della riunione: altri potranno farlo meglio di me.

Vorrei soltanto proporre alcuni spunti alla luce di ciò che ho ascoltato e sulla scorta della mia esperienza personale.

Il mondo degli educatori professionali mi ha sempre affascinato: la pedagogia e in generale le scienze dell’educazione hanno sempre stuzzicato il mio interesse, tanto che, da prete, ho scelto, in accordo con il Vescovo, di studiare e laurearmi proprio in questa disciplina, concludendo gli studi nel 2015.

Primi passi. Esperienze di condivisione e volontariato

Non solo: ordinato presbitero a maggio 2010, iniziato il ministero a Telgate a settembre, dopo due settimane già sedevo al tavolo con Mario, educatore professionale che, dopo alcune riflessioni sull’oratorio con l’allora arciprete don Tarcisio, decidemmo di ingaggiare per il progetto “Donar-sì”, esperienza di condivisione e volontariato per i ragazzi di terza media, accanto alle mamme volontarie.

Da lì iniziò una lunga storia, tuttora in atto con risultati soddisfacenti, che ha condotto una cooperativa del nostro territorio a collocare una sua sede dentro l’oratorio di Grumello (nel quale sono curato, come a Telgate) e, recentemente, a costruire, insieme anche ad altri enti, l’esperienza “Homepage”, che consente a ragazzi con disabilità lieve di vivere un’esperienza di crescita in autonomia, abitando un appartamento nell’oratorio, per due giorni settimanali, con educatori professionali.

Che rapporto costruire con il terzo settore?

Quale rapporto si può costruire con il terzo settore perché esso sia fecondo sia per gli oratori che per le cooperative? Innanzitutto, si tratta di costruire insieme. In oratorio, l’idea deve avere fondamento pastorale, ossia deve essere espressione della comunità, scritta “nero su bianco” dall’equipe educativa e poi studiata insieme a chi ha la professionalità per individuare piste educative valide per attuarla, nel rispetto delle reciproche competenze e in piena collaborazione.

Infatti, non si tratta di cedere a una cooperativa delle attività o, peggio, appaltare interi settori dell’oratorio agli educatori retribuiti: ciò condurrebbe, inevitabilmente, a un disimpegno dei volontari, fino al loro abbandono (“lo faccia lui che è pagato.. perché devo farlo io che sono volontario?).

No, si tratta di entrare nella logica che la lingua inglese sintetizza con il termine “empowerment”, che potremmo tradurre con “rafforzamento”: l’educatore, con le sue competenze, aiuta la crescita del volontario, affiancandolo e offrendo criteri per la riflessione educativa, la capacità di decisione in situazione e la valutazione dell’agito.

Solo dentro una collaborazione stretta, che preveda molti momenti di incontro e studio della realtà e delle diverse progettualità, si può costruire un’esperienza che genera effetti positivi e a lungo termine.

Il ruolo dell’educatore professionale

Certamente, su questo ha un peso rilevante la persona: accanto alle competenze che porterà, l’educatore professionale in oratorio, affiancando i volontari, sa che capiterà di fermarsi alla riunione o a un’esperienza qualche minuto (o qualche ora..) in più del pattuito e del retribuito.
Questo è necessario perché, entrando da lavoratore nel mondo del volontariato, vi sia quell’aspetto donativo necessario per chi abita l’oratorio e condivide la missione educativa verso le giovani generazioni.

Condivido e sottoscrivo pienamente quanto don Emanuele, direttore dell’UPEE, ha affermato concludendo la nostra riunione: non possiamo perdere la cura per l’educazione dei ragazzi. Non possiamo perderla e dobbiamo praticarla bene: per questo la relazione buona con il terzo settore non è più rimandabile, ma costituisce a tutti gli effetti un’urgenza pastorale.